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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: INCIPIT: Lucia Bruni: “Il segreto di Raffaello”, Flaccovio, 2008

21 Febbraio 2008

«Coome?! L’è cascata ni’llago!? ».  
«Cascata? La s’è ma buttata! ».
«Gesummio misericordia! », e un segno di croce, «Gesummio, misericordia! », e un altro segno di croce.  
«Oh, come, buttata? Unn’è possibile ».
«La s’è buttata, vai, ve lo dico io. La s’è buttata. Sennò icché la ci facea a quest’ora di notte ni’pparco? ».
«E come la sarà ita? »
«Mah? Chi lo sa ».
«Gli hanno detto che i’gguardia di’mmarchese mentre facea i’ggiro di ronda gli ha sentito un urlo e un tonfo. Gli ha dato subito l’allarme ma quande son arrivati lì un v’era più nulla da fare ».
«E come l’avea fatto a arrivare fin laggiù? ».
«Spiriti! ».
Tutti si fecero un’altra volta il segno della croce.
«Certo, gli era tanto che la unn’era più lei ».
«Gli è vero. Ieri in bottega da Stoppa la venne che la parea una poera demente. In ciabatte, e’capelli tutt’arruffati, addosso una mantellina sdrucita, e du’ pesche sotto gli occhi! Come se la n’avesse toccate. E   la un salutò nessuno ».  
«Codesta la unn’è nova. Ma arrivare a ammazzassi! Poera figliola, e poera la su’ gente. E qui’bbambinuccio… ».
Capannelli di curiosi e di pietosi, parlottìo, biascichìo di giaculatorie; via vai dal luogo della disgrazia con le lanterne in mano, e un accalcarsi nella corte di Gigi, vicino all’uscio della casa dove la povera Ornella, ormai senza vita, era stata portata. Ogni tanto il ciangottìo si faceva più forte e qualcuno intimava il silenzio con un sibilo lungo e ripetuto, anche per rispetto all’ora, la mezzanotte era passata da un pezzo, così le voci poco a poco si smorzavano fino a diventare sussurro per poi ricominciare in crescendo.
Negli animi eccitati, impauriti dal soffio gelido della morte giunto improvviso a richiamare l’assoluto della propria immanenza, questa notte dei primi di ottobre pareva spiegare il manto del buio eterno più che mostrarsi generosa di tenero abbraccio per un   meritato riposo. Così molti indugiavano in corte o nella strada: sciallini e giacchettucce sulle spalle, i nasi all’aria a cercar di cogliere qualche parola di qualcuno che mostrava di saperne di più; in mano un lumino, tanto da sembrare le lucciole di un’amena sera d’estate anziché   i testimoni di un tragico evento.  
Finalmente l’arrivo di don Pietro allargò il cuore e molti gli si strinsero attorno quasi   a cercare protezione e conforto, ma l’allampanato e ruvido prete si fece strada con decisione, invitò tutti ad andare a casa e attraverso un àndito buio entrò nella stanza da dove proveniva un singhiozzare sommesso.  

***

Il “lago” era una vasca rettangolare molto grande con il bordo in pietra serena di poco rialzato dal tappeto erboso dintorno e adornato ai quattro lati con massicce conchiglie sempre in pietra. Al centro, come uscito dall’acqua, un gruppo marmoreo del Dupré raffigurante l’allegoria della Primavera.
Sistemato in un angolo un po’ solitario del parco della villa Torrigiani e nascosto per tre lati dietro una siepe di cipressi, quasi al confine con una delle stradine del paese, il “lago” era spesso oggetto di fantasie misteriose ricamate dalla gente che aveva l’opportunità di visitarlo solo due volte l’anno, quando il marchese apriva il giardino alle processioni e faceva celebrare la messa nella propria cappella, e chissà perché veniva considerato un luogo maledetto. Si diceva che sotto quell'”acqua torba” ci fosse un passaggio che conduceva a certe stanze segrete della villa e che in tempi lontani qualcuno l’avesse adoperato per far scomparire ospiti indesiderati.
La leggenda era nata dal tramandarsi del racconto di un giardiniere che si era trovato alla vuotatura della vasca per la pulizia. Sul fondo, legato con una corda all’anello di una botola, era stato rinvenuto il cadavere in decomposizione di una giovane donna. Ce n’era di che arricchire la fantasia…
E Ornella era annegata proprio dentro quest'”acqua torba”!
Come ci fosse arrivata (dalla parte del campo solo una viottola portava fin lì ma bisognava prima scavalcare il muro di cinta alto più di due metri, e dalla parte della villa si entrava soltanto attraverso il cancello) e perché, nessuno era in grado di spiegarlo.

