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ARTE: I Maestri: Nella selva dell’informale

28 Maggio 2010

di Dino Buzzati
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 14 aprile 1969]

Michel Tapié mi fa da guida alla grande mostra internazio ­nale d’arte astratta â— cin ­quantacinque pittori di quindi ­ci paesi â— ch’egli stesso ha or ­dinato nella Galleria Cortina, in via Fatebenefratelli 15. E’ intitolata: «Spazi astratti ».

Quando si dice Tapié, si pen ­sa all’art autre, espressione che il critico francese varò con suc ­cesso nel 1952 per indicare una arte diversa da tutto quello che era stato fino allora. In pra ­tica art autre si riferisce al ­l’informale, cioè alla pittura astratta non geometrica (Tapié non ha alcun debole per Mondrian).

A parte Pollock, â— un suo quadro, atteso per la mostra, non ha potuto arrivare in tem ­po â— ci sono qui i più bei no ­mi appunto dell’informale e dell’action painting, da Hof ­mann, fondatore della scuola di Nuova York al nostro Lucio Fontana, da Clyfford Still a Wols, da Mathieu a Capogrossi, dallo spagnolo Tapiés, un cui grande muro sbrecciato do ­mina il salone d’ingresso, al giapponese Insho, l’ultimo gran ­de maestro che conosca la tec ­nica segreta Sumi e che pro ­babilmente non la trasmetterà a nessuno per la mancanza di allievi degni.

Data la varietà dei tempera ­menti, si è dovuti ricorrere, mi dice Tapié, a un accrochage di buon vicinato. « E’ una specie di collezione personale », ag ­giunge; ma le opere per la maggioranza appartengono al Centro di ricerche estetiche di Torino,   fondato   dallo stesso Tapié coll’architetto Luigi Mo ­retti.

La caratteristica saliente di Michel Tapié è di essere, nel ­l’aspetto, nei modi e nel lin ­guaggio, un aristocratico. Ni ­pote di Toulouse-Lautrec  – suo padre e il famoso pittore erano primi cugini â—, nipote di Fayet, che aveva una cele ­bre collezione di quadri impressionisti, fin da ragazzo vis ­se, si può dire, nella pittura. Studente, a Parigi, entrò in confidenza con Tristan Tzara, Max Ernst, Mirò. Studi d’arte, di estetica, di filosofia scientiffica. « Sono venuto all’astrazio ­ne da Bertrand Russel ». Ma soltanto dopo l’ultima guerra si è delineata la sua genialità di critico. Si rese conto allora che il grande fenomeno del ­l’art autre non aveva frontie ­re. « Si installò » quindi nel viaggio, con una media di due ­centocinquantamila chilometri all’anno. Dal 1957 a oggi è an ­dato in Giappone trenta volte. Ha scritto una quantità di sag ­gi, ha organizzato una quanti ­tà di esposizioni, adesso si ap ­passiona soprattutto di ricer ­che estetiche, cercando di in ­trodurvi il metodo dell’« assio ­matica » moderna. Afferma che oggi, per l’arte moderna, le due città più vive sono Nuova York e Milano.

I cinquantacinque pittori so ­no stati divisi in sei famiglie tra cui abbondano tuttavia i vasi comunicanti: quelli della astrazione lirica, cioè non geo ­metrica; i metafisici della ma ­teria-spazio, in cui ha molta importanza la ricerca materi ­ca; quelli del barocco insiemi ­sta, e l’espressione può dare un’idea della tendenza; quelli degli spazi ipergrafici, in cui la scrittura diventa mezzo e-spressivo pittorico; quelli delle strutture di ripetizioni o degli spazi algoritmici, come il nostro Capogrossi e lo stesso Fon ­tana; infine quelli degli spazi generalizzati, termine questo coniato da Tapié e che può comprendere tutte le preceden ­ti categorie.

Chiaro che non si possono descrivere ottantotto quadri, in ­formali per giunta, neppure darne una pallida idea. E’ una fitta e vasta selva. Si incontra ­no immagini piene di vigore e di vita, si odono musiche squi ­site e persuasive voci, si resta impressionati da certi ritmi e fantasie. Ma la varietà dei mo ­di è tanta che, per assurdo, su ­bentra un senso di monotonia E confesso che l’impressione complessiva, al termine di una prima visita (non avevo accan ­to il sapiente Tapié) era piut ­tosto scorata e malinconica.

Al proposito ho chiesto a Ta ­pié se questa vasta mostra non possa apparire come una retro ­spettiva storica, nel senso che il ciclo dell’arte astratta debba considerarsi ormai compiuto. Sul fronte del non figurativo non si avverte da diversi anni una specie di stanchezza, di scoraggiamento come se i risul ­tati, anche i più apprezzabili, risultassero poveri, al confronto delle sublimi intenzioni? Non è sintomatico il fatto che molti artisti informali sono tornati a dipingere oggetti, persone e pae ­saggi ben riconoscibili? E che la più parte dei giovani punta oggi decisamente alla figura ­zione?

« Lo so che si dice questo â— risponde Tapié, il quale sull’ar ­gomento ha le idee molto chia ­re â—, ma penso trattarsi soprattutto di un equivoco. So ­stengono che l’arte astratta è morta: che solenne sciocchezza Si è cominciato nel 1958 col neo-dada, poi è venuto il junk style (stile spazzatura), da cui è uscita la pop-art, poi la op art, poi l’arte cinetica, poi la minimal – art, eccetera. A me sembrano delle suites poco serie, agli antipodi della vera avanguardia. Avventure di mo ­da, nient’altro. Mi ricordo che chiesi a Tristan Tzara, a lui che, negli anni dieci, aveva fat ­to il vero dada, e tutto il mon ­do gli era contro: ‘Che cosa ne dici del neo-dada? E’ stato consacrato dal Museo d’arte moderna di Nuova York, è sta ­to preso sul serio dalle Art News’. E lui: ‘Lo sai che io sono marxista. Bene, auguro al neo-dada il più grande suc ­cesso, sarebbe la più bella di ­mostrazione che la borghesia ormai è putrefatta’. Sì, le mo ­de, per vivere, hanno bisogno di fare baccano, per vivere si sono messe a urlare che l’arte astratta è morta. Morta? E’ un dominio immenso, per la mag ­gior parte ancora vergine. Se ­condo me, in questo ‘ altro ‘ regno abbiamo fatto soltanto pochi, timidi, ingenui passi, in ­tuitivi ed empirici. C’è ancora quasi tutto da tentare, quasi tutto da esplorare, da scoprire e da capire ».


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Bart