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LETTERATURA: I MAESTRI: Se abdica l’uomo11 luglio 2017
di Carlo Laurenzi « Non si passa », intima il brigadiere della Celere. Alle spalle del brigadiere cinque poliziotti sbarrano il portoncino della Casa della Cultura. La mostra intitolata « L’arte contro la barbarie » non si aprirà neanche in via Santo Stefano del Cacco, come non si aprì alla Galleria di Roma, il giorno dell’arrivo del Presidente americano. Il Questore ha il polso di ferro. « Non si passa, indietro », ripetono gli agenti. La vecchia strada tortuosa si empie di brusio. Gli esclusi non si rassegnano; « E’ inaudito, è vergognoso », si ode. Una donna si rivolge al brigadiere con falsa dolcezza: « Ci sono forse bombe, là dentro? Oppure credete che quei quadri siano esplosivi come bombe? ». Il brigadiere ha il viso pallido e simmetrico di friulano, gli occhietti azzurri. Un paragone fra la bomba e la pittura esplosiva (una metafora contro un oggetto di casermaggio) non forerà mai la sua corteccia. Piove. Nel mezzo della strada quattro uomini grassi hanno aperto l’ombrello. « Dunque — dice il più grasso —, fra dieci minuti la strada sarà chiusa alle imboccature. Avremo trentanove guardie di rinforzo, e questa gente circolerà, gli piaccia o non gli piaccia. I ragazzi evitino di farsi provocare, ma, se ci sarà resistenza, ricordate che la ragione è dalla nostra parte. Si tratta di una mostra non autorizzata: violazione dell’articolo 115 della legge di P.S. Perciò, al minimo incidente, le guardie interverranno. Niente armi, ma picchiare sodo ». « D’accordo, dottore », approvano gli altri. Il commissario mi ha visto. « Che vuole lei qui? Perché ascolta i discorsi degli altri? Se ne vada. Si scosti. Ci lasci lavorare in pace ». Passeggio lungo il muro di fronte, mescolandomi ai comunisti, impavidi sotto la pioggia, ragazzi, per lo più studenti universitari. Indossano tutti camicie da cow boy sotto l’impermeabile; i capelli dei maschi non sono meno lunghi di quelli delle compagne. Anche allora. Anche allora. Questa scenetta protestataria risale a parecchi anni fa, esattamente a diciotto anni fa, quando Scelba era ministro degli affari interni e il presidente degli Stati Uniti, appena entrato in funzione, si chiamava Eisenhower. Di Mao non parlava quasi nessuno. La « barbarie » era americana, come adesso. Il protettore delle Arti e il difensore supremo della Civiltà (oltre che della Pace) era, secondo il giudizio unanime dei comunisti e dei compagni di viaggio, Josif Vissarionovic Giugasvili, detto Stalin. * Su questo fronte, siamo sinceri, le cose non sono gran che mutate: si parla di Dialogo, ma lo Stalinismo non è morto. Il discorso sarebbe complesso. Però in tema di archeologia della Contestazione Giovanile, come accadeva che uno studente in quegli anni protestasse da destra, cioè diventasse fascista? Rammento l’esempio di Roberto, un mio cugino alla lontana il quale veniva dalle Maremme. Il primo anno, quello dell’iniziazione universitaria, fu durissimo per lui. Roma è una grossa città che respinge, sia che vogliamo considerarla provinciale o cosmopolita. Allo Stadium Urbis, anche allora, troppi studenti si occupavano di politica (seppur meno romanticamente di adesso), o non frequentavano perché impiegati. La vita è cara, ed era cara. Non esisteva l’Olimpico con i suoi fossati, ma lo stadio Torino era cinto da una doppia rete di cavalli di Frisia; nugoli di carabinieri proteggevano l’incolumità degli arbitri. Le ragazze opponevano alle profferte galanti una tattica maliziosamente matrimoniale: come oggi, benché si parli di evoluzione dei costumi. Sulle case di tolleranza, fucina delle generazioni goliardiche, gravava la moralistica minaccia della chiusura. La Casa dello Studente era gremita di