GIALLO: L’usuraio #8/18
14 Novembre 2008
di Bartolomeo Di Monaco
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L’usuraio  #8
Qualche giorno dopo, ricominciava la scuola a Faustino. Per le sorelle, che andavano all’università , non era mai cessata. Avevano studiato anche di agosto per essere pronte agli esami. Dopo quelli di settembre, Angela ne aveva uno ai primi di novembre e Antonietta si stava preparando per metà ottobre. Marisa studiava spesso con Antonietta, la secondogenita, quando aveva assolto ad alcune incombenze in negozio, che capitavano soprattutto di mattina, allorché il babbo doveva uscire. Verso le tre del pomeriggio, in sella al motorino, Marisa arrivò a casa di Antonietta. Teneva sulle spalle lo zainetto pieno di libri. Suonò e il portone fu aperto senza che si affacciasse alcuno, perché si sapeva che era lei. A Faustino piaceva Marisa, che era più grande di lui, e quasi sempre si faceva trovare accanto a Antonietta, quando arrivava. Studiavano in una stanzetta del primo piano, dove era meno confusione. In quelle circostanze, Angela si trasferiva al piano terra, e Faustino saliva in soffitta, dove si era organizzato anche per portarvi gli amici. Era una soffitta molto grande, con due finestrine che offrivano una vista assai piacevole. Spesso, specialmente quando era solo, si baloccava stando lì, e da una parte vedeva gli argini del Serchio e la bella pioppeta, e dall’altra la chiesa, il cimitero, il canale Ozzeri e la piccola collina, su cui sorge la parte più antica del paese. Marisa era più bella delle sue sorelle, e soprattutto era allegra, non aveva mai il broncio. Anche nelle giornate di pioggia, o quelle brumose, cupe, che mettono malinconia addosso alla gente, lei aveva sempre il sorriso sulle labbra, era pronta allo scherzo o alla battuta. Angela e Antonietta, invece, erano meno inclini all’allegria, e certe giornate lui non ce la faceva proprio a sopportarle. Non sapeva, Faustino, se era la bellezza di Marisa o il suo carattere ad attrarlo di più.
«Lunedì finirà anche per te la cuccagna. » Marisa stava salendo le scale del primo piano e Faustino era uscito dalla stanza, come qualche volta faceva, per andarle incontro. Stava sul piccolo pianerottolo.
«Non me ne parlare, ho un diavolo per capello » rispose lui.
«Che si dovrebbe dire noi, allora, che non abbiamo fatto nemmeno le vacanze. » Teneva ancora lo zainetto sulle spalle. Giunta sul pianerottolo, cominciò a toglierselo. Faustino fu pronto ad aiutarla.
«Eeeh, quanti libri! Ma che ci avrete mai da studiare! »
«Scherza, scherza, ma il prossimo anno sarai anche tu all’università , e allora voglio proprio farmi due risate. »
«Dà i qua, che te lo porto io lo zainetto. Voi ragazze, siete tutte un bluff. Riempite lo zainetto per farvi belle agli occhi degli stupidi. Scommetto che dentro c’è un po’ di tutto, e un solo libro che serve. »
Erano entrati nello studio, e Antonietta aveva già sul tavolo i suoi libri.
«Non dire cretinate, » si rivolse al fratello «altrimenti oggi facciamo studiare te al nostro posto, non è vero, Marisa? »
«E noi ce ne andiamo a spasso. » Faustino si era messo seduto. Antonietta gli aprì davanti un libro molto voluminoso.
«Storia del diritto romano, una gran barba. Accomodati pure. » Era vero però che lo zainetto era un porto di mare. Marisa ne cavò fuori di tutto.
«Sì, è vero, c’è anche qualche libro che non serve. » Si mise a ridere. C’erano anche quadernoni per gli appunti, e tutti quegli aggeggi da toeletta che Marisa portava sempre con sé.
