LETTERATURA: “La coscienza di Zeno”, il romanzo che ha scavato in profondità la natura dell’uomo moderno
2 Giugno 2008
di Giampaolo Giampaoli
[alcune sue ultime poesie qui]
Quando Italo Svevo (al secolo Aron Hector Schmitz) scrive “La coscienza di Zeno“, nelle trincee i soldati vivono la tremenda esperienza della Grande Guerra e le popolazioni, a causa del conflitto e della crisi economica, rimandano al futuro ogni genere di attività produttiva; anche l’azienda di vernici in cui lo scrittore lavora, di proprietà della famiglia della moglie, chiude momentaneamente. Sono anni difficili, fatti di paura e di incertezza, di morti sul campo di battaglia e di dolore tra i civili; eppure, paradossalmente, Italo Svevo trova proprio in questi momenti tremendi il tempo necessario per portare a compimento il suo progetto letterario più ambizioso, realizzandosi come romanziere e, quindi, raggiungendo la notorietà tanto ambita.
Ha alle spalle due opere che non hanno riscosso pieno successo come l’autore avrebbe desiderato: “Una vita” e “Senilità“, testi letterari di ragguardevole spessore contenutistico, in cui Svevo annuncia alcuni temi che resteranno fondamentali anche nel suo periodo di maturità artistica, come la mancanza di ideali morali nell’uomo moderno e l’eroe negativo che partecipa alla preservazione di una società falsa e opportunista. Lo scrittore sente, però, che tali temi necessitano di una ulteriore riflessione, per poi essere svolti in una successiva opera in modo compiuto, senza tralasciare nessun aspetto psicologico e nessuna tendenza all’irrazionalità dell’uomo moderno.
Ecco come nasce Zeno Cosini; in lui l’autore cerca di portare a compimento una lunga riflessione sul livello sociale e culturale del borghese contemporaneo. In questo personaggio lo scrittore esprime tutta la sua disapprovazione per la modernità, che ha portato alla perdita di quei valori etici custoditi dall’uomo del passato; a tale proposito risulta di particolare interesse la riflessione contenuta nella pagina finale del romanzo, dove si parla degli ordigni. Questi ultimi avrebbero aumentato il potere dell’uomo, che dalla lancia vista come un allungamento del corpo sarebbe giunto alle armi da fuoco, che possono uccidere con un semplice gesto della mano; ma allo stesso tempo l’uomo avrebbe iniziato un lento e inesorabile cammino verso la propria distruzione, destinata ad avvenire mediate un ordigno gigantesco, da sistemarsi al centro della terra per disintegrarla.
L’uomo contemporaneo è dunque malato e la sua malattia non ha alcuna cura. Anche Zeno ha perso la salute mentale e le sue alterazioni psichiche si manifestano in varie forme durante tutto il romanzo, fino al finale, dove in modo completamente inaspettato il protagonista sembra d’un tratto essere guarito: inizia a vivere in maniera indipendente e riesce finalmente ad affermarsi nel mondo degli affari. Tutto questo avviene con l’avvio del conflitto mondiale, che rappresenta la manifestazione tangibile della pazzia dell’uomo moderno, ormai giunto alla maturazione di quel processo di distruzione di cui abbiamo già parlato.
Così se tutti gli uomini moderni risultano malati e talmente alterati psichicamente da lavorare alacremente per la loro rovina, il povero Zeno non può più essere considerato malato, perché non è altro che uno dei risultati di una società che conosce solo la violenza e l’opportunismo. Quella società, la società borghese, prima nascondeva la sua follia, che operava ugualmente per la realizzazione di un progetto segreto finalizzato alla guerra totale; con quest’ultima gli uomini moderni non nascondono più la loro reale natura e Zeno non deve fare più da capro espiatorio per salvare l’immagine della comunità di cui fa parte. Solo l’ordigno finale potrà mettere fine a questo orrore.
Nell’analizzare il complesso romanzo di Svevo sono voluto partire dal finale non per togliere il gusto di leggere tutta l’opera a chi non lo avesse già fatto (del resto la sua conclusione è ben nota a tutti), ma per riflettere in modo più attento su questo personaggio, che si svela in tutti i suoi risvolti psicologici, solo se si collegano le vicende di cui è protagonista durante il romanzo con la riflessione finale che compie l’autore.
