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PITTURA: I MAESTRI: Klimt: L’enigma della sua grandezza1 aprile 2017
di Johannes Dobai Gustav Klimt (1862-1918) può essere considerato colui che portò alle loro più radicali conseguenze quei fenomeni dell’arte del tempo comunemente indicati come ‘simboÂlismo’ e come ‘pittura dell’Art Nouveau’. Quando parÂliamo di ‘enigma’ della grandezza di Klimt dobbiamo considerare la straordinarietà della sua arte, il fatto cioè che egli arrivò a una sintesi delle due fondamentali tendenze artistiche dell’epoca — tendenze affini ma distinte quali SimÂbolismo e Art Nouveau — come nessuno dei pittori della sua generazione. L’arte simbolista tende a generalizzare, attraÂverso le immagini, un’esperienza individuale, o per dir meÂglio inconscia del mondo: benché il simbolismo intenda forÂmulare in termini figurativi l”umano’ in generale, può, in sé, arrivare a un’arte di un soggettivismo assoluto. La pittuÂra dell’Art Nouveau, all’opposto, implica una rilevanza soÂciale della nuova arte, in quanto presuppone sì la volontà di portare alla luce impulsi interni, ma guarda soprattutto a un miglioramento della vita degli uomini per mezzo dell’arte stessa. L’Art Nouveau, anche quando sembra essere legata all’individualismo, come spesso avviene, si fonda su una preÂcisa consapevolezza delle responsabilità dell’artista di fronte alla collettività degli uomini. In questo senso tutti i fenomeni che legittimamente vengono ricondotti al concetto di Art Nouveau portarono a quegli ideali che nel XX secolo trovaÂrono la loro realizzazione più chiara nel Bauhaus. D’altra parÂte gli artisti definiti semplicemente come ‘simbolisti’ potevano portare all’estremo le ragioni dell’individualismo, impegnati nella mediazione di una visione del mondo fondamentalÂmente irrazionalista e soggettivista che preludeva al surreaÂlismo. Naturalmente, oltre a Klimt, parecchi artisti della sua generazione (e anche precedenti) aspiravano a una sintesi di queste due tendenze: per tutti, come per lui, il punto cruciale era la ricerca di un equilibrio tra ragione e sentiÂmento. Alcuni artisti esercitarono una notevole attrazione su Klimt, che talvolta operò sotto il loro influsso, poiché in essi riconosceva l’aspirazione a una tale sintesi. Ma il loro stile sembra essere stato, per lui, molto meno importante. Si posÂsono comunque ricordare diversi artisti che, nel corso del suo sviluppo pittorico, lo influenzarono fortemente: Sir Frederick Leighton, James Whistler, Fernand Khnopff, Franz von Stuck, Jan Toorop, Charles Rennie Mackintosh, Vincent van Gogh, Ferdinand Hodler e lo stesso Matisse. La sua più grande opera monumentale,” il Fregio di Beethoven (1902), fu concepita come una sorta di ‘comÂmento’, formalmente risolto in una cornice ricca di riferiÂmenti allusivi alla vita umana: esso fu collocato in un amÂbiente laterale della Secessione Viennese (fondata nel 1897), nella cui sala principale era esposta, quale unico ‘pezzo’ di Max Klinger, la grande statua policroma di Beethoven, coÂminciata a Parigi e oggi a Lipsia. Con questa mostra (orgaÂnizzata con la collaborazione di molti altri artisti oltre a Klimt) l’edificio della Secessione venne trasformato in una sorta di tempio dell’arte, con al centro la statua simbolista del “genio del nuovo spirito”. Come è noto Klinger voleva emulare, con il suo Beethoven, la grande statua crisoelefanÂtina di Giove eseguita da Fidia e conosciuta soltanto attraÂverso le descrizioni degli scrittori greci; ma egli intendeva anche, sotto il profilo iconografico, celebrare la riconciliaÂzione della paganità e del cristianesimo in una nuova epoca illuminata. Per questa opera monumentale