LETTERATURA: Dacia Maraini: “Il treno dell’ultima notte”, Rizzoli, 20081 Giugno 2008 Il treno di Dacia Maraini viaggia nel doloreIl nuovo romanzo di Dacia Maraini, “Il treno dell’ultima notte” (edizioni Rizzoli), affronta gli abissi dei totalitarismi del Novecento. Quando ha pensato per la prima volta alla scrittura di questo libro? E quanto tempo ha impiegato per scriverlo? “Nel romanzo che precede quest’ultimo, “Colomba”, ho scritto che stavo lavorando a un libro su un bambino ebreo scomparso. Ed era vero. Siccome “Colomba” l’ho cominciato tre anni prima della sua pubblicazione, io stavo già lavorando a questo “Treno dell’ultima notte” (ma non aveva questo titolo) più di sette anni fa (tre per scrivere Colomba e quattro per finire questo). Ma in realtà le storie dei campi di concentramento mi toccano da sempre. Sarà perchè anch’io sono stata in un campo di concentramento per due anni, sarà che sono cresciuta con la consapevolezza dell’orrore del nazismo e della deportazione, il fatto è che questo romanzo covava da molto nella mia mente. Ed ora, ecco, è nato. Non so se avrà piedi robusti per camminare lontano, ma lo spero.” Tra i suoi libri, qual è quello a cui si sente più legata? E perché? “Mi sento più legata a quest’ultimo libro, perchè è quello che mi ha tenuto compagnia per quattro anni. Poi i libri camminano per i fatti propri, se ne vanno, come i figli, e si perdono le tracce. Allora, non dico che si dimenticano, ma si perde quel rapporto di vicinanza e di quotidianità che te lo rende caro e familiare.” Questo nuovo romanzo cos’altro propone al lettore, oltre alla ricerca già tema principale in “Colomba”? “Forse volevo solo riflettere sul dolore. Mentre scrivevo questo romanzo il mio compagno si è ammalato e poi è morto. L’entrare e uscire ogni giorno dall’ospedale, il seguire le pene e le speranze dell’uomo dolce e sensibile che era, mi ha segnata. Credo che il libro ne porti le tracce.” Ci descriva in sintesi la protagonista del libro. Chi è Amara Sironi? “È una ragazza ingenua e sprovveduta che cerca un amore di tanti anni addietro, credendo di potere fermare il tempo. Ma quello che incontra in questa ricerca è solo distruzione e rovina. E il tempo non lascia che detriti.” Fino a che punto le grandi tragedie del Novecento sono state metabolizzate? “Ogni generazione tende a dimenticare le cose successe nella precedente, quasi non la riguardassero. E invece, senza coscienza del passato, non si ha neanche consapevolezza del presente. Agiscono bene i paesi che hanno una forte consapevolezza del passato e usano questa consapevolezza come un deterrente per il futuro.” Che rischi ci sono che tali tragedie possano riproporsi? “La storia ci insegna che la tentazione del totalitarismo sta sempre dentro le classi dirigenti appena vanno al potere. La cultura deve aiutare a sublimare le tentazioni alla intolleranza, alla violenza, alla sopraffazione. Le popolazioni devono stare attente al lavaggio del cervello che spesso avviene attraverso i mezzi di comunicazione di massa, prendendo la forma subdola e seducente di qualcosa di nuovo, di splendente e di piacevole.” Sì, ma fino a che punto la Storia riesce a imparare da se stessa? “I popoli imparano, se ne hanno voglia di imparare. Se fanno una forte autoanalisi e giudicano con fermezza gli errori del passato. I tedeschi l’hanno fatto e lo stanno facendo, per esempio. L’Italia l’ha fatto nel dopoguerra, ma mi pare che ora stia rientrando nella nebbia delle mitologie e dei martirologi.” (da “Il Corriere Nazionale”)
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 1 Giugno 2008 @ 23:31
Questo romanzo testimonia ancora una volta quale siano le grandi capacità narrative di Dacia Maraini. E’, pure il presente, un romanzo dalla tematica che coinvolge ed in più testimonia le grandi tragedie delle dittature moderne. Al piacere di una lettura di così alto livello, che sa catturare l’animo, si aggiunge la riflessione dalla quale non può sfuggire il fruitore. C’è bisogno che grandi narratori, come la Maraini, tengano viva la memoria, su tragedie, che spesso una certa volontà politica o la fretta, l’indifferenza, la superficialità dei nostri giorni ci portano a far dimenticare.
Ottima, puntuale, intelligente l’intervista, come precise, profonde ed esaustive le risposte.
Gian Gabriele Benedetti
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