Certo, su Ornella i chiacchiericci non erano mai mancati.
«L’ha respirato l’aria di città », si diceva. Ed era vero.
Ornella era nata a Firenze, diladdarno, nel quartiere di San Niccolò, da Cesare renaiolo e Fidalma ricamatrice, e non si può dire che la fortuna l’avesse baciata in fronte; a poco più d’un anno aveva perso il babbo che, una mattina di novembre del 1875, era affondato in Arno col suo barcone e nel volger di qualche stagione anche la mamma, la quale, già minata dal mal di petto, se n’era andata prima che Ornella compisse quattro anni.
Fu allora che i parenti più prossimi, Evelina sorella di Fidalma e il marito Gigi, non avendo figli (Evelina ne aveva fatti tre ma non erano vissuti) l’avevano presa in casa e portata a vivere a Querciaio, il paesino di neanche mille anime a poche miglia da Firenze,   ai piedi di Monte Acuto.
Gigi lavorava in pittoria al Ginori e guadagnava benino ed Evelina “cuciva di bianco”, cosicché alla nipote non avevano fatto mancare nulla. Anzi, essendo una ragazza che prometteva bene, avevano anche provato a farla studiare, ma il carattere un po’ fragile e la salute cagionevole non le avevano permesso di finire gli studi magistrali interrotti all’inizio del terzo anno per un esaurimento.
I privilegi, si sa, generano astio e quando sono accompagnati da atteggiamenti un tantino scontrosi come quelli di Ornella, che era introversa e schiva, divengono compagni ideali  delle malelingue. Cosicché grandi amiche non ne aveva mai avute e quelle che apparivano più costanti si rivelavano spesso interessate magari a qualche parolina da parte di Gigi (“persona perbene e tenuto in palmo di mano”) per un posto di lavoro al Ginori.
«L’è un po’ esosina, vah! », era il commento che spesso veniva fatto quando uscendo da una bottega dimenticava di salutare.
«Eppure la unn’è nemmen boriosa, ma… ».
E Orlando a dispetto di tutti l’aveva amata subito e sposata.

Scheda del volume
Autrice: Lucia Bruni
Titolo: Il segreto di Raffaello
Collana: Gialloteca
Editore: Dario Flaccovio
Pagine: 138
Prezzo: 12,00 euro
Isbn: 978-88-7758-786-2
Biografia autrice:   Lucia Bruni, nata a Quinto Fiorentino, storica dell’arte e giornalista, nel 1991 è tra i dieci finalisti del concorso per l’opera diaristica promosso da “Tuttolibri” de La Stampa di Torino. Fa parte dell’Archivio delle scrittrici toscane, ordinato presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Firenze. Nel 1993 esce per le edizioni Polistampa di Firenze “Mia nonna, Elena di Bombe”, un affresco sulla vita e la lingua toscana del primo Novecento, testo che è stato anche il soggetto dei brevi racconti pubblicati regolarmente dal 2003 sui periodici “Reality” e “Orione”. Nel 1998 è segnalata al concorso di narrativa poliziesca inedita “Orme gialle” di Pontedera (finalista nel 2001 e nel 2006) e sempre nel 1998 è vincitrice del premio “Le Colombe” promosso dal Comune di Scandicci. Suoi racconti compaiono nelle antologie “Sulle tracce del giallo” (Baroni, 1998), “Toscana delitti e misteri” (Zella, 2000), “Cronache di delitti lontani” (Hobby & Work, 2002), “Almanacco del giallo toscano” (F.M. Edizioni, 2004), “Crimini etruschi” (Laurum, 2006), “Eva Noir” (Del Bucchia, 2007), “Toscana fra crimini e misteri” (Felici, 2007).

Contenuto: Autunno 1898. Un duplice delitto getta scompiglio nel tranquillo paese di Querciaio, a pochi chilometri da Firenze. Due vittime, due donne: Orrnella è morta affogata, Albina strangolata. Quale mano ha compiuto gesti di tale insensata violenza, e perché? Il paese si interroga, la polizia indaga, ma è solo grazie all’ostinazione della giovane Esterrina che si riuscirà a venire a capo della complessa vicenda.
Il racconto di una società rurale ormai perduta rivive attraverso i dialoghi in vernacolo che l’autrice ha fedelmente reso. E’ il ritratto di un mondo semplice, ma non per questo immune dalle passioni che in ogni tempo governano, nel bene e nel male, i comportamenti degli uomini.


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4 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 21 Febbraio 2008 @ 22:40

    E’ con molto piacere che ho letto questo “icipit” che riporta felicemente dialoghi in dialetto. Al di là della bravura della scrittrice, indiscussa ed in discutibile, voglio sottolineare che è importante dare spazio al dialetto stesso, che si nutre dell’animo della gente. Purtroppo molti dei nostri dialetti vanno scomparendo, non solo perché le nuove generazioni se ne allontanano sempre più, ma anche per colpevole disattenzione, per ingiustificabile leggerezza tipica di molta parte del mondo della cultura e delle istituzioni (vedi scuola, Comuni, Province, ecc.).
    Ancora belle “cose”, Bartolomeo!
    Ti abbraccio
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 21 Febbraio 2008 @ 22:44

    Caro Bartolomeo,
    mi sono reso conto troppo tardi d’aver scritto “Icipit”, anziché “Incipit”. Mi scuso per l’involontario errore di “battitura”.

    Gian Gabriele Benedetti

  3. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 21 Febbraio 2008 @ 23:54

    Sono d’accordo con te, riguardo all’importanza di riuscire a conservare il rispetto per il dialetto. Naturalmente, per quanto riguarda questo incipit, il merito, oltre che all’autrice, va alla casa editrice Flaccovio.

  4. Commento by sara pollastri — 13 Marzo 2008 @ 17:58

    Il libro di Lucia è veramente delizioso. Per me che sono di Sesto Fiorentino leggere un libro ambientato nella mia città è poi un valore aggiunto. Inoltre sono anche una storica della lingua italiana, QUINDI IN GRADO DI APPREZZARE L’OPERAZIONE CULTURALE DI RECUPERO LINGUISTICO CHE LUCIA HA COMPIUTO. E’ con grande soddisfazione che ricordo qui, la presentazione del libro che organizzai per Lucia alla Casa del popolo di Quinto il giorno dell’8 marzo 2006, in accordo con i dirigenti di quell’Istituzione. Fu davvero un regalo per le donne di Quinto e non solo… e sono lieta che sia stato l’inizio del cammino fortunato del Segreto della Madonna della seggiola come allora si chiamava il volume. Un titolo che preferivo all’attuale perchè la seggiola già richiama il linguaggio toscano.

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