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LETTERATURA: I MAESTRI: Che cosa ha veramente detto l’Apostolo San Paolo

26 Marzo 2011

di Antonio Barolini
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 31 luglio 1969]

II cardinale Suenens, primate del Belgio, finisce la ormai famosa, discussa e discutibile sua intervista del 15 maggio all’Informations Catholiques lnternationales, affermando, fra l’altro: « Noi vogliamo es ­sere costantemente e indissolubilmente la Chiesa di Pie ­tro, di Paolo e di Giovanni »; non già pertanto e solo volta a volta, o la Chiesa di Pietro, garante dell’unità e dell’autorità suprema o quella di Pao ­lo, instancabile promotore del ­la libertà dei figli di Dio e dell’apertura alle nazioni, sca ­valcando le leggi e i formali ­smi legalitari dei suoi tempi, o, infine, quella di Giovanni, l’apostolo della contemplazio ­ne e dell’amore; bensì una Chiesa che costantemente rap ­presenti in uno stesso tempo queste tre forze e realtà.

La perorazione di Suenens, alla prima lettura, può com ­muovere come, in genere, il suo fondamentale tono emo ­tivo di polemico uomo di fede. Ma tutto il documento, se lo si esamina attentamente, appare inficiato da un inquie ­to sentimentalismo, spesso contraddittorio e, in ultima analisi, meno pastorale di quel che si crede; proprio perché pericolosamente ingenuo e, di conseguenza, in posizione to ­talmente opposta a quella di Papa Giovanni, che ingenuo non fu mai e fu, invece e sempre, accortamente politico e libero da prevenzioni pole ­miche.

Cosi, per quel che riguarda la parte positiva dell’intervi ­sta di Suenens, non si può non constatare che sfonda porte aperte. La Chiesa, nella sua piena realtà, è precisa ­mente quello che egli vuole: di Pietro, di Paolo e di Gio ­vanni, insieme e sempre; con la precisazione in più che, storicamente parlando, è oggi la Chiesa post-conciliare di Paolo VI, il quale, non a caso, dopo Giovanni XXIII, ha scel ­to il nome di Paolo.

Queste considerazioni mi sono venute spontanee leg ­gendo, di questi giorni, il te ­sto italiano del libretto inti ­tolato Che cosa ha veramen ­te detto San Paolo (ed. Ubaldini, pp. 139, L. 900), dovuto al vescovo anglicano J. W. C. Wand, ora canonico tesoriere della cattedrale di San Paolo in Londra, egregiamente tra ­dotto da Francesco Cardelli.

La fonte non è sospetta di docilità a Roma e tanto meno di centralizzazione di potere, di carenza di indipendenza critica e di libera interpre ­tazione del corpo degli scritti che la tradizione considera paolini.

Wand, dopo avere ammoni ­to che l’insegnamento paolino resta validissimo solo e ap ­punto se attentamente inter ­pretato alla luce delle occa ­sioni e dei particolari motivi storici che lo hanno ispirato, nota anzitutto che Paolo, benché discepolo di Gamaliele, restava un dotto ebreo della diaspora nella libera città di Tarso di Cilicia: era pertanto imbevuto anche di cultura greca. Per lui il muro di se ­parazione fra gentili ed ebrei fu sempre una tragedia, che soltanto nel Cristo per il Cri ­sto e attraverso il Cristo egli sapeva di poter rimuovere; e fu il motivo sommo del suo apostolato e della sua mis ­sione.

Wand non tiene conto della lettera agli Ebrei, canonica per i cattolici ma non per lui, specie in base alle ultime ricerche critiche. Per contro, senza nessuna particolare supinità alle analisi dei calcolatori elettronici, considera a sua volta totalmente dell’apo ­stolo le lettere ai Romani, ai Galati, la prima e seconda ai Corinti (spiega anche come e perché, logicamente, queste dovrebbero essere considera ­te quattro, anziché due) e a Filemone.

Sempre a parere di Wand, dettate da Paolo e rivedute dagli estensori sarebbero in ­vece le cosidette « lettere del ­la prigionia » e cioè: quella ai Colossesi, la prima e (for ­se) la seconda ai Tessalonicesi (i calcolatori elettronici le includono fra le autenti ­che), agli Efesini e ai Filippesi. Ispirate da Paolo, ma redatte da altri, sarebbero in ­fine le tre lettere pastorali: la prima e seconda a Timoteo e quella a Tito.

Wand osserva che, in que ­sta prospettiva, il corpo del ­le lettere paoline riflette in particolare tre fondamentali annunci della predicazione paolina e cioè: l’avvento di Cristo e la dottrina della giustificazione per mezzo della fede (la quale, però, è vana senza la carità); l’illustra ­zione della persona del Cri ­sto, centro di ogni cosa, storia compresa, e della natura del ­la sua Chiesa; preoccupazio ­ne per l’amministrazione ec ­clesiastica e della cura pa ­storale.

E’   cosi   che   Paolo supera tutte le impostazioni dei co ­mandamenti negativi della legge antica («Tu non farai ecc. ») nell’azione positiva delle virtù di colui che dedica ogni attimo della vita a una costante attività a vantaggio degli altri. Infatti, per Paolo, « l’amore » è soprattutto rea ­lizzazione della legge; azione di carità concreta, al punto che « chi è più legato a noi non deve essere trascurato a favore di chi è più lontano », incatenato tuttavia al dolce giogo del Cristo, donde « l’uni ­tà della razza umana è fer ­mamente radicata nell’unità della natura umana… » e, in Paolo la Chiesa prende in gran parte il posto della no ­zione di Regno di Dio nel ­l’insegnamento di Gesù.

Tempi diversissimi, quelli di Paolo, da quelli di oggi e affini per tanti versi: testi ­monianza di un travaglio con ­tinuo e lungo quanto la storia della Chiesa: ieri, oggi, do ­mani. Una Chiesa che, in fondo (questo bisogna pur dirlo a Suenens), proprio perché resta in tutto e per tutto di Pietro, di Paolo e di Giovanni ed appare oggi marcata da una rinfrescata libertà di ini ­ziative e di movimenti, non può più essere costantiniana, ma nemmeno episcopale, co ­me Suenens vorrebbe, e meno ancora populista, come altri ancora vorrebbero. Per la semplice ragione che, di là da tutte le quisquilie, resta e ri ­mane la Chiesa che Gesù affidò a Pietro con la triplice rac ­comandazione finale del Van ­gelo di Giovanni: «Mi ami tu?… Pasci i miei agnelli ».


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