LETTERATURA: INCIPIT: Alfio Squillaci: “Mare Jonio”, racconti, Sedizioni, 2007
29 Gennaio 2008
Amore alla siciliana
“Senti Zaneto… non voglio essere amata alla francese, e del resto non ci sarebbe gusto.” J.J. Rousseau, Le Confessioni
Gli eventi del fatterello di cui adesso inizierò il raccon to accaddero circa trent’anni fa in uno di quei paeselli di luce e di mare della riviera jonica siciliana.
Era quel lo un periodo, un evo calamitoso, in cui molta gente di laggiù fuggiva per fame all’estero, in Germania, in Francia, in Belgio, nel mondo infame, in cerca di un lavoro e di un destino. Tempi duri quelli, tempi di lupi, uguali se non peggiori di quelli che viviamo adesso.
Dovete dunque sapere che fra tutti quelli che parti vano c’era un certo Carmelo Schilirò, Carmileddu per amici e parenti: giovane onesto, lavoratore, che pro prio perché onesto e lavoratore non se la sentiva, per vivere, di andare a rubare come tanti o di fare rapine con la calzetta in faccia o di fare altre consimili por cherie. E perciò col suo mestiere di muratore viveva così, a livello, col soverchio uguale al mancante tutto l’anno, cercando di colmare il vuoto col pieno e di scolmare il pieno in previsione del vuoto. Un giorno prese il coraggio di faccia e disse alla sua giovane mogliera Resina, un bocciolo di rosetta vi dico una luna crescente: – Rosina così non si può campare più. Lo vedi tu stessa, lo lavoro un giorno sì e due no e non perché non voglio lavorare, tu lo sai bene, che tutti lo sanno quanto Carmileddu sia lavoratore, ma perché qui ‘nSicilia lavoro non ce n’è. Qui per campa re come i cristiani ci vogliono due entrate e siccome io non mi sento di far sparlare il vicinato mandandoti a fare la cameriera, che non ti ho maritata per questo, ho pensato di andare a lavorare in Germania che lì ci sono molti siciliani, molto lavoro, molto benessere e c’è un’altra vita. E poi devi pensare a questo carusello che ci cresce. Già ha dieci anni, e che futuro gli diamo? Quello del porco come me? Muratore come me? Ho parlato perciò con lo zio Giacomo e lui mi ha detto che i cugini di Germania, Michele e Delfo, mi possono tenere per tutto il tempo che voglio, pagan do s’intende. E che faccio, mi lascio scappare questa occasione? Poi, quando mi sono sistemato bene bene, vi faccio l’atto di richiamo – diceva così come se la Germania fosse l’America – a te e ad Alfiuccio bello e ci sistemeremo per sempre in Germania. Che faccio? Rosina per tutta risposta scattò a piangere, e tra i sin ghiozzi diceva che non c’era tutto questo bisogno di andare in Germania, che se si escludeva la cambia le per il televisore e la macchina da cucire, la Sìngeri come la chiamava lei, non avevano altri imbrogli, che lei era una brava massaia, economa assaione, che perciò la surnominavano tirchia, perché sapeva tene re bene stretti i cordoni della borsa. Poi diceva che aveva paura a lasciarlo andare da solo in Germania, che c’erano stati tanti uomini che, diomenescansi, una volta fuori di Sicilia s’erano scordati di casa e famiglia e tante casate erano andate sotto e sopra e di quel li s’era perduta ogni traccia che anche il consolato, sconsolato, non sapeva più cosa. Perché la Germania è grande ed è lontana e non si può trovare niente in una cosa grande e lontana. Infine diceva che se lui si fosse ammalato, che in Germania, dicevano, c’è più freddo che a Floresta, chi lo avrebbe curato? I cugini? No, che ognuno pensa per la sua panza e lui sarebbe morto senza cura e senza ventura. Rimanessero dun que, che tutto il mondo è paese e a tutto c’è rimedio, solo alla morte no, che pure quando arriva si porta tutti i guai, rimanessero, che dove s’erano fatta l’estate si potevano fare anche l’inverno! Insomma disse tanti e tali cose, come solo le femmi ne sanno dire che Carmileddu, che pure non ci aveva tanto almo di lasciare moglie e figlio, s’ammutolì e non parlò più di Germania per una bella pezza. Poi, un bel giorno, Carmileddu venne licenziato dalla ditta, così, su due piedi, senza poter dire né ai né bai, e nessuno lo poté più fermare, che pareva Orlando Furioso. Rosina piangendo tentò l’ultima carta e lo sup plicò di mandarla a Catania, a persona di servizio, che non c’era vergogna a farla, che tutti la conoscevano Marietta, la vedova, che la faceva da tanti anni e portava avanti la famiglia. Carmileddu diventò di brace a sentire queste parole, e scrollandosela di dosso gridò che finché era vivo lui, mai avrebbe acconsentito ad averci la mogliera cammarera, anche se fossero stati ridotti a mangiare pane e a bere acqua.
