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LETTERATURA: I MAESTRI: Arbasino giudica i suoi scritti: “Super-Eliogabalo”

21 Agosto 2010

di Alberto Arbasino
[dal “Corriere della Sera”, domenica 15 febbraio 1970]

Normalmente ricevo giudizi molto disparati: magnifiche lodi e incomprensio ­ni totali, imbarazzanti si ­lenzi e orribili insulti. Forse perfino elogi per errore. Da parte mia, quando scrivo un libro, cerco di «program ­mare una struttura », di « mettere a punto una mac ­china ». E simmetricamen ­te, quando faccio una recen ­sione, tento di « smontare un congegno » per vedere come è fatto dentro.

Nel caso del Super-Eliogabalo, il ‘progetto’ preve ­deva una rapida farsa con scatti molto moderni, roma ­na ma non « in costume » (in costume da bagno, sem ­mai) intorno all’imperato ­re più emblematico della de ­cadenza latina e del deca ­dentismo europeo. Poi: usa ­re questa pochade come struttura portante svergo ­gnata di una spaventosa trama ideologica oggi in ­tensamente qui. Cioè: la De ­cadenza non è davvero una fase storica che va da un anno a un altro, bensì una dimensione costante dello spirito umano, fin troppo umano: il Decadentismo. Ovvero: quell’Irrazionalismo che (dopo tutto) funziona come strumento di cono ­scenza capace di arrivare più in fondo. Già: il pro ­gresso scientifico sa sper ­perare tutte le risorse del ­l’Uomo e della Terra per costruire apparecchi sempre più oppressivi e repressivi. Però le sue deliranti manìe non lasciano spazio ad al ­cuna attenzione per la Ter ­ra dell’Infelicità, cioè l’ani ­mo umano.

In quanto alla « esecuzio ­ne », partivo dunque dai due estremi gran gesti del razionalismo occidentale: Ubu Roi, e Zarathustra. Ossia, tendevo a recuperare da un lato la straordinaria attrezzeria comica di quella linea Alfred Jarry-Ràymond Roussel-Charles Vitrac-Antonin Artaud, cosi «umbra ­tile » e cosi geniale nei con ­fronti della secca appassita clarté di marca Nouvelle Revue Frangaise. D’altra parte, tentavo di raggiungere il calunniato Nietzsche attra ­verso le suggestioni «ereti ­che » della scuola di Ador ­no, e secondo le riletture spasmodiche eseguite dai « maestri occulti » francesi come Klossowski, Bataille e perfino Lacan.

Occorreva ovviamente dir di no a tutti gli aspetti do ­rati e sontuosi avvinghiati al decadentismo fin-de-siècle. Così ho lavorato su un irrazionalismo «funzionale » senza melagrane né lapislazzuli, secondo un proces ­so di riduzione sistematica. E allora: nessun gran viaggio dalla Siria a Roma con immensi corteggi (come Eliogabalo di Artaud), bensì un misero week-end a Ostia con poche lettighe e parecchi debiti. Mai ceri ­monie pubbliche: solo contrattempi privati. Pochissi ­mi personaggi, e tutti mi ­nori. Niente scene-madri o capitoli « scritti bene », ma sketches sommari che am ­miccano al « taglio » di Pa ­lazzeschi, all’ironia di Ma ­lerba, o addirittura alle tor ­te in faccia. Niente Trimalcione, né Salammbò: al massimo, pomodoro e mozzarel ­la, e i materiali triviali dei mass media scadenti. E nes ­sun Tempio: al suo posto, un supermarket. Ma questo accumulo deliberatamente forsennato di tanti elemen ­ti depauperati e straniti, poi, tira a comunicare un certo « senso » di irrazionalismo contemporaneo: nemico del ­la Scienza (per legittima di ­fesa), e ostile alla Storia (un po’ per celia e un po’ per non morir)…

Cosa mi attendevo dai critici? Un’anatomia, un in ­ventario! Ho poi avuto le recensioni più felici da par ­te dei coetanei, la rapida bonarietà dei più anziani, un paio di villanate da de ­stra, nonché un confronto di poetiche opposte da par ­te di Carlo Bo. Su questo giornale Bo svolge infatti un impegnativo riscontro generazionale e generale: da un lato, la scelta, il rigore; dall’ altro, l’accu ­mulo che diventa sper ­pero (e viceversa). In ­somma, Madame Bovary contro Bouvard et Pécuchet: ravvisando tuttavia nei copisti di Flaubert gli anti-eroi piuttosto dell’In ­formale frenetico, e non già dell’Enumerazione, del buon uso della Neo-Retorica. La più sottile analisi specifica della mia operazione viene invece eseguita da Renato Barilli sul Resto del Carlino. Ne indaga senso e funzioni e ideologia con profonda lu ­cidità, individuando le ra ­gioni precise dell’uso sfac ­ciato dei materiali più cheap. Una linea « alla Barthes » affine ritrovo in Giu ­liano Gramigna sul Cor ­riere d’informazione, con osservazioni finissime sul ­l’avventura del linguaggio nel racconto «che non imita » (se non se stesso), sul ­la pratica della derisione, sull’uso delle tecniche reto ­riche e stilistiche. Ah, se invece di riportare al Tristram Shandy la struttura « frantumata » del testo, avesse indicato addirittura Roma o Il Doge di Palaz ­zeschi!

