LETTERATURA: Martin Luther: (1483 – 1546): L’editto di Worms. #4/830 Aprile 2011 di Nino Campagna [Nino Campagna, presidente dell’Acit di Pescia (Associazione Culturale Italo-Tedesca) (acitpescia@alice.it), che conosco da vari anni, è un infaticabile messaggero della cultura, in particolare di quella tedesca, di cui si può dire sappia tutto. Affascinato da quella letteratura va in giro a parlarne davanti a studenti e professori, incantando tutti con il suo eloquio da oratore tanto preparato quanto appassionato. Non si finirebbe mai di ascoltarlo. Della cultura tedesca conosce non solo la letteratura, ma la musica e in modo tutto speciale – al contrario di quanto accade in Italia – la fiaba, che nella Germania gode di grande considerazione, quasi a livello di vero e proprio culto. Per la sua attività ultra quarantennale è stato insignito della croce al merito culturale concessagli dal Presidente della Repubblica Federale di Germania Horst Köhler. Essendo la sua opera protesa alla diffusione della cultura tedesca, la rivista è lieta della sua collaborazione, che ci farà conoscere molti aspetti interessanti di quella Nazione, e per questo lo ringrazia.] Per il giovane Imperatore si prospettava una decisione sofferta, preceduta da quella che può essere considerata un’onesta confessione di fede: “… Un frate solo che va contro tutta la cristianità vecchia di un migliaio di anni deve essere nell’errore. Perciò ho deciso di rischiare le mie terre, i miei amici, il mio corpo, il mio sangue, la mia vita e la mia anima. E non soltanto io, ma anche voi di questa nobile nazione tedesca, su cui cadrebbe eterna vergogna se per negligenza nostra dovesse sopravvivervi non dico l’eresia, ma il mero sospetto di eresia. Dopo aver udito ieri l’ostinata difesa di Lutero mi è spiaciuto di aver aspettato tanto tempo per procedere contro di lui ed il suo falso insegnamento. Non voglio avere più nulla a che fare con lui. Può tornarsene col suo salvacondotto, ma senza predicare o fare tumulto. Procederò contro di lui come eretico notorio e vi chiedo di manifestare il vostro pensiero come mi avete promesso”. Egli, sicuro dell’appoggio dei Principi Elettori e soprattutto della classe dei nobili, si dichiarava così pronto a emettere il fatidico editto. Ma nella notte furono affissi nelle sedi “istituzionali” di Worms manifesti a cura della “Bundschuh”, un’associazione che costituiva lo zoccolo duro dei contadini e dei minatori – in questo caso il sostantivo “Schuhe” (scarpa) veniva utilizzato per differenziarlo dallo “stivale”, calzatura tipica della nobiltà -. I toni duri e minacciosi di quella risposta proveniente dal “popolo” portarono a preferire una dilazione temporanea del provvedimento, auspice soprattutto il Principe Elettore Alberto di Magonza. L’Imperatore avrebbe dato il suo consenso ad un ulteriore interrogatorio davanti ad una commissione di giuristi e teologi; questo ulteriore confronto durato due ore avrebbe confermato la posizione di Lutero, inflessibile nel ripetere che avrebbe ritrattato solo se smentito dalla Bibbia. Superato questo ulteriore tentativo dilatorio, l’Imperatore presentava in un salone della Dieta semivuoto per l’assenza di gran parte dei partecipanti che avevano già abbandonato l’assise, la redazione finale dell’editto messa a punto dal messo del Papa, Aleandro. L’accusa più grave era l’aver attaccato i sette sacramenti alla maniera dei dannati Boemi di Hus. In base a questo editto per Lutero si profilavano tempi più che minacciosi tanto più che nel frattempo erano stati già fermati e arrestati alcuni pastori luterani. Il lasciapassare di Lutero venne prolungato di alcuni giorni e il 26 aprile Lutero subito dopo pranzo avrebbe lasciato Worms col suo piccolo seguito. I contemporanei rividero nel processo contro Lutero a Worms la passione di Cristo ed erano soliti paragonare Carlo V con Pilato. Albrecht Dürer, informato dell’esito della Dieta, riferendosi a Lutero annoterà sul diario la seguente riflessione: “Non so se sia vivo o se sia stato assassinato; ad ogni modo egli ha sofferto per la verità cristiana. Se noi perdiamo lui, che ha scritto con più chiarezza di quanto sia stato fatto da chiunque altro per secoli, voglia Dio concedere il suo stesso spirito ad un altro…”. A salvare il piccolo frate ribelle dalle conseguenze di un editto che comportava la pena capitale, il suo potente e generoso protettore, il Principe Elettore di Sassonia, Federico il Saggio. L’illustre Principe, figura di primissimo piano sulla scena politica del tempo, aveva da sempre seguito con simpatia e favore la lotta di quell’insegnante, la cui figura aveva tra l’altro dato lustro alla “sua” Università di Wittenberg. Pur non potendo contrastare, né modificare quell’editto voluto da Istituzioni potenti e a lui nettamente superiori, quali la Chiesa e l’Impero, ha cercato nell’ambito delle sue possibilità di mitigarne gli effetti. Egli infatti, anche se “ufficialmente” si è sempre dichiarato ignaro di tutto e disposto anche a giurarlo (!), fu l’ideatore del “rapimento” del frate, prelevato sulla via del ritorno da individui incappucciati e portato a forza castello della Wartburg, che con la sua mole imponente dominava la cittadina di Eisenach nella Turingia. Qui Lutero fu rinchiuso e ospitato per mesi sotto falso nome – la sua identità veniva