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LETTERATURA: “Lo spazio nero” di Fabio Fracas

6 Ottobre 2009

[Fabio Fracas è autore, editor, giornalista e sceneggiatore. Oltre a racconti, libri e poesie scrive per il cinema, per il teatro, per i fumetti e su varie testate giornalistiche cartacee e Web. Suoi brani e suoi lavori sono stati rappresentati in vari festival e da diverse compagnie. Ha ricevuto una serie di riconoscimenti letterari e nel 2004, assieme alla poetessa Federica Castellini, ha fondato MacAdam – MacAdemia di Scritture e Letture.]

Un nuovo inizio

Lo spazio nero – III – 40 | Scrivere non significa solo mettersi davanti a un foglio – o a un monitor – e comporre delle frasi che abbiano un senso compiuto. La scrittura – dal mio punto di vista – è una forma di lotta. In un angolo del quadrato c’è colui che scrive, dall’altro ci sono un’infinità di antagonisti.  

E spesso, fra questi ultimi, il più temibile è proprio colui che scrive.  

Tradurre in sequenze di termini i sentimenti, le emozioni, i sogni che animano chiunque si cimenti in questa forma di arte è difficile. Ancora più difficile, però, è conferire a quegli stessi sentimenti un afflato universale. Un seme metaforico che rimanga in ciascun potenziale lettore e germini in esso una nuova forma di conoscenza o di comprensione.  

Pochi ci riescono. E ancora meno realizzano, compiutamente, qual è il vero nemico da sconfiggere.  

Per gli altri, per la moltitudine di noi, gli avversari hanno nomi facili da ricordare: mercato, editoria, incomprensione, momento sbagliato, mancata distribuzione e così via. Un modo semplice per non affrontare il problema. Non è ciò che si è scritto che “non funziona”, è il mondo esterno – gli altri – che, per un motivo o per l’altro, non possono – o non vogliono – riconoscerne il valore.  

Ma chi stabilisce la bontà di un’opera? Chi può valutare se “funzioni” o meno? Quali sono i criteri oggettivi ai quali attenersi e dove sono scritti; se sono scritti? Su questi – e altri – quesiti si è dibattuto a lungo.  

E si continuerà a farlo.  

Anche qui, se lo vorrete, all’interno de “Lo spazio nero”.


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6 Comments

  1. Commento by Giovanni — 6 Ottobre 2009 @ 11:46

    Direi che di carne al fuoco ne hai messa parecchia. Attendo le prossime puntate per togliermi qualche dubbio. In particolare sul ruolo che ha “colui che scrive” nella tua visione della letteratura.

  2. Commento by Federica — 6 Ottobre 2009 @ 14:05

    Sono pienamente d’accordo che il nemico principale di chi scrive sia proprio colui che scrive. O almeno, sia il primo della lista da affrontare. Mercato editoriale, momento sbagliato e distribuzione vengono dopo.
    Colui che scrive è, a seconda della disposizione d’animo, il fan più scatenato e il critico più intollerante di se stesso: entrambe le cose possono fare molto male a questa “materia oscura” che è la scrittura in quanto in questo modo è proprio lo scrivente che non sa valutare la bontà del proprio scritto.
    O, almeno, questo vale per me; non vorrei universalizzare qualcosa che di universale non ha nemmeno un semino.

    Grazie Fabio per l’ennesimo spunto di riflessione.

  3. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 6 Ottobre 2009 @ 16:58

    Agli interessanti stimoli che questa pagina propone, vorrei aggiungere due pensieri espressi da autori di fama, pensieri che ritengo significativi.
    “Lo scrittore deve insegnare a se stesso che la cosa più vile è aver paura; e, insegnandosi questo, dimenticarlo per sempre, e non lasciar posto nel suo laboratorio ad altro che alle antiche verità del cuore, le antiche verità senza le quali qualsiasi storia è effimera e destinata alla morte – amore e onore e orgoglio e compassione e sacrificio” (Faulkner).
    “Non ogni essere umano può essere scrittore, ma ogni scrittore potrebbe essere un essere umano” (Moritz Gottlieb Saphir).
    Personalmente sono un vero antagonista di me stesso, quando scrivo. Rare volte mi approvo e non di rado provo timore, se non vergogna ad esternare ciò che ho prodotto.
    Grazie ancora, Fabio per i tuoi illuminanti contributi
    Gian Gabriele Benedetti

  4. Commento by Alessandro Ferrari — 6 Ottobre 2009 @ 18:33

    Nessuno può stabilire la bontà di un’opera. Ogni persona ha il proprio modo di esprimere sentimenti e questa eterogeneità si presenta nel momento in cui leggiamo, appunto un’emozione scritta, stampata, immobilizzata. E sta al lettore donarle nuova vita. A suo modo. E chi può dire quante sfumature, anche il lettore più attento, possa non comprendere del tutto in un’opera? Qual’è quello scrittore che riesce ad arrivare ad ogni lettore con tutto l’insieme delle sue idee, delle sue immagini? Come tu hai detto su questi quesiti il dibattito è interminabile e… come vorrei saperne di più. Grazie.