Al « carissimo Aldo » si richiama volentieri la cri ­tica non nouvelle, riferen ­dosi però all’antico « lascia ­temi divertire! », e non già ai suoi giovanissimi roman ­zi recenti. Pietro Bianchi, sul Giorno, si rifà alla Sto ­ria romana e ad Artaud, e alla lunga sorride: « Si trat ­ta, a guardar bene, di un divertimento non privo di serietà ». Paolo Milano, sul ­l’Espresso, si rifà ad Ar ­taud e a Marinetti e al bal ­letto, ma apprezza abba ­stanza l’uso dell’Enumerazione e della contaminazio ­ne ironica, Lorenzo Gigli, sulla Gazzetta del Popolo, segue per un po’ il coacervo frenetico, poi gentilmente si stufa, e dichiara la sua no ­stalgia per i miei vecchi racconti.

La maggior parte dei giu ­dizi appare poi « controversiale », giacché il libro è provocatoriamente « scritto male », e « fa viaggiare » una trama ideologica fin troppo seria sopra un « vei ­colo » non di gravità ma di irrisione. Così Piero Dallamano, su Paese-Sera, con ­nette il « Super » del titolo ai caroselli televisivi, ma « considerando il momento dei Caroselli tra i più istrut ­tivi, simpatici e sugosi di quanti ne offra la televisio ­ne ». (Però io pensavo a Jarry: Il Super-Maschio). G. A. Cibotto loda sul Gior ­nale d’Italia il divertimento di un pastiche « sostanzial ­mente riuscito », anche se eccessivo, mentre Michele Rago, sull’Unità, recensisce più che altro il caso del Manifesto. Parla infatti di «violenza dall’alto », di «po ­tere delegato ad altri per fatalismo o viltà », di « fare i conti col sistema che si mira a condizionare », a proposito di « un’opera che vorrebbe acclimatare una problematica ancora troppo estranea alla cultura italia ­na e non bada a mezzi ». Per L’Osservatore Romano, invece, si tratta di « un li ­bro edificante per absurdum… dove raffinatezza e stupidità si danno la ma ­no ».

Decisamente favorevoli mi suonano infine i giudizi di Enzo Siciliano (La Stam ­pa), Mario Lunetta (Rina ­scita), Carlo della Corte (Il Gazzettino), Claudio Carab ­ba (La Nazione). Parlano infatti di « veicolo per ri ­durre la storia all’indistin ­to naturale », « una specie di Rabelais dell’età dei con ­sumi », di « pudore e ver ­gogna per i luoghi co ­muni », di « eroe positivo del rifiuto e della strafot ­tenza ». Apertamente nega ­tivi si dichiarano invece Walter Pedullà (Avanti!) deluso da una prosa « mol ­to diversa da quella ricca, complessa e spumeggiante che a tutti è toccato ammi ­rare nel passato » ; e Giu ­seppe Bonura (Avvenire) depresso da un « puro in ­trattenimento che sposa a occhi chiusi l’ideologia del consumismo »; e Giancarlo Vigorelli (Il Dramma) indi ­gnato per « un tonfo di gra ­vità quasi inimmaginabile ». A metà strada, Pasolini. Sul

Tempo: «Bene, bene, anche se si tratta manifestamen ­te di una sceneggiatura. Ma bene anche per questo ».

Risponderei, brevemente. Perché tante volgarità e ba ­nalità, nel mio libro? Per ­ché Roma è sempre stata molto pecoreccia. E perché niente sesso, allora? Per ­ché sarebbe sciocco agghin ­dare gli straordinari rap ­porti di Elio Lampridio e di Dione Cassio. Dunque li ho tradotti, senza togliere aggettivi, né aggiungere av ­verbi, né spezzare coordi ­nate. Del resto, gags e nomi e suppellettili, oltre che dal surrealismo e dagli storici, derivano direttamente dalle fonti: Plinio il Vecchio, Au ­lo Gellio, Apollonio Rodio, Ovidio, Claudiano, Pausa-nia, l’Historia Augusta, l’An ­tologia Palatina, l’Apollo ­nio di Tiana, gli Orfici, il Sublime. L’azione, la volevo visiva, quasi televisiva: ma immagini e sequenze deri ­vano da uno scontro fra il classicismo decadente della pittura tedesca (Böcklin, Klinger, Feuerbach, Von Marées) con gli environments della pittura-scultura post-pop. Il falso montalismo delle canzonette è sta ­to ricavato trascrivendo brani di Bachelard e di La ­can secondo la poetica dei Beatles.


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Bart