«A che ti servono questi? »
«Per essere bella agli occhi dei ragazzi curiosi come te. »
Faustino non seppe rispondere, e non sapeva farlo tutte le volte che Marisa gli indirizzava battute come questa. Si era preparato, anche, per farvi fronte, ma Marisa riusciva sempre a sorprenderlo. Senza dire altro, piano piano uscì dalla stanza.
«Faustino è un gran timidone » disse subito Antonietta.
«È un bravo ragazzo. »
«Penso che tu gli piaccia. »
«Gli devono piacere tutte le ragazze che incontra, perché non lo vedo mai solo. »
«Sono le ragazze che gli vanno dietro. Lo sai bene come siamo fatte. » Faustino era un bel ragazzo, infatti, e anche un po’ timido e ombroso, e questo accresceva il suo fascino. Le ragazze cercavano la sua compagnia, e lui, senza volerlo, le attirava come il miele. Marisa però, almeno all’apparenza, era una ragazza che non ci pensava a queste cose, e badava a finire gli studi. Sapeva dal padre che la vita era diventata difficile, e che una ragazza poteva sperare di farsi strada solo se avesse prima terminato gli studi. Senza gli studi, la speranza di trovare un lavoro era meno che zero.
Si era affacciata Angela a salutare. Quando veniva qualche amica di Angela, si rovesciavano le parti, ed era Antonietta a scendere al piano terra.
«Sono stanca che non ti dico, Marisa. Stamani nostro padre ha voluto che l’aiutassimo nel campo. Non si rende conto che anche studiare è fatica. Certe volte le invidio, le nostre amiche che sono ricche, e non hanno di questi problemi. »
«Anch’io stamani sono andata in negozio. Meno ne ho voglia, e più mio padre pretende che vada ad aiutarlo. È un periodo poi che è così nervoso… I nostri genitori vogliono che si studi, e poi esigono che li aiutiamo anche nel loro lavoro. Non è un po’ troppo? »
«Gli uomini, li dovremo sopportare per tutta la vita » aggiunse, facendo una gran risata.
Rispuntò Faustino, che si era nascosto nella stanza vicina, e sentiva tutto.
«Siamo noi che sopportiamo voi donne. A voi, gli uomini fanno comodo. »
«E perché? »
«Se vi potete permettere i grilli per la testa, è grazie agli uomini, che si prendono su di sé tutte le preoccupazioni della vita. »
«Ne sei proprio sicuro? » Era ancora Marisa.
«E come no? Dimmi allora chi li tiene i pensieri di una famiglia. L’uomo o la donna? »
«La donna, caro mio. Tu sei ancora un maschilista e hai il prosciutto sugli occhi. Voi uomini vi credete di mandare avanti la famiglia, ma siamo noi donne, in silenzio, zitte zitte, che sbrighiamo tutto. Voi fate solo la ruota come i pavoni, vi fate belli, ma senza noi donne sareste niente. »
«Parli a vanvera, Antonietta. »
«Allora secondo te, chi la manda avanti la nostra casa, babbo o mamma? » Era Angela.
«Babbo, diamine! »
«Allora sei proprio cieco. È mamma che manda avanti la casa. Babbo è buono solo a sgobbare, ma il cervello ce lo mette la mamma. »
«Questo lo dici te, perché sei una donna come lei. Rispondimi a questo. La nostra società è come la famiglia, non è così? E chi la manda avanti? »
«Guarda che ci sono anche industriali e manager donna. Tu sei rimasto al medioevo. »
«E al governo, ci sono le donne? »
«È per questo che si va male! » Era Marisa.