Klimt preparò una sorta di glossa esplicativa che getta qualche sprazzo di luce su taluni aspetti di quello che abbiamo definito l’’enigma’ delÂla sua opera. Come motto per il fregio scelse una frase tratta da uno scritto di Richard Wagner su Beethoven; e proprio una frase che di Beethoven – considerato, nei suoi principi basilari, il fondatore della musica moderna – mette in rilievo il distacco dal mondo empirico: ” II mio regno non è di queÂsta terra”. Tale interpretazione dell’opera si concludeva con una citazione dal coro della IX sinfonia (da un testo di Schiller), sottolineando ancora l’autonomia dell’arte. Nel suo insieme il fregio rappresenta come disperata la condizione esistenziale dell’umanità , una condizione che si esprime in lotte e sofferenze inutili. In esso, come nella filosofia di Schopenhauer, sono racchiuse le forze della ‘volontà ’ e quelÂle del male, ivi comprese le pulsioni dell’Eros. Un “sincero bacio a tutto il mondo” non può darlo il vivere, ma soltanto l’arte liberata dalla volontà . Il commento in catalogo, redatto dallo stesso Klimt, alÂlora quarantenne, suona così: “Prima parete lunga di fronÂte all’ingresso: il desiderio della felicità . Le sofferenze del debole genere umano: le suppliche costituiscono la forza esterna, la compassione e l’ambizione la forza interna che muovono l’uomo forte e ben armato alla lotta per la felicità . Parete più corta: le forze ostili. Il gigante Tifeo, contro il quale perfino gli dei combatterono inutilmente; le sue figlio, le tre Gorgoni. La malattia, la follia, la morte. La voluttà e la lussuria, l’eccesso. L’angoscia che rode. In alto le affezioni e i desideri degli uomini volano via. Seconda parete lunga: il desiderio di felicità si placa nella poesia. Le arti ci conduÂcono nel regno ideale dove possiamo trovare la pace assoÂluta, la felicità assoluta, l’amore assoluto. Coro degli angeli del paradiso. ‘Gioia, meravigliosa scintilla divina’. ‘Questo bacio a tutto il mondo'”. Il fatto che non esistano precedenti dichiarazioni dell’arÂtista riguardo ai suoi propositi artistici fa parte del lato oscuÂro della personalità di Klimt. Ciò sorprende ancora di più se si pensa che a partire dal 1897 Klimt si trovava al centro dell’attenzione dell’ambiente artistico viennese. Quell’anno venne fondata la Secessione Viennese, di cui Klimt fu il priÂmo presidente. Ciò non soltanto per la sua statura artistica, naturalmente, ma anche per lo spirito autenticamente comÂbattivo con cui il pittore portava avanti la battaglia moderÂnista, uno spirito che trovava espressione in opere allegoriche piuttosto che in scritti. Per la prima mostra della Secessione Klimt progettò il manifesto Teseo e il Minotauro, una rapÂpresentazione simbolica della lotta vittoriosa della ‘nuda’, giovane ragione sulle forze oscure del Vecchio’, cioè sul nero minotauro; ma nella versione definitiva, in seguito all’interÂvento della censura, la ‘nuda’ Ragione fu costretta a nasconÂdere, in parte, la sua nudità . Alla IV esposizione della SeÂcessione (1899) Klimt, aderì con un dipinto – Nuda Veritas — nel quale immagine e testo appaiono integrati. In poÂsizione frontale e ieratica si vede la figura della Nuda Verità con lo specchio e una citazione da Schiller: “Se non puoi piacere a tutti con le tue azioni e la tua arte, piaci a pochi. Piacere a molti è male – Nuda Veritas”. Dacché egli è fondatore e primo presidente della SecesÂsione, si trovano nelle sue opere assiomi di teoria artistica. La Secessione aveva il suo organo in “Ver Sacrum”, una rivista stampata e illustrata in modo assolutamente esemplaÂre. Qui, nel numero del marzo 1898, compare la Nuda VeÂritas nella forma di una decorazione