LETTERATURA: I MAESTRI: Che cosa ha veramente detto l’Apostolo San Paolo26 Marzo 2011 di Antonio Barolini II cardinale Suenens, primate del Belgio, finisce la ormai famosa, discussa e discutibile sua intervista del 15 maggio all’Informations Catholiques lnternationales, affermando, fra l’altro: « Noi vogliamo es sere costantemente e indissolubilmente la Chiesa di Pie tro, di Paolo e di Giovanni »; non già pertanto e solo volta a volta, o la Chiesa di Pietro, garante dell’unità e dell’autorità suprema o quella di Pao lo, instancabile promotore del la libertà dei figli di Dio e dell’apertura alle nazioni, sca valcando le leggi e i formali smi legalitari dei suoi tempi, o, infine, quella di Giovanni, l’apostolo della contemplazio ne e dell’amore; bensì una Chiesa che costantemente rap presenti in uno stesso tempo queste tre forze e realtà. La perorazione di Suenens, alla prima lettura, può com muovere come, in genere, il suo fondamentale tono emo tivo di polemico uomo di fede. Ma tutto il documento, se lo si esamina attentamente, appare inficiato da un inquie to sentimentalismo, spesso contraddittorio e, in ultima analisi, meno pastorale di quel che si crede; proprio perché pericolosamente ingenuo e, di conseguenza, in posizione to talmente opposta a quella di Papa Giovanni, che ingenuo non fu mai e fu, invece e sempre, accortamente politico e libero da prevenzioni pole miche. Cosi, per quel che riguarda la parte positiva dell’intervi sta di Suenens, non si può non constatare che sfonda porte aperte. La Chiesa, nella sua piena realtà, è precisa mente quello che egli vuole: di Pietro, di Paolo e di Gio vanni, insieme e sempre; con la precisazione in più che, storicamente parlando, è oggi la Chiesa post-conciliare di Paolo VI, il quale, non a caso, dopo Giovanni XXIII, ha scel to il nome di Paolo. Queste considerazioni mi sono venute spontanee leg gendo, di questi giorni, il te sto italiano del libretto inti tolato Che cosa ha veramen te detto San Paolo (ed. Ubaldini, pp. 139, L. 900), dovuto al vescovo anglicano J. W. C. Wand, ora canonico tesoriere della cattedrale di San Paolo in Londra, egregiamente tra dotto da Francesco Cardelli. La fonte non è sospetta di docilità a Roma e tanto meno di centralizzazione di potere, di carenza di indipendenza critica e di libera interpre tazione del corpo degli scritti che la tradizione considera paolini. Wand, dopo avere ammoni to che l’insegnamento paolino resta validissimo solo e ap punto se attentamente inter pretato alla luce delle occa sioni e dei particolari motivi storici che lo hanno ispirato, nota anzitutto che Paolo, benché discepolo di Gamaliele, restava un dotto ebreo della diaspora nella libera città di Tarso di Cilicia: era pertanto imbevuto anche di cultura greca. Per lui il muro di se parazione fra gentili ed ebrei fu sempre una tragedia, che soltanto nel Cristo per il Cri sto e attraverso il Cristo egli sapeva di poter rimuovere; e fu il motivo sommo del suo apostolato e della sua mis sione. Wand non tiene conto della lettera agli Ebrei, canonica per i cattolici ma non per lui, specie in base alle ultime ricerche critiche. Per contro, senza nessuna particolare supinità alle analisi dei calcolatori elettronici, considera a sua volta totalmente dell’apo stolo le lettere ai Romani, ai Galati, la prima e seconda ai Corinti (spiega anche come e perché, logicamente, queste dovrebbero essere considera te quattro, anziché due) e a Filemone. Sempre a parere di Wand, dettate da Paolo e rivedute dagli estensori sarebbero in vece le cosidette « lettere del la prigionia » e cioè: quella ai Colossesi, la prima e (for se) la seconda ai Tessalonicesi (i calcolatori elettronici le includono fra le autenti che), agli Efesini e ai Filippesi. Ispirate da Paolo, ma redatte da altri, sarebbero in fine le tre lettere pastorali: la prima e seconda a Timoteo e quella a Tito. Wand osserva che, in que sta prospettiva, il corpo del le lettere paoline riflette in particolare tre fondamentali annunci della predicazione paolina e cioè: l’avvento di Cristo e la dottrina della giustificazione per mezzo della fede (la quale, però, è vana senza la carità); l’illustra zione della persona del Cri sto, centro di ogni cosa, storia compresa, e della natura del la sua Chiesa; preoccupazio ne per l’amministrazione ec clesiastica e della cura pa storale. E’ cosi che Paolo supera tutte le impostazioni dei co mandamenti negativi della legge antica («Tu non farai ecc. ») nell’azione positiva delle virtù di colui che dedica ogni attimo della vita a una costante attività a vantaggio degli altri. Infatti, per Paolo, « l’amore » è soprattutto rea lizzazione della legge; azione di carità concreta, al punto che « chi è più legato a noi non deve essere trascurato a favore di chi è più lontano », incatenato tuttavia al dolce giogo del Cristo, donde « l’uni tà della razza umana è fer mamente radicata nell’unità della natura umana… » e, in Paolo la Chiesa prende in gran parte il posto della no zione di Regno di Dio nel l’insegnamento di Gesù. Tempi diversissimi, quelli di Paolo, da quelli di oggi e affini per tanti versi: testi monianza di un travaglio con tinuo e lungo quanto la storia della Chiesa: ieri, oggi, do mani. Una Chiesa che, in fondo (questo bisogna pur dirlo a Suenens), proprio perché resta in tutto e per tutto di Pietro, di Paolo e di Giovanni ed appare oggi marcata da una rinfrescata libertà di ini ziative e di movimenti, non può più essere costantiniana, ma nemmeno episcopale, co me Suenens vorrebbe, e meno ancora populista, come altri ancora vorrebbero. Per la semplice ragione che, di là da tutte le quisquilie, resta e ri mane la Chiesa che Gesù affidò a Pietro con la triplice rac comandazione finale del Van gelo di Giovanni: «Mi ami tu?… Pasci i miei agnelli ». Letto 1856 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||