LETTERATURA: Giacomo Sartori: “Cielo nero”, Gaffi editore8 Maggio 2011 di Marino Magliani Di Giacomo Sartori avevo letto e presentato in Olanda Anatomia della battaglia, sostenendo che l’autore era, secondo me, una delle migliori voci italiane. Cielo nero (Gaffi, 2011, euro 16) me lo riconferma. La scrittura di Sartori è precisa e gelida, il ritmo quello dei tacchi degli stivali dei soldati che marciano per i corridoi e le scalinate della prigione di Galeazzo Ciano. Sartori, perché dopo aver raccontato in Anatomia di un padre con un passato fascista, hai deciso di ritornare al ventennio? «Nessuna ossessione. A dir la verità nel fascismo ci sono incappato mio malgrado, scrivendo appunto il romanzo di cui parla. È riflettendo e documentandomi per scrivere quel libro che mi sono reso conto quanto il fascismo, e soprattutto il modo molto particolare con il quale l’Italia ne è uscita, senza mai fare i conti con il passato, pesasse sugli anni nei quali io sono cresciuto, e quindi sul mio destino personale, come su quello dell’Italia. Resta il fatto che la fine tragica di Galeazzo Ciano mi aveva molto colpito, e a un certo punto ho voluto provare a raccontarla. Mi sembra molto strano il fatto che nessuno scrittore italiano – se si eccettua la pièce di Enzo Siciliano – si sia mai cimentato ». Chi è Felicitas, questa donna che sembra disposta a salvare Ciano? «Felicitas Beetz è una ventiquattrenne brillante e carina fisicamente, arruolata nei servizi segreti nazisti. Nell’ottobre del ‘44 viene incaricata di affiancare Ciano, che nel carcere degli Scalzi di Verona attende il processo per la sua adesione alla mozione che al Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio ha segnato di fatto la fine del Regime. Quanto sono ancora attuali dignità e tradimento? «Beh, direi attualissimi. Mi sembra che la nostra scena politica pulluli di uomini senza la minima dignità e rotti alla vecchia arte italiana del trasformismo e del tradimento. Non parlo naturalmente della dignità nel senso fascista, dello scialo di virilità, parlo della capacità di assumere delle posizioni diverse da quelle del capo assoluto, del dittatore. Perché il dramma di Ciano in fondo è proprio questo, aver pensato che la sua restasse nella storia come una fine degna solo perché si mostrava coraggioso, solo perché si voltava mentre il plotone gli sparava alla schiena. Ma una morte davvero degna avrebbe implicato il non rinnegare il suo voto del 25 luglio, assumere la propria distanza dal fascismo. Cosa che lui, ondivago e succube psicologicamente di Mussolini, non poteva proprio fare ». (dal “Corriere Nazionale”) Letto 1739 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||