grafica, questa volta con l’iscrizione: “La verità è fuoco e dire la verità significa illuminare ed ardere — Nuda Veritas”. Già precedentemenÂte, nella prima annata della rivista (al cui comitato di redaÂzione Klimt ovviamente apparteneva), era apparso un suo foglio con l’iscrizione: “Duo quum faciunt idem non est idem”. L’atteggiamento combattivo di Klimt, in questi anni, è confermato anche dal dipinto Pesci d’oro (esposto alla Secessione nel 1902. Vi appaÂre una donna nuda, fiorente e piena di vita, che volge la schiena allo spettatore, e sembra che Klimt, in origine, voÂlesse intitolare l’opera Ai miei critici. Qui le forze della conÂservazione e dell’umana stolidità , anziché da un minotauro, sono simbolicamente rappresentate da un mostro marino dall’espressione vacua accanto al quale fluttua libera e pieÂna di vita una sorridente sirena, non priva di una carica di attrazione erotica. Ancora in un mostro marino si incarnano le forze dello sciocco conservatorismo nella Speranza I (1903), un dipinto che costituisce l’apoteosi simbolica di un’idea socialmente progressista: la santità di coloro che porÂtano la vita, delle donne gravide, anche quando esse abbiaÂno sotto il loro cuore un feto illegittimo, minacciato dalla morte e da forme inquietanti. Accennavamo prima al fatto che Klimt apparteneva al comitato di redazione di “Ver Sacrum”. In questa rivista, però, non si trova nessun testo di suo pugno. Questo è comÂprensibile se si pensa a una lettera del 1905 nella quale egli parla della sua “morbosa avversione per lo scrivere”. Come l’amico Hans Tietze testimonia nel suo necrologio, Klimt era un uomo fondamentalmente timido ma di radicate conÂvinzioni, uno spirito introverso i cui incontri con il pubblico e la fama avvenivano sempre controvoglia. All’occorrenza prendeva inequivocabilmente posizione, ma di propria iniÂziativa egli non scrisse mai teorizzazioni o dichiarazioni arti-stiche di sorta. Le sue idee, d’altronde, vengono chiaramente delineate da testi altrui scritti per “Ver Sacrum”: per esempio quello di Hermann Bahr, il noto scrittore che lo stesso Klimt, in qualità di presidente della Secessione, invitò a collaborare alla rivista con una lettera del 17 novembre 1897. Per il primo numero di “Ver Sacrum”, apparso nel gennaio 1898, Bahr, coerentemente con le idee di Klimt scrisse: ” La nostra secessione […] è una rivolta degli artisti contro i mercanti che si spacciano per artisti e che hanno un interesse comÂmerciale a impedire che l’arte si levi e si sviluppi […]. La nostra secessione è anche un’unione di propaganda. Essa deve prendere ad esempio gli agitatori, che da noi hanno pur ottenuto qualcosa. Da loro possiamo imparare due regoÂle: la prima è che a Vienna chi vuole riuscire a ottenere qualcosa con la propaganda non deve aver paura di rendersi ridicolo. Da noi tutti quelli che alla fine hanno raggiuntò il loro scopo, che sono arrivati al potere, sono stati, prima e per molto tempo, ridicoli. Pare che a Vienna non possa anÂdare che così. La seconda regola è: bisogna imparare a farsi odiare. Il viennese ha rispetto soltanto per coloro che non può assolutamente soffrire”. Accanto a Bahr, Max Eugen Burckhardt divenne “conÂsulente letterario aggiunto” di “Ver Sacrum”. I suoi scritti sono ugualmente importanti in quanto riflettono forse anÂcora più chiaramente le idee di Klimt come ‘pittore dell’Art Nouveau’. Nel primo numero, accanto a quello di Bahr, c’è anche un suo testo con la frase: ” Così ci rivolgiamo a voi tutti, senza alcuna distinzione di stato o di censo. Non ricoÂnosciamo differenze tra un’arte […] per i ricchi e per i poÂveri”. E nel 1919 Hans Tietze, ricordando Klimt, scrisse: “Aveva in mente una fratellanza nel senso dei Nazareni; una fratellanza in cui tutti gli altri interessi dovessero farsi da parte di fronte al disinteressato servizio dell’arte. Le reÂgole che egli voleva imporre a se stesso si fondavano su uno sforzo continuo per il proprio perfezionamento, l’entusiastica accettazione della grande arte altrui, l’incondizionato riÂfiuto del mercato del banale e del quotidiano”. Un ulteriore segno di come Klimt e i suoi amici più stretti prendessero sul serio questi fini ideali è costituito da una loro lettera del 1905 al ministro della pubblica istruzioÂne. Il “gruppo di Klimt” si distaccò in quell’anno dalla SeÂcessione poiché molti dei membri non sembravano più conÂdividere l’iniziale slancio ideale. Il gruppo motivò questa decisione in una lettera aperta: “Vostra eccellenza! I firmaÂtari della presente si permettono di comunicarle le loro diÂmissioni dalla Vereinigung bildender Künstler Österreichs [Unione degli artisti figurativi d’Austria: la Secessione]. L’attivo appoggio che Lei ha concesso all’Unione ci obbliga, illustrissimo signore, a motivare questo nostro passo. Noi siamo dell’idea che di fronte ai grandi mutamenti dei modi di pensare gli artisti non debbano limitare la loro attività soltanto all’organizzazione di mostre temporanee, ma che esÂsi debbano essenzialmente preoccuparsi di riuscire a eserciÂtare il loro influsso sugli aspetti più diversi del vivere moÂderno; che ciascuno di essi si impegni ad approfittare di ogni occasione che gii si presenta per promuovere un modo di vita ‘artistico’ nel suo senso più ampio, e per convincere con la sua attività strati sempre più ampi di popolazione che nessuna vita è abbastanza ricca da non poter essere ancora più arricchita dall’arte, e che nessuna è così povera da non lasciare all’arte nessuno spazio. Ma i nostri sforzi hanno urÂtato contro la resistenza e il misconoscimento della maggioÂranza dei membri dell’unione, e talvolta qualcuno non è riuÂscito ad adattarsi alle limitazioni di tale organismo; comunÂque il motivo principale per cui ci siamo visti costretti alle dimissioni risale alla constatazione che la maggior parte dei nostri colleghi non aveva alcuna fiducia nella serietà dei nostri propositi né li considerava con il minimo favore. PurÂtroppo questa decisione è stata inevitabilmente preceduta da dissensi, ma riteniamo superfluo entrare più dettagliataÂmente nel merito. Rispettosamente, Josef Auchentaller, WilÂhelm Bernatzik, Adolf Böhm, Adolf Hölzel, Josef Hoffman, Franz W. Jäger, Gustav Klimt, Max Kurzweil, Wilhelm List, Richard Luksch, Franz Hetzner, Karl Moll, Emil Orlik, Alfred Roller, Otto Wagner”. Dopo le dimissioni il “gruppo Klimt” (come allora era comunemente chiamato), ulteriormente ingranditosi, cercò di ottenere quel risultato che già aveva perseguito con la fondazione della Secessione (1897), con la mostra di Beethoven ( 1902) e con la fondazione delle Wiener Werkstätte (1903): la creazione di una grande moderna e democratica “opera d’arte totale”. Così, dopo una prolungata fase di preÂparazione, venne inaugurata come manifestazione del grupÂpo la. ” Kunstschau Wien 1908″: la sede era un edificio di Josef Hoffmann e la sala di Klimt costituiva il fulcro della mostra. Nel catalogo figura un suo discorso inaugurale che a posteriori sembra assumere il significato di un testamento teorico (anche se scritto dieci anni prima della morte): ” Signore e signori! Non abbiamo più avuto occasione, da quattro anni a queÂsta parte, di portare davanti a voi con una mostra i risultati del nostro lavoro. Noi non consideriamo in alcun modo le mostre, come voi ben sapete, lo strumento ideale per stabiÂlire dei contatti