Se la società che ha partorito Zeno è psicologicamente malata, ne consegue che la condizione di vita presentata dal protagonista non è altro che il naturale risultato di quella stessa società; condizione naturale per l’appunto e quindi non di per se stessa indice di malattia, ma conforme alla pazzia collettiva. Zeno è, quindi, come tutti gli altri uomini del suo tempo; pazzo se lo sono anche i suoi simili, nella norma nel caso contrario. Se si considera tale conclusione, a cui il lettore può facilmente approdare giunto al diario finale, si svelano i retroscena psicologici che il personaggio manifesta nei vari capitoli dell’opera.
Leggendo questi ultimi viene spontaneo porsi una lunga serie di domande: perché Zeno non vuole affrontare la vita? Perché accetta una condizione di costante attesa? Perché lascia che siano gli altri (l’Ulivi, Speier, Ada, Augusta) a vivere la vita per lui? E, soprattutto, perché, malgrado la sua palese inutilità, Zeno Cosini cade sempre in piedi? Egli, infatti, non perde mai; anzi perdono i suoi antagonisti, coloro che vivono realmente la vita e infine vengono gabbati dall’ironia della sorte (basti vedere il povero Guido, avventuriero degli affari, come alla fine perde ogni suo bene materiale e la forza caratteriale).
Paradossalmente Zeno si salva sempre: non perde mai il suo capitale anche se non lo amministra; si dice malato per tutta la vita, ma alla fine non riesce nemmeno a farsi venire il diabete (ben diversa la sorte riservata alla povera Ada); non è in grado di conquistare la donna che ama (Ada per l’appunto), ma poi corona un matrimonio perfetto con Augusta (sorella di Ada). Perché Svevo decide di elaborare un personaggio tanto complesso e contraddittorio?
La risposta va ricercata proprio nel finale. Facciamo nuovamente mente locale: se Zeno è il risultato della società in cui vive e, quindi, figlio a tutti gli effetti ben riuscito di un mondo in costante smarrimento dei valori morali, non può essere perdente, perché deve partecipare in modo attivo al reale obiettivo che si propone la comunità che lo ha generato: questo obiettivo è l’auto distruzione. Il protagonista appare assolutamente incapace di agire quando la società non ha ancora dimostrato la sua vera natura alterata, ma diviene tra gli individui più attivi quando scatta l’evento cruciale: la Grande Guerra, l’inizio della distruzione, l’evento in cui Zeno Cosini, in qualità di mercante di armi, svolgerà un ruolo fondamentale; partecipare alla catastrofe fornendo gli strumenti necessari.
A questo punto non c’è più tempo per perdersi nelle iniziative inutili, così il protagonista manifesta tutta la sua capacità di operare al fine supremo che i grandi uomini presso cui si era posto come subalterno (il cognato Speier e l’Ulivi) gli avevano insegnato: l’arricchimento.
Riletto in base alla tesi che abbiamo sostenuto, il romanzo di Svevo, così complesso per i suoi molti risvolti, diventa chiaro perché collegato nello svolgersi degli eventi da un disegno unitario: descrivere la vita di Zeno attraverso le sue memorie, prima e dopo che la società borghese ha calato la maschera.
In questo modo si può dissertare anche in merito ad un altro mito letterario che i critici e gli autori di manuali scolastici hanno costruito interno al personaggio di Zeno: la convinzione che quest’ultimo rappresenta il modello di “uomo inetto”. Ma è proprio vero che Cosini è in realtà un inetto? Per buona parte del libro tutti i suoi comportamenti lo lasciano intuire.
Inizialmente non è capace di prendere una decisione in merito a quale facoltà universitaria fare e alla necessità di smettere di fumare. Altrettanto inadatto si rivela come corteggiatore, infatti inizia cercando l’amore della sorella più bella Ada, ma poi declina sulla brutta Augusta, perché risulta l’unico partito a cui può ambire. Negli affari è costretto a lasciare la gestione del suo patrimonio all’abile Ulivi, mentre lui deve accontentarsi di lavorare come, addirittura, sottoposto presso l’intraprendente cognato Guido Speier, l’uomo che gli ha portato via il cuore di Ada. Nell’unica vera storia d’amore che vive, infine, non è capace di decidersi tra l’amante e la moglie; ancora una volta Zeno si rivela inetto perché incapace di gestire la sua esistenza in modo autonomo, ma costantemente barcamenato tra le possibilità che la vita gli offre.
