LETTERATURA: I MAESTRI: Prezzolini – Borgese #5/29
22 Giugno 2008
[da: Il tempo della Voce”, Longanesi & C. – Vallecchi, 1960]
[Torino] 9 dicembre 1908
Caro Prezzolini,
noi siamo lontani da molti anni. Quindi della vita del mio spirito è difficile che tu sappia qualche cosa di preciso. Non sei tu il solo che abbia dedicato questi anni tempestosi ad un miglioramento della propria indole morale. Ma, se pure io fossi rimasto quale tu mi conoscesti nella via di Settignano e nella bettola di via delle Terme, non avresti la possibilità di sup Âporre che alla tua lettera io voglia rispondere con una collana di epigrammi cinici e brillanti. Adoro la franchezza; e perciò ti son grato della tua lettera.
Non ti dirò che t’inganni. C’è del vero e del falso in ogni giudizio. E ti spiegherò tutto più ampiamente quando ci vedremo. Fra non molto verrò a Firenze; se non verrò a Firenze, verrai tu a Milano. E c’incontreremo.
Sul problema della vocazione e del metodo più op Âportuno per condurla a compimento, io ho un pensie Âro, che si modifica necessariamente, ora secondo, ora contro la piega che va prendendo la mia vita. La volon Âtà d’applauso, l’avidità di denaro, la cupidigia di po Âtenza non sono mai state le guide della mia attività . Se non fosse così sarei rimasto redattore-capo al Mattino, preparandomi una brillante vita politica. Il mio benes Âsere economico non è sfolgorante, la mia mondanità non è dongiovannesca, la mia popolarità non è quella di Rastignac né di Bergeret. Per imporre la mia per Âsonalità al direttore della Stampa ho dovuto lavorare amaramente per due anni.
Conosco i pericoli del giornalismo. Giacché ogni professione, in cui l’opera del cervello diventa gagne-pain, ha i suoi pericoli. Il giornalismo come l’insegnamento. Sui pericoli dell’insegnamento io ho ancora, a un dipresso, le opinioni che avevamo tutti e due all’epoca della nostra entusiasta amicizia. Il Croce la pensa diversamente Sarebbe una volgarità dire che il Croce la pensi diversamente, perché la sua fortuna privata gli toglie l’obbligo di provvedere ai suoi bi Âsogni economici. Ma è certo che il Croce ha contri Âbuito enormemente a diffondere il discredito e il di Âsprezzo sulla professoraglia italiana. Da un certo punto di vista ha ragione di esigere che i giovani, i quali hanno subito la sua influenza, si dedichino a una pro Âfessione onesta. D’altro canto ha torto nel non rico Ânoscere che della nostra antipatia contro questa pro Âfessione è corresponsabile anch’egli. Il giornalismo è infamante, il professorato è ridicolo. So bene che si può essere professori, e rendere grandi servigi alla cultura; ma chi ha detto che ciò non sia possibile anche nel giornalismo? Confondere il giornalismo, cioè il volontariato della cultura con la prostituzione è un po’ esagerato. Questa funzione, del giornalismo, esiste pure nella società contemporanea, e non è sopprimibile. Bisogna cercare di elevarla, non d’ignorarla.
Ad ogni modo, non posso in una lettera, dirti tutto quello che penso sull’argomento senza cadere in ap Âprossimazioni illogiche. Per ciò che mi riguarda, io sono stato trascinato al giornalismo: 1) dal mio bi Âsogno imperioso di guadagnar subito da vivere; 2) dalla mia natura combattiva ed inquieta, intollerante del sedentarismo e della routine. Nella mia opera giorna Âlistica ho peccato per fretta, ma non mai per falsità . E se, non in tutti gli argomenti, ho potuto acquistare una conoscenza sicura della cosa, in tutti però ho por Âtato una lealtà senza macchia ed un amore non ipo Âcrita del mio paese e di quella che mi pareva la verità .