fra artisti e pubblico, mentre in questo senso sarebbe per noi ben diversamente desiderabile, per esempio, la realizzazione di grandi incarichi pubblici. Ma fino a che la vita pubblica è determinata in maniera prevalente da questioni economiche e politiche, quella delle mostre è l’uniÂca strada che ci rimane, e dobbiamo quindi essere estremaÂmente riconoscenti a tutti gli interventi pubblici e privati che ci hanno dato le possibilità di percorrere questa via e dimoÂstrarvi che in questi anni durante i quali non abbiamo espoÂsto non siamo rimasti inoperosi, ma — forse proprio perche non avevamo la preoccupazione di esporre — abbiamo laÂvorato con impegno ed entusiasmo ancora maggiori per lo sviluppo delle nostre idee. Noi non siamo una cooperativa, un’unione, un’associazione, ma ci siamo ritrovati in questo modo informale solo in funzione di questa mostra, legati unicamente dalla convinzione che nessun settore del vivere umano sia così trascurabile e irrilevante da non offrire alÂcuno spazio allo sforzo artistico; che, per usare le parole di Morris, anche l’oggetto più umile, quando sia perfettamente realizzato, aiuta a migliorare la bellezza di questo mondo; e che, infine, il progresso della cultura è unicamente fondato sulla sempre maggiore compenetrazione dei fini artistici con tutti i diversi aspetti della vita. Conseguentemente, questa mostra non propone i risultati conclusivi di diverse carriere artistiche: essa è invece una rassegna delle tendenze dell’arte austriaca, un rapporto fedele sulla situazione attuale della cultura nel nostro stato. D’altronde il nostro concetto di ‘artista’ va inteso nel senÂso più ampio possibile, così come il concetto di ‘opera d’arÂte’. Esso va esteso dai creatori anche a quei fruitori che sono capaci di rivivere sensibilmente e di apprezzare le cose creaÂte. Per noi ‘artisticità ’ corrisponde a una comunità ideale di tutti i creatori e di tutti i fruitori. Il fatto che questo edificio abbia potuto essere costruito e che questa mostra abbia poÂtuto essere inaugurata sono le prove migliori che questa coÂmunità esiste, agisce ed è salda e vigorosa grazie alle sue forze giovanili e alla purezza delle loro convinzioni. Perciò le pretese dei nostri avversar! di combattere queÂsto moderno movimento artistico — magari affermandone la morte — sono del tutto inutili, poiché la loro lotta si oppone al divenire e al crescere, si oppone alla vita stessa. Noi abÂbiamo lavorato insieme da parecchie settimane per preparare questa mostra: adesso che è aperta ci separeremo e ciascuno di noi andrà per la sua strada. Ma forse, un giorno non troppo lontano, ci ritroveremo: in un altro raggruppamento e con uno scopo diverso. In ogni caso ora ci lasciamo ed io ringrazio tutti quelli che in questa occasione hanno collabo-rato per il loro impegno entusiasta, il loro spirito di sacriÂficio, la loro fede. Ma ringrazio anche i nostri mecenati e i nostri sostenitori che ci hanno reso possibile la realizzazione di questa mostra. E mentre vi invito, gentili presenti, a un giro nelle sale dell’esposizione dichiaro aperta la Kunstschau Wien 1908. Abbiamo definito queste parole il ‘testamento artistico’ di Klimt. Di fatto non esiste alcuna altra sua dichiarazione relativa a questioni artistiche. In questo discorso Klimt tracÂcia un bilancio importante: traccia anche il bilancio del proprio ‘enigma’. Come ‘ideologo’ Klimt fa riferimento alÂl’ideologia della grande “opera d’arte totale” destinata “a tutto il popolo” e rimanda a una frase del William Morris socialista. Non conosciamo altre sue dichiarazioni di allora sulle mostre intese come puro sostitutivo di qualcosa di più importante, cioè di “grandi