GIALLO: L’usuraio #3/18
9 Novembre 2008
di Bartolomeo Di Monaco
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L’usuraio  #3
La sera, sul tardi, al bar non si discuteva d’altro. C’era anche Angelino, il dottore; e c’era pure l’usuraio Domenico Santo, detto Nasone.
«Domani, Angelino, fai un salto da don Saverio, e vedi se sta bene. »
«Perché non mi avete chiamato? »
«È stato lui a non volerlo. »
«Per me gli sta bene » disse Nasone. «Li ho sempre avuti antipatici, i preti. Si mettono in mezzo, e sono buoni solo a far prediche. Ma dico io, lo sanno o no come va il mondo? Sono più di duemila anni che fanno i loro sermoni, e che cosa è cambiato? Bisogna essere dei pescicani per sopravvivere. » Nasone stava seduto in circolo con gli altri. Al centro avevano un tavolo pieno di bicchieri di vino. Ogni tanto qualcuno allungava la mano per bere. Era arrivato anche uno degli ingegneri, di nome Sebastiano, aveva visto il gruppo e s’era informato.
«Non sono cose da sentire. » Era un bel giovane, sposato da poco, biondo e con gli occhi azzurri. Da scapolo aveva fatto la festa a molte ragazze, così correva voce, ed ora non era certo che avesse messo la testa a posto. Forse no, a sentire certe chiacchiere. La moglie era carina, altri uomini avrebbero fatto Pasqua con lei, ma si vede che l’ingegnere non si accontentava. Quella poverina, doveva saperlo che ci aveva le corna, perché quando parlava con le amiche, non le guardava troppo a lungo negli occhi, li abbassava, o li indirizzava altrove.
«Che ne pensi, Sebastiano? »
«Lui lo sa com’è il mondo oggi. Non è stato prudente salire lassù da solo. »
«Io glielo avevo sconsigliato, ma don Saverio quando si mette in testa una cosa è peggio di un mulo. »
«Se è andato da solo, una ragione ci dev’essere » fece Nasone, alzando il viso al soffitto.
«Che vuoi dire, Nasone? »
«Voglio dire che ci potrebbe avere qualche femmina per le mani. » Era tornato a guardare i compagni.
«Tu non la perdi l’occasione, se puoi parlar male di un prete. Ma, iolai, perché non ti guardi addosso, invece di gettare sospetti sugli altri? » Era Olimpio, che andava su tutte le furie se gli si toccava il prete.
«Che vorresti dire » fece subito Nasone, che lo capì bene a che cosa alludeva Olimpio.
«Dico che ognuno dovrebbe guardare in casa  propria, perché nessuno è perfetto, e ci abbiamo tutti, me compreso, i nostri peccatucci nell’armadio. »
«Se è per questo, a me, un armadio solo non mi basta. » L’ingegnere era andato a prendersi una sedia e ora si metteva accanto a Nasone. Continuò. «Non è da scartare l’idea che ci sia di mezzo una donna. Non è mica la prima volta che succede. I preti son uomini uguali a noi, e le donne piacciono anche a loro. Ricordatevi che se un prete si mette in testa di sedurre una donna, non c’è cacciatore più capace. »
«Se lo dici te, Sebastiano… »
«Lo dico perché è vero. A Lucca poi c’è la tradizione. »
«Mi pare che esageri, ora. » Era di nuovo Olimpio, che sbuffava.
«Esagero!? Dici così perché non conosci la storia, caro Olimpio. »
«Del resto tra preti, frati  e monache, non saprei chi è peggio. » Era Nasone.
«Che c’entrano le monache. »
«C’entrano, c’entrano… Come i preti e i frati. Diglielo te, Sebastiano, che queste cose le hai studiate, e non le hai sentite mentovare come me. »
«Ora ce le devi raccontare anche a noi, Sebastiano » gridò uno del mucchio, facendo una gran risata.
