LETTERATURA: Daniele Biacchessi: “Passione Reporter”16 Novembre 2009 di Ciro Paglia Forse farebbero bene a leggerlo quei giornalisti che un mese fa scesero in piazza a Roma per difendere una “libertà di stampa” che secondo loro sarebbe oggi minacciata in Italia: si intitola “Passione Reporter” il bel libro di Daniele Biacchessi (Chiarelettere editore) e racconta le storie di Miran Hrovatin, Raffaele Ciriello, Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Antonio Russo, Enzo Baldoni, storie di un giornalismo “irregolare”, storie di uomini e donne che per un’informazione vera hanno dato la vita, giornalisti per passione, non per mestiere. Farebbero bene a leggerlo, quelli che strillano contro una censura che non c’è, ed a fare un esame di coscienza collettivo: perché ormai da tempo in questa nostra Italia, dilaniata da giornalisti con l’elmetto, la verità dei fatti è stata piegata all’interesse di fazione. Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Raffaele Ciriello, Maria Grazia Cutuli, Antonio Russo, Enzo Baldoni erano testimoni diretti, prima ancora che vittime, della profonda ingiustizia della guerra e l’hanno raccontata con tutto il suo carico di orrori, connivenze e tragiche responsabilità. E Daniele Biacchessi (vicecaporedattore di Radio 24-Il Sole 24 ore, autore di altri libri inchiesta sull’Italia della vergogna, sull’omicidio Biagi e quello di D’Antona, sull’assassinio di Tobagi per citarne solo alcuni) con questo suo “Passione reporter” racconta – lui che il giornalismo d’inchiesta lo pratica tuttora – le vicende di quei giornalisti che per far conoscere la verità hanno osato fino a sacrificare la vita. Vicende che ciascuno di noi dovrebbe imparare a conoscere in tutti i risvolti umani e professionali, non foss’altro come uno strumento per capire meglio ciò che al mattino si legge sfogliando un quotidiano, ascoltando un notiziario alla radio o guardando un telegiornale. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin della Rai furono trucidati perché probabilmente avevano scoperto qualcosa di inquietante: traffici internazionali di rifiuti tossici e di armi, nascosti dietro la cooperazione internazionale ai paesi in via di sviluppo. Il 13 marzo 2002, moriva a Ramallah il fotoreporter italiano Raffaele Ciriello. Ad ucciderlo, come documentano le immagini che lui stesso ebbe la sfortuna di realizzare in punto di morte, fu una raffica di mitra partita da un blindato israeliano che gli si era improvvisamente parato contro, mentre Raffaele stava svolgendo il suo lavoro: filmare e fotografare, come faceva da più di dieci anni. Perché lo uccisero? Raffaele Ciriello aveva ripreso con una minuscola telecamera palmare gli atti di repressione dell’esercito israeliano contro la resistenza palestinese. Una sorte analoga toccò, sulle impervie strade che portano a Kabul, a Maria Grazia Cutuli: fu un omicidio politico, non un agguato a scopo di rapina come sembrava in un primo momento. Fu una azione deliberata contro la stampa internazionale. Un sanguinoso “avvertimento”. Maria Grazia era una cronista di razza, che non si fermava davanti ai fatti ma amava scavare, approfondire, capire, cogliere tutti i risvolti di una storia (chi scrive l’ha conosciuta quando ancora si batteva per entrare nella professione attraverso i contratti a termine con il settimanale “Epoca”). Perché fare il giornalista non è solo mestiere da “status symbol “ come troppo spesso accade, ma significa raccontare la verità delle cose anche – e soprattutto – quando dispiacciono a chi gestisce il potere. Talvolta anche a rischio della vita. Come è accaduto ad Anna Politkovskaja assassinata nell’ascensore del suo palazzo a Mosca e, prima di lei, a Antonio Russo di Radio Radicale, “reo” di aver denunciato la dura repressione delle forze militari russe nei confronti della popolazione cecena e per questo assassinato. Come pure Enzo Baldoni rapito e ucciso nei pressi di Bagdad. “ Se oggi – ha scritto Ferruccio de Bortoli nella prefazione a “Professione reporter” siamo più liberi e cittadini più consapevoli del nostro ruolo nella società, lo dobbiamo anche al sacrificio di questi colleghi che hanno cercato di capire”. E ciò vale per tutti. Anche – soprattutto – per quei giornalisti che in piazza chiedono più libertà e in redazione non la esercitano. (Dal “Corriere Nazionale”) Letto 2718 volte. | ![]() | ||||||||||
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