meridionali, tipicamente privi (a sentire Roberto) di arguzia boccaccesca. La Roma goliardica non offriva ai futuri quadri della nazione una vita di caffè, né una vita di biliardo, e nemmeno il passeggio serale. Roberto, che firmava « legis phaseolas » le cartoline a suo padre, era sul punto di dire a se stesso: « Finalmente capisco cosa significhi entrare in crisi », quando un famoso lancio di uova fradicie contro il professor Umberto Calosso salvò la sua anima. Inerpicatosi sul bordo della fontana, allo Stadium Urbis fu forse l’artigliere più brillante, e il suo grido: « Tornatene a Londra, traditore vigliacco » soverchiò la mischia. Più tardi Roberto pranzò alla Trattoria dell’Aviazione in un gruppo di gerarchetti ammirati. « Sentite ragazzi — disse — io me ne frego dei comunisti e dei fascisti ma mi iscrivo al Movimento. Ubi baldoria ibi Robertus ». Aveva bevuto molto, si sentiva felice. Tanta felicità, ahilui, non sarebbe durata a lungo. Sarebbe venuto il pomeriggio con la glauca solenne malinconia della sera di tramontana, e Roberto avrebbe passeggiato per ore, solo, sul marciapiede di via Nazionale mècca dei goliardi poveri. Avrebbe guardato le cravatte nei negozi di abbigliamento, l’ultimo modello di motoretta, le donne nude sulle copertine delle riviste francesi che il vento agitava alle pareti del chiosco. Addossato a un portone, col bavero del cappotto rialzato, avrebbe ammiccato alle ragazze di passaggio. Poi avrebbe provato stanchezza. Sarebbe entrato in un cinema, avrebbe pensato che sarebbe stato magnifico vivere negli USA. Naturalmente avrebbe scelto un film con avanspettacolo, e lo stanco seno della soubrette lo avrebbe eccitato a desideri inappagabili. Fuori, avrebbe constatato che gli restavano soltanto milleduecento lire, con le quali avrebbe dovuto fumare quindici giorni. Si sarebbe avviato verso la sua camera ammobiliata nel quartiere Macao. Prima di andare a letto, avrebbe acceso la radio nel salotto della padrona. « Coraggio, uomo solo, vinci la tua timidezza! Perché non introduci domattina nella tasca del compagno d’ufficio un topo morto? » gli avrebbe sussurrato con tenerezza la voce femminile che leggeva la rubrica Notturno. Ho riferito che in quegli anni, secondo mio cugino Roberto, troppi studenti si occupavano di politica. Non è vero. La democrazia universitaria, elargita piuttosto che conquistata, non aveva successo. La realtà di quegli anni era un’altra: lo Studium Urbis apparteneva agli accidiosi. Tutt’intorno alla fontana di Pallade Atena, seduti sui bordi, accampati sul marciapiede, appoggiati alle motorette, semisdraiati nelle piccole automobili, gli studenti concionavano sul Nulla: oziavano nelle mattinate benigne. Quando si dovevano eleggere gli organismi rappresentativi, le astensioni superavano di solito il settanta per cento. I giornali romani commentavano compiaciuti: « I volantini propagandistici sono stati numerosi, ma la massa — vale a dire gli studenti direttamente interessati a quanto accade all’Università — si è divertita a trasformarli in barchette multicolori, destinate a galleggiare nella vasca della Minerva ». Oggi si specula sui giovani in modo apparentemente diverso. Leggo nella prefazione a una « cronistoria » che si presume progressista ma obbiettiva sulla rivolta studentesca francese: « Non resta all’intellettuale che ritornare all’età della pietra ed esprimersi attraverso qualche gesto elementare e comprensibile da tutti, anche dalla reazione più ottusa: per esempio tirando le pietre ». Magnifiche esortazioni, straordinari compiacimenti. L’uomo abdichi alla sua dignità di uomo, si abbrutisca nella furia o nell’apatia. La « reazione più ottusa » non chiede di meglio, non ha mai chiesto di meglio. Letto 473 volte.
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