Eppure se ancora una volta ci soffermiamo a riflettere sul finale, ci rendiamo conto che l’etichetta di inetto, attaccata dalla critica al maggiore personaggio di Svevo, è in realtà un epiteto per molti aspetti inadatto a descrivere la reale complessità caratteriale di Zeno. Questi non è un vero inetto; lo è solo fino a quando la società che lo ha partorito continua a nascondere il suo reale volto, fingendosi caratterizzata da un costante sviluppo; nel momento in cui allo sviluppo si sostituisce il processo di distruzione, Zeno appare più produttivo di qualsiasi altro individuo. Certo, il suo essere produttivo è in senso palesemente negativo, ma non per colpa sua, ma di quella comunità che lo ha formato, falsamente votata all’incremento economico e sociale, ma effettivamente condannata allo sfacelo.
Con Zeno Cosini Italo Svevo dà vita ad un eroe dell’era contemporanea; eroe negativo e distruttivo, ma unica soluzione per descrive la reale natura dell’uomo moderno. Il personaggio è talmente elaborato in ogni suo aspetto psicologico e comportamentale, da essere sì complesso ma anche completo in ogni suo atteggiamento, perché, a dispetto della sua costante “inettitudine” (e dopo quanto abbiamo detto le virgolette sono ormai d‘obbligo), tutto quello che Svevo fa fare a Zeno non è mai voluto tanto per mettere nero su bianco; il personaggio si lascia conoscere in modo assoluto dal lettore, che impara ad apprezzarlo o a odiarlo a seconda di come lo giudica.
Molto probabilmente è proprio in questa completezza narrativa che Svevo si rivela uno scrittore di alto livello.
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Commento by Carlo Capone — 2 Giugno 2008 @ 09:57
Mi trovo d’accordo con l’autore di questa ottima lettura sulla falsa inettitudine di Zeno Cosini. A dispetto dei molti critici che continuano a tratteggiarlo come uno sconfitto. Inspiegabilemnte, come all’apparenza inspiegabili sono le sue contraddizioni. A mio parere la guarigione psicologica e sociale di Zeno sono due eventi distinti, pur confluendo in una medesima soluzione. Dunque Zeno, nel solco tipico di una guarigione psicoanalitica, acquista coscienza del Sè quando scopre di non essere malato, anzi di non esserlo mai stato, e da qui si fa gioco dell’odiato analista. Non è difficile, dicevo, riscoprire questo atteggiamento il segno di un processo di liberazione dalla tutela dell’Ulivi, vero portato della figura paterna. Che poi la liberazione dal padre coincida con la constatazione che è il mondo a essere malato, non lui, questa non è che una patente di guarigione. Tutto parte dal sogno – o visione? – della camera dai colori pastello in cui il bambino è assistito da una dama fatale. Come non identificare l’edipica figura materna in questo gioco di reminiscenze divenute patenti? dunque è la scoperta dell’Edipo la chiave di lettura della sua guarigione, è la scoperta di un complesso di inferiorità che l’ha afflitto per una vita (vedi l’ineluttabilità del processo di avvicinamento alla madre per causa del padre) e quindi la sua ineluttabilità, a sprigionare le energie sufficienti a rimpiazzare l’Ulivi, a non trarre orrore dal commercio di armi e in fin dei conti a spingerlo a toccare il culo a una contadina il giorno in cui, uscito di casa per una breve passeggiata sul Carso, si accorge che è scoppiata la guerra. Che dal punto di vista del sano Cosini è vista come puro accidente, in quanto gli impedisce di gustare il caffelatte.
Ancora complimenti per la lettura e saluti
Carlo Capone
Commento by Carlo Capone — 2 Giugno 2008 @ 09:59
MI scuso per un refuso e una ripetizione
Carlo Capone
Commento by Giampaolo Giampaoli — 2 Giugno 2008 @ 10:55
Ringrazio Carlo Capone per l’attenzione che ha dedicato al mio articolo. Senz’altro il complesso di Edipo è la malattia psichica di Zeno, l’origine della sua “inettitudine” (continuo a mattere il termine tra virgolette), ma anche una giustificazione che la società (in primis il dottor S) ha escogitato per nascondere la verità: Zeno non è anormale, ma solo l’immagine fedele dell’uomo moderno senza veli. Così risulta abbastanza chiaro perchè il protagonista guarisca dalla sua malattia proprio con il conflitto mondiale, manifestazione della pazzia di una collettività umana che adesso non ha più paura delle persone come Zeno, che palesano una anomalia che ormai è diventata a tutti gli effetti l’unica realtà possibile. Ancora grazie all’amico Capone.