Il più grave pericolo del giornalismo consiste nel Âl’enciclopedismo dilettantesco e nell’ambizione politicante. Dal primo non ho sempre saputo difendermi; nel secondo sono caduto solo per pochi mesi (autunno 1905), ed ho subito mutato rotta. Non posso preten Âdere che tu abbia seguito la mia opera giornalistica. Se l’avessi seguita, avresti notato una continua e pro Âgressiva eliminazione dell’orpello e del gioco di parole ed una lenta ma metodica approssimazione alla « le Âzione di cose ». Ma, finché l’argomento del mio arti Âcolo restava libero, non potevo evitare il dilettantismo. Sennonché il mio pensiero fu sempre fisso a una mèta: ottenere nel giornalismo quotidiano qualcosa di equi Âvalente, per la dignità , a una cattedra universitaria, con in più la libertà dei movimenti cerebrali e la possibilità d’influire più largamente sulla cultura moderna.
Ho raggiunto questa mèta prima che io non spe Ârassi : da oggi sono, con assoluta libertà di giudizio, il critico letterario della Stampa. L’avvenimento s’è an Âdato maturando in questi tre mesi. Fino al luglio 1909 farò un articolo settimanale sul libro o sul fatto (let Âterario, filosofia), ecc.) che mi parrà più importan Âte. Dal luglio in poi, oltre l’articolo settimanale, scri Âverò una colonna settimanale di brevi recensioni, note polemiche, notizie bibliografiche, ecc. Per un certo tempo sarò costretto a fare anche tre articoli al mese, di altro argomento. Ma voglio arrivare a sopprimerli e a vivere soltanto della mia opera critica. E ci arriverò.
Come vedi, è raggiunta la sintesi fra le mie ten Âdenze giornalistiche e la mia cerebralità di studioso, fra le mie necessità economiche e le mie volontà ideali. Certo, la mia opera critica dev’essere, in certo senso, giornalistica (e Sainte-Beuve? e De Sanctis?). Ma an Âche l’opera del professore dev’essere didascalica. Sono due limitazioni equivalenti, purché il cervello di chi le subisce sia leale ed onesto.
Ho voluto un po’ di autobiografia e un po’ di auto-apologia. È un genere che non amo. Sono troppo mo Âdesto per raccontarmi e sono troppo orgoglioso per difendermi. L’ho fatto per te, perché apprezzo la se Ârietà del tuo cervello, ed ammiro la tua rude amicizia. Quindi accetto il tuo invito a collaborare nella Voce, sebbene la forma del tuo invito non sia eccessivamente lusinghiera.
Non posso fare, per ora, l’articolo su Keyserling, perché i libri e gli appunti che mi servirebbero sono a Berlino. Ma ti farò altre cose, per le quali mi saranno graditi i tuoi suggerimenti. Vorrei intanto fare una cosa gustosa ed utile. Tu conosci quanto sia schifosa la mentalità e vile il carattere del « giovane letterato italiano »; non del candidato alla cattedra, ma del semi-poeta, semi-giornalista, semi-Casanova, ecc. Vorrei scrivere la Vita ed imprese del giovane letterato italiano: una ventina di capitoletti, da pubblicarsi se Âparatamente, ciascuno di cinquanta o sessanta righe. Un centinaio di nostri contemporanei ci si riconosce Ârebbero dentro. Ho anche altre intenzioni, che ti dirò dopo.
Per ora rispondimi. Ma vorrei pregarti di aiutarmi nell’opera che inizio per la Stampa. Tu sai quale cosa vergognosa sia la critica nel giornalismo quotidiano: soffietti, favori editoriali, ecc. Farò qualche cosa di meglio. Ti sarò molto grato se vorrai fornirmi indicazioni, consigli, ecc.; e ti prego anche, se ti capita di parlare con autori ed editori, di far notare che la mia opera non potrà essere esauriente prima del prossimo luglio, quando, oltre l’articolo, avrò la ru Âbrica settimanale.
Saluti cordiali a te, a Papini, a Calderoni, ad Assagioli di cui ricevo il libretto su Hamann.
Tuo
G. Â A. Â Â BORGESE
Torino, via San Francesco di Paola, 36.
Â
Â
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