incarichi pubblici”. Ma l’intima natura di Klimt, il suo animo di autentico individualista, contrasta con questa ideologia. Per questo moÂtivo egli sottolinea il fatto che gli espositori non costituiscono nessuna associazione, nessuna cooperativa, ma si incontrano solo per ottenere i migliori risultati possibili, liberi poi di andare ciascuno per la sua strada e magari di incontrarsi nuovamente. In altri termini, leggendo attentamente il discorso di inaugurazione di Klimt si può cogliere con chiarezÂza la sua duplice natura di ‘simbolista’ e di ‘pittore dell’Art Nouveau’. Allo stesso modo le opere di Klimt esposte alla mostra avevano il significato di una sorta di ‘testamento’. In quella occasione espose i prodotti più maturi del suo sviluppo, che fu intimamente logico ma che raggiunse un vertice che egli non poté più superare. Klimt, cioè, presentò i capolavori del suo ‘periodo d’oro’, caratterizzati in quanto tali da due dati di fondo: da un lato egli realizzò nella sua opera, tra il 1900 e il 1908, proprio ciò che definisce la sua caratteristica posiÂzione nell’arte del tempo; d’altro canto tale stile si fonda sulla piena utilizzazione delle possibilità espressive del colore d’oro – secondo Leon Battista Alberti un non-colore – che dopo l’alto rinascimento (con l’eccezione di Nicholas Hiliard tornò ad essere usato in pittura per la prima volta dopo William Blake e Philipp Otto Runge. Ma nessuno — compresi gli artisti medioevali – riuscì ad adoperare come Klimt in una maniera così differenziata questo colore (o “non-colore”) fondamentalmente antinaturalistico. ParalleÂlamente si verificò, nel ‘periodo d’oro’, una più ampia utilizÂzazione di elementi figurativi non oggettivi in composizioni tutto sommato non astratte ma percepite naturalisticamente: nei ritratti e nei paesaggi. Quando Klimt accennava al fatto che ogni espositore sarebbe poi andato per la sua strada per incontrarsi forse nuovamente con gli altri più avanti, egli dava espressione a una crisi artistica interna nel tono non impegnativo di un discorso ufficiale. Egli alludeva fra le righe al fatto che la sua  opera più importante di questa mostra, cioè Il bacio, poteva soddisfare solo a metà il suo spirito autocritico. Capiva di essere arrivato a una altezza dalla quale sarebbe stato possibile salire ancora soltanto imboccando nuove strade. Benché non si abbiano dichiarazioni di Klimt in proposito, noi sappiamo quanto sia stata profonda la sua visione. Non soltanto egli incoraggiò con ogni mezzo il giovane Egon Schiele, ma fece anche esporre opere di Kokoschka alla Kunstschau del 1908 e rese possibile la prima rappresentazioÂne del dramma dello stesso Kokoschka Mörder, Hoffnung der Frauen nel quadro della mostra. La disponibilità di Klimt nei confronti di ogni novità è ancora più chiaramente dimoÂstrata dal fatto che il manifesto di questa mostra si deve proprio a Kokoschka. La crisi interna che Klimt stava allora patendo può esÂsere avvertita anche nella sua attività . Il 1909 si aprì con l’esecuzione del fregio di palazzo Stoclet a Bruxelles, conÂdotta dalle Wiener Werkstätte sotto la sua supervisione. Quest’opera monumentale del ‘periodo d’oro’ fu eseguita su un fondo di marmo bianco come una sorta di tarsia di eleÂmenti di rame, argento, mosaico d’oro, pietra dura, corallo e maiolica colorata. Il tema di fondo si sviluppa sulle due pareti più lunghe ed è costituito da un albero della vita con i rami a spirale: da una parte c’è la figura orientaleggiante di una fanciulla solitaria (L’attesa) e dall’altra una varianÂte del Bacio: L’abbraccio. Nello stesso anno ebbe luogo, nell’edificio che aveva già ospitato la Kunstschau Wien 1908, la Internationale