Scheda del libro
Titolo: Mare Jonio (racconti)
Autore: Alfio Squillaci
Editore: Sedizioni
Pagg. 186
Prezzo Euro 12,50
Alfio Squillaci è nato nel 1955 a Catania dpve si è laureato in Lettere e Filosofia. Dal 1978 vive e lavora in Lombardia.
Contenuto: Questi quattro racconti ambiscono alla suite, una serie di narrazioni legate da un filo tematico: le genti (il termine e concetto di classe sono impropri nell’isola) della Sicilia orientale. Nei primi due, “Amore alla siciliana” e “La televisione”, scopertamente erotici, v’è di scena la plebe urbana della città etnea. La sintassi e il lessico adottati dall’autore sono piegati qui alle necessità “spastiche” ed espressive di una materia letteraria dove non è difficile rintracciare alcuni debiti contratti con la tradizione novellistica italiana. Il terzo racconto “I sogni di Maria” adotta uno stile più regolato e riduce il voltaggio espressivo a favore di una referenzialità narrativa più decisa. Al bozzetto in simil-dialetto succede il conte réaliste, e la populace dei primi due racconti cede il posto alla piccola borghesia impiegatizia. V’è forse una cifra simbolica o meglio una pretesa metaforizzante in questo racconto: la protagonista ambisce a riuscire figura antropomorfa della Sicilia, coi suoi sogni e bisogni, puniti, di modernità. “Il salone del marchese”, racconto lungo che chiude la serie, è agìto da un’ansia interna: evidenziare i disturbi comportamentali dell’intelligentja jonica alle prese con la propria perifericità dello spirito. Se il disegno è il resoconto di vicende politico-sentimentali di alcuni giovani degli anni ’70 del secolo e del millennio scorsi; l’astrattismo intellettuale, l’eleatismo esasperato, il provincialismo ne sono i pastosi colori coi quali è ritratta la gioventù post-sessantottina della città di Catania. Luogo letterario su cui pesa ancora l’ipoteca brancatiana.
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Commento by Felice Muolo — 29 Gennaio 2008 @ 17:49
La lieve ma significativa differenza di stile dei due romanzi di Stelvio e lo stile di Alfio, di tutt’altro genere, possono entrare nel programma didattico di una scuola di scrittura creativa. Manco a farlo a posta, Bart, o ci hai messo l’intenzione?
Bisogna abbondare però, altrimenti il lettore non prova abbastanza gusto per correre in libreria. L’importanza dell’operazione consiste nell’esaminare testi qui non sempre reperibili. Che si è restii acquistare a scatola chiusa.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 29 Gennaio 2008 @ 18:05
Felice, tu vuoi succhiarmi tutto il sangue, come un vampiro:)
Ho una sola testa e due sole braccia, non dimenticarlo. In questo momento sto scannerizzando (o scansionando) un lungo saggio di Marabini su Silone.
Mia moglie è venuta a vedermi lavorare, portando in braccio il mio secondo nipotino, Fabio, di due mesi. Gli ho dato un’occhiata, poi giù di nuovo, chino a leggere il testo.
Due belle scritture, quella di Mestrovich e di Squillaci (quest’ultimo felice esordiente).
In tutto quello che vedi pubblicato su Parliamone, c’è una logica culturale: ma è un segreto:)
Ti ricordo che la pubblicazione di Incipit è compito anche dei collaboratori. Quindi puoi farlo anche tu, oppure potete mandarmi file in word, contenente 2 o 3 pagine d’avvio del romanzo o della raccolta di racconti e o di un saggio.