|
ARTE: I MAESTRI: Giacometti il curioso12 ottobre 2014
di Franco Russoli Parigi, novembre. Il 4 giugno 1965 Alberto Giacometti mi scriveva: « Devo occuparmi in questi giorni un po’ della mostra di Londra (quella di New-York è troppo lontana per sapere ciò che sarà ). Ma doÂpodomani posso riprendere del tutto il mio lavoro sapendo meno che mai ciò che potrò fare; dunque in tutti i modi più curioso che mai, e il resultato in tutti i modi di poca importanza ». Quel che contava, per lui, era il porsi sempre di fronÂte all’oggetto in stato di meravigliata scoperta, senza pregiudizi o schemi formaÂli: «il mondo mi stupisce ogni giorno di più. Diventa o più vasto, o più meraÂviglioso, più inconquistabile…, più ci si avvicina, più la cosa si allontana. È una ricerca senza fine». Mentre si osserva, mentre si tenta di copiare l’apparenza della realtà , questa realtà cambia, noi stessi cambiamo: «tutto il cammino degli artisti moÂderni è in questa volontà di cogliere, di possedere qualcosa che fugge continuaÂmente » Il «resultato» alloÂra non sarà che un momento di una lotta disperata e necessaria come una ragioÂne di vita: l’orma precaria di una conquista interiore, un punto nuovo di partenza più che un traguardo. Per questo le mostre retroÂspettive erano per Giacometti una verifica per il fuÂturo, un banco di prova che lo confermavano ogni volta nella sua convinzione di un destino da Sisifo. Le sue opeÂre dei diversi periodi di atÂtività gli si mostravano coÂme altrettanti tentativi falÂliti di conquista dell’insieme del vero, ma nello stesso tempo come preziosi momenÂti di conquiste particolari, di avvicinamenti all’oggetto instancabilmente assediato. Ne riceveva rassegnazione senza sconforto, anzi l’aspro ed esaltante imperativo a continuare, a riprendere il rapporto col vero, a ricoÂminciare la ricerca. Nello spazio « artificiale » delle mostre esse assumevano tra loro nuovi conÂtatti e richiami, inattese diÂmensioni. Si collegavano in una trama che restituiva, nella loro temporanea contiÂguità , la vicenda di una lunÂga ricerca: la facilità natuÂralistica e formale dei priÂmi tempi, l’illusione di una stabilità , di una assolutezza dell’immagine simbolica nel periodo surrealista, e infine l’illuminazione della fondamentale relatività di ogni forma e apparenza. Giacometti guardava le sue mostre come uno specchio della sua vita di artista e di uomo: vi si immergeva con un compiacimento amaro, cercandovi la prova del proÂprio ineluttabile «fiasco» e della esigenza morale, anzi fatale, a insistere. Lo vidi così a Venezia, più volte, e lo ricordo a BerÂna, molti anni fa. Nello stesÂso modo visse le mostre di Londra e di Nuova York, mi dicono gli amici. Ora, in questa stupenda mostra che Jean Leymarie ha allestito all’Orangerie di Parigi per commemorarlo, tutto è conÂchiuso, le opere non sono più spunto di successivi « avÂvicinamenti », ma momenti fermati nell’eternità . Egli non è qua, e ci guardiamo sconvolti, abbandonati, e tutÂti esaltati dall’intensità delÂla rivelazione che, veramenÂte, questi lavori sono ognuÂno un fermo punto di arriÂvo nell’universo della poesia. Non ne abbiamo mai dubiÂtato: ma mai come oggi ne sentiamo la certezza. L’anÂsia di Giacometti vive in questi messaggi per sempre, al di là di lui e del nostro tempo. Uno sciopero ha ritardato l’inaugurazione: sino all’ultimo l’incertezza, la provÂvisorietà delle decisioni, il caso hanno segnato del loro marchio di dubbio l’avveniÂmento. Anche questo è nello spirito di Giacometti, semÂbra una sua segreta presenÂza. Lo avvertono Diego, il fratello collaboratore che ha diviso la sua vita, e AnnetÂte, la moglie, suoi costanti modelli, e gli amici che si muovono intenti per le sale non ancora del tutto alleÂstite. Vedono apparire le grandi figure mangiate dalÂla luce, che incombono sulÂle minuscole sculture — aghi, teste di spillo — in cui Giacometti racchiudeva il vero che, a forza di tensioÂne di sguardo, « tendeva alÂla sparizione ». Ogni proporzione veristica è sconvolta, per giungeÂre alla vera proporzione delÂle cose e degli uomini nella fuga del tempo e dei sentiÂmenti. L’impossibilità , il torÂmento e l’aspirazione alla piena comunione tra gli esÂseri, tra gli oggetti e l’ambiente, animano, dolci e terÂribili, queste sculture abnorÂmi e sgranate, questi diseÂgni volanti eppure solidi nell’incastellatura dei corpi e dello spazio, queste pitture che assorbono i colori atmoÂsferici e vi aggomitolano i fili del tessuto del vero. La immagine simbolica (« la donna cucchiaio », « la palÂla sospesa ») e l’immagine che cerca appoggio nell’apÂparenza naturalistica, ecco si rivelano simili, nate dalÂla stessa matrice umana e poetica: chiudere in una forÂma l’inesauribile scoperta della vita. Letto 1226 volte.

Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. |
![]() |
|||||||||