Kunstschau Wien 1909, organizzata ancoÂra su consiglio di Klimt: vi erano esposte non solo opere di Gauguin, Van Gogh, Toorop, ma anche di Bonnard, Vuillard, Vallotton e Matisse. I quadri di Klimt di questo peÂriodo dimostrano quale impressione avessero esercitato su di lui i lavori di Matisse. Il grande quadro simbolista Vita e Morte, per esempio, aveva in origine un fondo d’oro, che poco tempo dopo fu ricoperto di blu. Da questo moÂmento in poi l’oro scompare, in generale, dall’opera di Klimt, per lasciar posto all’alternanza tra un più intenso colorismo, spesso indicato come ‘espressionistico’, e una modulazione melanconica dei toni, tendente alla monocromia. Gli unici scritti di quest’epoca sono lettere, anzi sopratÂtutto cartoline: Klimt viaggiò molto fin dall’inizio della sua carriera e da ogni località mandò sempre cartoline molto laconiche. Ne restano parecchie con la semplice scritta: “SaÂluti affettuosi. Gustav”. Klimt d’altronde era estremamente parco di parole. In precedenza, per esempio, aveva rilasciato interviste alla amica e critica d’arte Bertha Zuckerkandl relative alla complicata vicenda dei suoi due pannelli per la copertura della sala dell’università di Vienna (distrutti nel 1945): in esse esprimeva nel modo più aspro il suo maluÂmore per la situazione culturale austriaca. Ma del soggiorno parigino del 1909 pare che abbia taciuto le sue reali impresÂsioni anche verbalmente. Il noto mecenate di Schiele Arthur Roessler, che conosceva bene Klimt, non è sempre un testiÂmone assolutamente attendibile ma comunque scrive: ” Klimt era stato a Parigi. Gli amici viennesi, che si aspettavano racconti sensazionali sulla nuova Roma della pittura moderÂna, lo assalirono con le loro domande: ‘Com’era? Ti è piaÂciuto?’ ‘Per niente — rispose Klimt — lassù dipingono tropÂpo’”.1 Dopo il fallimento dei suoi grandi progetti ideali di ‘pitÂtore dell’Art Nouveau’ Klimt rimase semplicemente un ‘simÂbolista’. Ciò nonostante, guardandosi indietro, poteva vanÂtare una carriera piuttosto eccezionale per un artista moderÂno della sua generazione. Mentre tutti i simbolisti suoi conÂtemporanei provenivano dal tardo naturalismo e dall’impresÂsionismo, o anche dal pointillisme (che attorno al 1900 inÂfluenzò anche lui), Klimt esordì come pittore accademico di grande successo; tuttavia, già negli anni della Künstlerkompanie con Franz Matsch e il fratello Ernst (più giovane di lui e morto prematuramente), si può dire guardasse idealÂmente alla creazione di una comunità artistica superindivi-duale. La carriera accademica raggiunse i suoi vertici nei dipinti monumentali eseguiti nel 1888 sulle grandi rampe dello scalone del nuovo Burgtheater di Vienna; quest’opera gli valse il più alto riconoscimento dell’imperaÂtore Francesco Giuseppe e il conferimento della croce d’oro al merito e di un compenso che gli rese possibile dedicarsi tranquillamente e senza preoccupazioni alle sue nuove ricerÂche. Che portò avanti in silenzio finché, nel 1892, ricevette con Franz Matsch l’incarico dei già menzionati pannelli di copertura per la sala dell’università di Vienna, concepiti poi nello spirito di un simbolismo deterministico-pessimista, di ascendenza schopenhaueriana. Quando nel 1900 la loro Filosofia fu esposta alla Secessione in uno “stato inÂcompiuto”, il dipinto, rivoluzionario anche sotto il profilo formale, provocò le più violente proteste degli ambienti conÂservatori. Ciò è ben comprensibile per il contenuto, visto che il valore di conoscenza della filosofia positivista viene qui fondamentalmente messo in discussione: perfino il Sapere emerge dal caos del mondo come una sorta di mistero. Nel catalogo Klimt fornisce, del dipinto, la