«Con le donne si andrebbe peggio. »
«Mettila come ti pare. Tanto te, ci hai i paraocchi come i cavalli, e non ti riesce di vedere come stanno realmente le cose. Sei un maschilista. Quando si discute con voi uomini, è sempre così. Voi vi offendete se vi diciamo la verità . Preferireste ignorarla, perché vi dà fastidio scoprire che nonostante le vostre leggi maschiliste, siamo noi donne a reggere il borsellino. Noi vi lasciamo urlare, sbraitare, agitarvi come tanti gorilla, e vi sopportiamo, perché è con voi che dobbiamo fare i figli. Altrimenti, sareste spariti da un pezzo dalla faccia della Terra. Sareste estinti, come cosa inutile. » Questa tirata era di Antonietta.
Olimpio e Sunta stavano nel campo, non sentivano niente di quei discorsi, altrimenti ci avrebbero messo bocca anche loro. Qualche volta succedeva. E Sunta era d’accordo con le figlie, naturalmente, e Olimpio con Faustino. Ci facevano mezzanotte, certe sere, e Olimpio andava a letto più arrabbiato che mai, e la discussione, certe volte, voleva continuarla anche sotto le lenzuola, e Sunta che gli diceva: «Ma falla finita, che tanto vuoi sempre aver ragione tu, come i micci. »
«Che c’entrano i micci. »
«C’entrano, c’entrano… » faceva lei, e Olimpio allora andava su tutte le furie, perché capiva che il miccio era lui.
Angela tornò di sotto. Antonietta levò dalla tavola il libro di storia del diritto romano e lo mise sotto il muso di Faustino.
«Noi dobbiamo studiare. Per emanciparci. Allora facci un piacere. Prendi le tue belle gambine ed esci da questa stanza. »
«E se Marisa volesse ancora discorrere con me? »
«Non vuole, non vuole… È stufa anche lei di sentire gli stessi discorsi di voi uomini. Non avete fantasia, voi uomini, e dite sempre le stesse stupidaggini. Da tanti secoli, le dite, ma un giorno o l’altro ve le ricacciamo in gola. »
«Da dove ti nasce oggi tutto questo risentimento… »
«A vedere la tua bella faccia, mi nasce. »
«Sono così brutto? »
«Sei un uomo! Basta e avanza. »
«Ma tu la senti, Marisa, che vipera è la mia sorellina… Non sei mica così velenosa anche te? »
«Anzi, di più. Ricordati che, al contrario degli uomini, noi donne siamo solidali, e se c’è qualche battaglia da fare, noi si sta unite, mentre voi uomini vi sparpagliate ai quattro venti. »
Antonietta e Marisa cacciarono Faustino dalla stanza.
«Dobbiamo studiare. Lo vuoi capire che non ci interessano le tue ciance? Tanto sei un maschilista, e noi perdiamo tempo coi tipi come te. »
«Vi ho punto sul vivo, ecco perché mi scacciate. »
«Se non te ne vai, lo sai dove ti pungiamo? »
«Dove? »
«Va là , che lo sai benissimo » disse Marisa.
«No, che non lo so » fece lui.
«Allora sei un minchione » disse Antonietta.
«Non è un minchione » fece Marisa. «È uno che vorrebbe farsi pungere, non è vero, Faustino? »
«Brava Marisa, ce ne vorrebbero tante di ragazze come te. »
«Perché? Non sono come me le tue amiche? »
«Come te, ce n’è una sola. Dio ha buttato via lo stampo. »
«Lo senti, Antonietta, com’è galante il maschilista? »
«Ci leverebbe dal mondo, se non avesse bisogno di noi. »
«Bisogno di voi, io!? »
«Sì, sì, bisogno di noi! »
«E bisogno di che? »
«Lo sai bene di che. » Era ancora Antonietta.
«Tu ci capisci qualcosa, Marisa? L’intendi, te, quello che vuol dire la mia sorellina? »
Marisa afferrò sulla tavola la busta portamatite e gliela scagliò addosso. Antonietta si tolse un grosso spillone che aveva tra i capelli e gli corse contro. Faustino scappava e rideva, e ridevano anche le due ragazze.
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