«Ridi, ridi » disse un altro, «ma se son vere, ci sarebbe da piangere. Io quando vado in chiesa, il prete lo considero come Dio in Terra. »
«Dio in Terra è il Papa, bischero. Chi te l’ha insegnato il catechismo? »
«Dio o non Dio, per me il prete è come un santo. »
«Allora sei due volte bischero » disse Nasone. «Dai preti ti devi guardare, mentre con le suore ci puoi… »
«Smettila Nasone! »
«O Olimpio, a me, me l’hai già rotte; se non le vuoi sentire queste cose, tornatene da Sunta. »
«Lo sai quel detto, scherza coi fanti, ma lascia stare i santi? »
«Se i preti e le monache fossero santi, li lascerei in pace, ma i più sono uomini come noi, e il resto son diavoli. »
«Ma te Nasone, te le confessi queste sciocchezze? »
«Non me le confesso, perché non sono un baciapile, io, e non sono come te, Olimpio, che fai la comunione tutte le domeniche. Sei un mangiaostie, ma vorrei chiederlo alla tua Sunta, se sei un cristiano come si deve anche a letto. Mi sa che la notte Sunta ti fa diventare diavolo anche te. » Risero tutti, e Olimpio diventò rosso, segno che era vero.
«Su, Olimpio, non te la prendere, noi si scherza. Altrimenti come si passa la serata? »
«Io non ci credo che il nostro prete abbia una femmina per le mani. »
«Potrebbe anche darsi che ce l’abbia, invece. La volete sentire quella storia dei conventi, e delle monache e dei preti che se la spassavano? »
«Basta che non siano frottole, Sebastiano. »
«Le potete leggere sui libri di storia. » Tutti si chetarono e l’ingegnere si mise a raccontare per filo e per segno quello che successe a Lucca soprattutto alla fine del ‘300 e ai primi del secolo successivo, e di quando, nel 1404, Paolo Guinigi, signore di Lucca, dopo aver riformato alcuni conventi, scrisse al suo ambasciatore a Roma, perché il Papa autorizzasse lui e il cugino arcivescovo a riformare anche gli altri che, situati nel territorio lucchese, non ricadevano sotto la loro giurisdizione, per il “disonesto vivere che si facea in ne’ monasterii di Luca & di fuora per lo contado“[1].
L’ascolto si fece intenso. Si chiedevano maggiori particolari, soprattutto quando si parlava della lussuria delle monache, e Sebastiano pensò bene di dilungarsi a raccontare di quei preti che scalarono le mura del convento di Pontetetto, o di quel grosso canonico della Cattedrale che se la intendeva con la badessa del convento di Brancoli.
Si stavano facendo le ore piccole. Nessuno aveva voglia di tornare a casa, nemmeno Olimpio.
«Sunta ti verrà a prendere, se non torni a casa. »
«Pensa ai fatti tuoi. »
«Ti toccherà scalare il muro e entrare dalla finestra, anche a te. » Risero tutti di nuovo.
«Ma sono successe davvero? »
«E come mai non ce l’insegnano a scuola? »
«Se ci insegnassero da piccoli che anche ai preti e alle monache piace fare all’amore, te lo immagini che casino! » Risero ancora.
«Per fortuna che ci pensò Paolo Guinigi a mettere a posto le cose. »
«Al contrario, quel che fece non servì a niente. »
«Vuoi dire che tutto continuò come prima? »
«Più o meno. »
«Spiegati meglio. »
«La lussuria è parte dell’amore. Noi siamo bestie, come i leoni, come le scimmie, abbiamo bisogno di dare sfogo ai nostri sensi. Nessuno li può reprimere. Solo i santi, ma quelli veri, che sono pochi. »
«Che cosa successe ancora? »
«Immagina ciò che vuoi, e sappi che proprio quello è accaduto. »
«Ma qui a Lucca, qui da noi? Non ci credo. »
«E perché non ci devi credere? »
«Ma a Lucca, via, una città così costumata… »
«Costumata lo dici te. È bacchettona di fuori, e lussuriosa di dentro. »
«Ma che dici? »
«La verità . »
«Non è possibile che qui da noi siano successe cose simili. »
«Hai detto bene. Qui da noi. Perché proprio a due passi da noi, a Gattaiola, c’era il convento di Santa Chiara, dove ne sono successe di cotte e di crude. »
«Ma allora ce le devi raccontare. »
«Sul convento di Santa Chiara ve ne racconto una, ma di quando non era più situato qui a Gattaiola, bensì a Lucca, vicino alla chiesa di San Francesco. Siamo alla fine del ‘500, e precisamente nel giugno del 1593. »
«La conosco questa storia » fece Nasone.
