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LETTERATURA: TEATRO: I MAESTRI: Cineserie brechtiane12 ottobre 2017
di Claudio Magris La saggezza viene dalla politica. Questa sembra essere almeno la convinzione di Brecht, una delle più accanite e ribadite convinzioni del grande drammaturgo che tramite la severa coerenza ideologica del suo teatro didattico cercò di essere un autore didascalico nel senso più ampio e profondo della parola, uno scrittore epico capace di raccontare agli altri storie piene di significato e di indicar loro come si potrebbe o dovrebbe essere felici. Alla luce del suo motto hegeliano « la verità è concreta », Brecht credette di trovare nel rigore della politica lo strumento per attuare in termini reali quella saggezza di vita, per non lasciarla svanire nel limbo delle speranze frustrate o dei moniti inutili o delle sublimazioni spiritualistiche. Lo sforzo di Brecht tese a restituire realtà ed efficacia ai cosiddetti valori « universali umani », ai veri valori classici che il poeta considerava irrealizzabili nel contesto borghese-capitalistico e possibili soltanto nella società socialista, quella società i cui pregi Brecht non riuscì mai a ritrarre, mentre rappresentò con tanta grandezza i mali di quella borghese. Brecht è in fondo uno dei pochissimi scrittori del Novecento che cerchino di recuperare la dimensione dell’immediatezza e degli affetti quotidiani; lungi dal volerla raggiungere direttamente e cioè per via irrazionalistica, eludendo i problemi generali e oggettivi, egli si propone di trovare quella dimensione alla fine di un lungo cammino che passa per la politica. Brecht si occupa dunque « delle opinioni per amore della vita », com’egli stesso dice di Lenin nel suo Me-ti. Libro delle svolte, edito ora (Einaudi, pp. 206, L. 1500) nella versione di Cesare Cases che vi ha premesso una felice introduzione cui v’è ben poco da aggiungere. In questo curioso libretto di massime, sentenze, apologhi e brevissimi trattati, Brecht traspone in stile cinese il pensiero dei « classici » (cioè dei maestri del marxismo), la contraddittoria e incerta politica di quegli anni (l’opera, composta fra il 1934 e il 1937, venne successivamente ritoccata e rielaborata e infine pubblicata appena nel 1965 e nel 1967) e soprattutto il rapporto, per lui d’importanza fondamentale, fra linee di condotta privata e di condotta politica. Tale rapporto si presentava particolarmente complesso ed arduo nel periodo della lotta fra Stalin e Trotzki, del regime staliniano, dell’ ascesa nazionalsocialista e dell’atteggiamento sovietico verso l’occidente e gli stessi partiti comunisti occidentali. Le linee di condotta privata e politica vengono identificate nelle regole dell’agire. « Per guadagnarsi la cena ci vuole saggezza; questa può consistere nel dimostrare obbedienza ai superiori. Una saggezza d’altra specie è quella che può indurre a eliminare il sistema per cui ci sono superiori e inferiori. Tuttavia anche per questa impresa ci vuole la saggezza della prima specie, perché anche per attuare questa impresa occorre cenare ». E’ noto come la cultura cinese offrisse a Brecht l’esempio di una distaccata e tipizzante proiezione stilistica nella quale egli trovò un modello ideale di quello straniamento cui tutta la sua arte tendeva. In quest’opera tale straniamento coinvolge vita e politica, teoria e prassi: filosofi e capi rivoluzionari — da Marx a Lenin, da Stalin a Trotzki a Rosa Luxemburg — appaiono nelle vesti di antichi maestri cinesi al pari di alcuni famosi scrittori e dello stesso « io » autobiografico di Brecht, mentre la dottrina di Me-ti (o Mo-ti, un filosofo anticonfuciano vissuto fra il V e il IV secolo a.C.) diviene la cifra del « Grande Ordine », della dialettica hegeliana e del sistema socialista, e la stessa vita privata — come nelle splendide storie amorose di Lai Tu — viene vissuta quale momento storico, come se gli amanti « contassero su una storiografia ». Condensato nella laconica essenzialità di un. poeta epigrammatico contemporaneo celato dietro la maschera di un favoloso tempo antico, il Libro delle svolte alterna testimonianze degli anni Trenta che possono sembrare ormai scontate ad anticipazioni d’una sorprendente modernità. Se il travestimento — pur equo ed obiettivo — in panni arcaici delle dottrine trotzkiste o dell’opinabile necessità della politica staliniana o dell’indubbia « utilità » di alcuni dei suoi più spregiudicati compromessi appare oggi una metafora cinese di cose ovvie, che allora erano tuttavia scottanti ed attuali, la remota dimensione agraria che assume la dottrina del « fiume delle cose » — e cioè la dialettica hegeliano-marxista — si collega inaspettatamente agli odierni problemi della rivoluzione culturale nel Terzo Mondo, mentre l’ortodossia partitica si riscatta in una critica e in un’autocritica rivolte al falso ottimismo razionalistico, a quella giustificazione provvidenziale degli eventi che il peggior marxismo ha ereditato dal peggiore idealismo. Brecht, che nei suoi insegnamenti di saggezza non si perita di citare alla lettera e di nascosto due versi di Kipling sull’atteggiamento dinanzi al trionfo ed al disastro, dirige la sua battaglia contro gli odiati «Tui», gli intellettuali sofisticati ed astratti dal reale. Sul piano strettamente politico, sul quale le sue ambiguità non risultano sempre oggettivamente giustificabili, è forse lecito individuare anche nel raffinato giocoliere Brecht uno di quei sottili e sfuggenti « avoratori della testa » ch’egli detestava. Ma all’oncia di intelligenza del « Tui » che rende l’uomo, secondo le parole dello stesso poeta, « infido come sabbie mobili », Brecht contrappone pur sempre alla fine le due once d’intelligenza che rendono « fidati come una roccia ». L’imminenza dell’apocalisse non distrugge l’amore per i gesti della donna che accende il fuoco, per l’« attimo che può essere sfruttato e non ritorna », per l’omerico scudo di Achille. E troppo facile, o almeno è per fortuna ancor troppo presto, dire se tutto ciò sia veramente regressivo. Letto 718 volte.
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