seguente spiegazione: “Gruppo di figure a sinistra: la Nascita, la Riproduzione e la Morte. A destra: il globo terrestre, il mistero del mondo; emergente dal basso una figura illuminata: il Sapere”. Klimt e i suoi amici lottarono ostinatamente e con granÂde determinazione perché questo e gli altri due dipinti — La Medicina e La Giurisprudenza — fossero apÂprovati. Ma la battaglia finì con una sconfitta. Dopo una lunga fase di contrattazione Klimt riuscì soltanto a otteÂnere, nel 1905, su sua richiesta, di ricomperare i tre quadri, ossia di restituire l’alto compenso che aveva avuto e di teÂnere per sé le opere. Benché simili questioni di politica artiÂstica siano in sé interessanti, dal nostro punto di vista è più rilevante che Klimt già in questi lavori abbia introdotto un tema di fondo di tutta la sua arte. È il tema dell’inspiegabile, del perpetuo mutamento della natura inaccessibile alÂl’intelletto umano: del suo sviluppo circolare che comincia con la generazione e con la nascita e attraversa tutti gli stadi della vita fino alla morte, per avere quindi un nuovo prinÂcipio. Poiché questo tema è più facilmente comprensibile se riferito al vivere umano e ha fondamenta essenzialmente biologiche, Klimt viene spesso considerato, un po’ unilateralÂmente, come il pittore dell’erotismo per eccellenza. Come per il suo contemporaneo Freud, questa tematica era per lui indubbiamente importante: ma nei paesaggi egli osservò con gli stessi occhi anche la natura. L’enigma della grandezza di Gustav Klimt sta proprio nel fatto che questi aspetti diversi raggiunsero, nel suo laÂvoro, la sintesi più alta e unitaria. Una sintesi che peraltro getta un ponte sui mutamenti cronologici dello stile. C’è una breve poesia, scritta da Klimt nell’estate 1917, poco prima della sua morte (avvenuta nel 1918), che ci sembra giusto citare in conclusione. Nello stesso modo in cui il discorso all’inaugurazione della Kunstschau Wien 1908 costituisce il ‘testamento’ di Klimt ‘pittore dell’Art Nouveau’, così queste righe sono l’ultima confessione di Klimt ‘simbolista’:  Die Wasserrose wächst am See Come tutta la grande arte così anche la pittura di Klimt può essere considerata, al di là delle circostanze del tempo. sub specie aeternitatis. Ci sono stati pochi artisti che nelle loro capacità formali hanno raggiunto una simile, raffinatissima sensibilità . La critica dell’espressionismo trova la sua arte, proprio per questo, troppo decadente e ‘artistica’: ma è inutile, oggi, voler controbattere a simili obiezioni. Basta pensare a quale gruppo di artisti Klimt appartiene al di fuoÂri del suo tempo. Mutatis mutandis si potrebbe infatti caratterizzare la sua arte con le parole che il più grande critico del romanticismo inglese, William Hazlitt, usò a proposito di Watteau in Sketches of the principal Picture Galleries in England: “NelÂla produzione di questo artista vi è qualcosa di eccessivaÂmente luminoso, gradevole e caratteristico. Si potrebbe anÂche dire che egli alita le sue figure e i suoi fiori sulla tela, tanto sono fragili nella loro struttura e così evanescenti nel suo tocco […] I suoi alberi hanno un’aria salottiera, un aspetto signorile e cerimonioso e annuiscono graziosamente: mentre le figure, in basso, sottili come l’aria e vestite di veÂgetazione, sembrano essere appena saltate fuori dal terreno con tutta la loro affettazione e le loro smorfie, o sembrano anche i fiabeschi protagonisti di un ballo mascherato.”  1A. Rossler, Der Malkasten. Künstleranekdoten, Wien 1924, p.  119. 2La ninfea che cresce sul lago / è in fiore / in un uomo bello / vi è pena nel cuore. Letto 922 volte.

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