«Allora raccontala te. »
«È la storia di Lucrezia Buonvisi? » domandò per essere sicuro.
«Proprio quella. Non ti pare una bella storia? »
«Altroché! »
«L’abbiamo avuta anche noi la nostra Monaca di Monza, e quella lucchese non era da meno, non è vero, Nasone? »
«Quando entrò in convento per sfuggire al castigo della legge, dopo che ebbe fatto assassinare il marito dall’amante, si fece chiamare suor Umilia, bel nome no? »
«Come principio non c’è male » fece quello che aveva guidato la macchina di don Saverio. «Stasera a casa non ci torno, se ne hai ancora di così belle. » Guardò l’orologio, era quasi mezzanotte.
«Che fai, Olimpio, resti anche te? »
«Di qui non mi muovo. »
«Però la storia di Lucrezia, ce la deve raccontare Sebastiano, che è istruito, e le sa dire bene queste cose. Te non ci restare male, Nasone, perché se si trattasse di soldi e di affari, allora la parola spetterebbe a te, ma qua occorre aver studiato, per narrare una storia simile a degli ignoranti come noi. »
«Per me va bene, » rispose Nasone «anzi, così me la posso godere anch’io un’altra volta. Forza, Sebastiano, siam tutt’orecchi. » Passarono la mezzanotte con la storia licenziosa di Lucrezia Malpigli, andata in sposa a Lelio Buonvisi, della potente famiglia lucchese, innamorata invece di Massimiliano Arnolfini, amore che fu causa delle successive sciagure. Quando se ne uscirono era trascorsa l’una. Olimpio si preoccupava di dover tornare a casa a quell’ora insolita.
«Vuoi che ti accompagniamo noi, Olimpio? Gliela troviamo noi una scusa, a Sunta. »
«Lo so io quel che ci avete in testa di raccontarle… È meglio che stiate alla larga; lo sapete che Sunta è gelosa, e se le parlate di donne, lei ci crede, eccome! »
«E son legnate. »
«Legnate, no. »
«E allora? » Anche se era notte, bastò la luce del lampione a smascherare Olimpio, che era tornato a diventare rosso come un cocomero.
«Abbiamo capito » risero i compagni. «Andresti in bianco, non è così? »
«Mi sa che in bianco ci va lo stesso, stasera. »
«E anche noi, se non facciamo presto. Perché se donna dorme, uomo non piglia pesci. »
«E anche don Saverio, stasera, i pesci non li deve aver presi. »
«Io non ci credo a una storia di donne. Gli hanno rubato la croce, non te lo ricordi? E questa è una cosa che deve avere un significato. Che se ne fa uno di una croce come quella, che non vale una cicca, se la vuoi vendere? »
L’odio verso i preti era cresciuto. A mano a mano che la società evolveva, si aveva fastidio della religione, che diventava un peso ingombrante per la coscienza. Se non c’era, si poteva meglio agire e pensare. Qualcuno sosteneva che non ci poteva essere vera libertà , se persisteva il sentimento religioso. Tornavano a diffondersi vecchie teorie del passato, ma ora se ne doveva avere più timore, perché c’era più scienza, e queste idee si mescolavano con ingredienti assai temibili. Riti satanici si erano diffusi dappertutto, anche nel paese si era verificato qualche brutto episodio. Nessuno li combatteva seriamente e si era formata la convinzione che ciò avvenisse per istigazione di coloro che, attraverso quelle moderne bestialità , intendevano combattere anche la Chiesa. Sarebbe stato facile dire che tutto il male derivava dalla religione, bianca o nera che fosse. Â
[1] Salvatore Bongi: “Storia di Lucrezia Buonvisi”, Maria Pacini Fazzi – Editore, 1978, pag. 192.
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