  5. Commento by Carlo Capone — 8 Ottobre 2009 @ 12:08

    A mio avviso lo scrittore ‘sente’ quando ha scritto qualcosa di importante. Lo dimostra la sicurezza con cui va incontro alla prova, di qualunque genere sia. Questa fiducia, che in alcuni casi definirei conquista di serenità, nasce lungo le pagine, va acquisendo robustezza durante la revisione e si consolida al termine dell’opera. Poi cade in sonno, un sonno lungo e senza scosse, durante il necessario periodo di rimessaggio, quando il manoscritto viene riposto e ci si impone di dimenticare. Ma risorge, sboccia come un fiore dalla neve quando, passati i mesi di distacco, l’artista gli si avvicina fremente e a quel punto si esalta, di una gioia intima ma infinita, nel registrare che quella soddisfazione è rimasta intatta, anzi è cresciuta. Se in quest’ultima prova lo scrittore riesce a relazionarsi col suo scritto come solo il lettore esterno sa fare, nei limiti di possibilità dell’impresa, allora è tempo di licenziare. Settembre, andiamo…..

    …….. è tempo di migrare.
    Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
    lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
    scendono all’Adriatico selvaggio
    che verde è come i pascoli dei monti.

    Han bevuto profondamente ai fonti
    alpestri, che sapor d’acqua natí­a
    rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
    che lungo illuda la lor sete in via.
    Rinnovato hanno verga d’avellano.

    E vanno pel tratturo antico al piano,
    quasi per un erbal fiume silente,
    su le vestigia degli antichi padri.
    O voce di colui che primamente
    conosce il tremolar della marina!

    Ora lungh’esso il litoral cammina
    la greggia. Senza mutamento è l’aria.
    il sole imbionda sì la viva lana
    che quasi dalla sabbia non divaria.
    Isciacquí­o, calpestí­o, dolci romori.

    Ah perché non son io cò miei pastori?
    ———————————————
    Un saluto affettuoso a Fabio Fracas

    Carlo Capone

  6. Commento by Fabio Fracas — 11 Ottobre 2009 @ 18:39

    @Giovanni: non esiste un unico ruolo per “colui che scrive”, almeno dal mio punto di vista. Leggendo i vostri interventi, però, mi sembra si una posizione condivisibile e condivisa. Ci ragioneremo assieme a lungo. Un caro saluto,

    @Federica e Carlo Capone: le vostre posizioni sembrano distanti fra loro. Eppure – a mio modesto avviso – coincidono. “Colui che scrive è, a seconda della disposizione d’animo, il fan più scatenato e il critico più intollerante di se stesso […]” scrive Federica ben supportata, in quest’ultima affermazione, da Gian Gabriele Benedetti: “Personalmente sono un vero antagonista di me stesso, quando scrivo. Rare volte mi approvo e non di rado provo timore, se non vergogna ad esternare ciò che ho prodotto.” Carlo Capone, invece, afferma sereno: “A mio avviso lo scrittore ‘sente’ quando ha scritto qualcosa di importante […] Questa fiducia, che in alcuni casi definirei conquista di serenità, nasce lungo le pagine […]”. L’unione – a mio avviso – e la coincidenza fra le due visioni è espressa sempre da Carlo quando scrive: “Se in quest’ultima prova lo scrittore riesce a relazionarsi col suo scritto come solo il lettore esterno sa fare, nei limiti di possibilità dell’impresa, allora è tempo di licenziare.” E sono proprio la frase condizionale e il limite imposto che creano la relazione. Grazie a entrambi. Caro Carlo, aggiungo, è un grande piacere vedere che continui a seguirmi in questo mio piccolo percorso; te ne sono grato.

    @Gian Gabriele Benedetti: le frasi che citi sono perfette e ritengo che molti fra i miei allievi abbiano facilmente riconosciuto uno dei principi ispiratori della MacAdemia. Quell'”insegnandosi questo, dimenticarlo per sempre” che continuo a ripetere loro e sul quale – a mio avviso – va basata molta della pratica letteraria. La tua disponibilità e la forza – culturale e personale – dei tuoi interventi sono di grande aiuto per me e per il mio piccolo “Lo spazio nero”. Te ne ringrazio molto. Un caro saluto,

    @Alessandro Ferrari: grazie a te per il tuo intervento e per aver avuto voglia di condividere il tuo pensiero con me e con tutti coloro che ci leggono. Come ben sa chi mi conosce, io non ho risposte ma solo tante domande e ancora più dubbi. Proprio per questo è nato “Lo spazio nero”: per poterli esprimere cercando così, tutti assieme, di rifletterci sopra costruttivamente. Continueremo a farlo, grazie alla disponibilità di Bartolomeo Di Monaco – una volta al mese – , proprio qui, su Parliamone. Un caro saluto,

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