contrabbandata come quella un Junker di nome Jorg -. Ma proprio nell’avvilente e spesso insopportabile solitudine del castello, tagliato fuori dal mondo e soprattutto dai disordini che imperversavano a Wittenberg e in tutta la Sassonia, Lutero fu letteralmente divorato dalla monotonia e dalla noia. Per fortuna sua e di coloro che da tempo aspettavano una tale iniziativa ad imporsi fu l’uomo “di lettere”, che si risolse di dedicare le sue lunghissime giornate alla traduzione nel tedesco “volgare” della sacra Bibbia. Sarebbe così nato quello che rimarrà il suo lavoro più imponente e significativo: la traduzione della Bibbia, caratterizzata da un linguaggio che non trovava riscontro nei testi del tempo, ma che da allora sarebbe stato definito “il linguaggio di Lutero”; tutta una serie di idiomi, vocaboli, modi di dire che l’autore aveva raccolto nelle sue esperienze di vita tra le bettole e i mercati del tempo.. Questo lavoro si sarebbe dimostrato molto faticoso, anche perché in quel periodo non furono rare le lotte col diavolo in persona, contro cui – almeno secondo la leggenda – avrebbe addirittura scagliato un calamaio la cui macchia di inchiostro sulla parete è ancora visibile… Da Wartburg continuava a scrivere, inviando regolarmente il materiale redatto ad un fido allievo, Spalatino, con la pressante preghiera di farlo pubblicare. Nonostante fosse al corrente dei pericoli che inconsciamente creava alla Sassonia del “suo” paterno Principe Elettore, si era spiritualmente affidato a Dio, dichiarandosi pronto al martirio. Per un certo periodo aveva anche accarezzato l’idea di rifugiarsi a Parigi o a Colonia, ma il fatto che le rispettive facoltà teologiche avessero bruciato i suoi scritti non costituiva di certo un segnale confortante e di conseguenza aveva rinunciato al proposito. Con altrettanta determinazione continuava a respingere le lusinghe e le tentazioni con cui i “Cavalieri”, guidati dai capi-ribelli Hutten e Sickingen, facevano a gara per offrirgli la loro protezione. Ma a “scomparire” dalla scena religiosa che lo aveva visto protagonista per anni, non ci pensava proprio, e, per ribadire questa sua ferma volontà ,avrebbe scritto all’inizio di dicembre 1521 al cardinale Albrecht (Albertus) di Magonza, di certo non un suo simpatizzante e sempre impegnato nel solito commercio legato alla reliquie, visto che ne possedeva una ricca collezione: “Vostra Eminenza pensa forse che io sia fuori combattimento, ma deve sapere che farò quel che l’amore cristiano richiede, senza riguardi alle porte dell’inferno e tanto meno a papi, cardinali e vescovi ignoranti… Non dovete pensare che Lutero sia morto. Io mostrerò la differenza tra un vescovo e un lupo. Chiedo una risposta immediata e, se non la otterrò entro due settimane, pubblicherò un opuscolo contro di voi…”. La lunga “detenzione” alla Wartburg non aveva spento la sua anima di combattente, sempre pronto a mettere la sua arma migliore – la parola o la scrittura – al servizio delle sue battaglie. La traduzione della Bibbia, direttamente dall’originale greco ed ebraico, lo stava impegnando al limite delle sue possibilità. Lavorando dieci ore al giorno con la determinazione che gli veniva da tutti riconosciuta era fermamente a fornire prima possibile un’opera che fosse soprattutto comprensibile al popolo, al cui “lessico “ aveva fatto ampiamente ricorso per mettere a punto un linguaggio“nuovo”, destinato a costituire il presupposto di una lingua tedesca passibile di continui miglioramenti fino a diventare lo strumento espressivo per eccellenza di poeti e di scrittori, a cui avrebbe guardato con ammirazione e rispetto il mondo intero. Con la stampa della Bibbia, il cui costo di copertina comportava cifre semplicemente “proibitive” – si parlava della remunerazione di un intero anno per le categorie più disagiate -, e con le varie ristampe di tanti altri suoi scritti si erano arricchiti in molti; solo Lutero rimase povero come era; visto che per quell’immane fatica non aveva mai preteso nulla. Intanto gli elementi più innovatori della “sua” Riforma prendevano sempre più corpo; il giorno di Natale Carlostadio, che in assenza di Lutero aveva assunto il ruolo di responsabile liturgico, avrebbe celebrato la messa senza i paramenti sacri, con indosso una semplice tonaca nera. In quella occasione, al momento dell’eucaristia, aveva distribuito pane e vino e per la prima volta era passato dal latino al tedesco, pronunciando chiaramente udibili dai duemila fedeli presenti alla celebrazione della Messa, le parole: “Questa è la coppa del mio sangue, del nuovo ed eterno Patto, spirito e segreto della fede, sparso per voi per la remissione dei peccati”. Nel castello della Wartburg Lutero sarebbe rimasto nascosto dai primi di maggio all’inizio di dicembre del 1521. Il 4 dicembre alcuni suoi confratelli lo avrebbero sorpreso, con un’insolita lunghissima barba e quasi irriconoscibile, per le vie di Wittenberg. In quella che lui ormai considerava la sua città gli verrà garantita una sistemazione nella stessa cella sulla torre del convento agostiniano, da lui occupata per anni. L’atmosfera che avrebbe ritrovato non era più quella di prima; ribellioni e disordini imperversavano ovunque e si erano presto propagati in tutta la Sassonia. Nella stessa Università regnava una vera e propria anarchia, che aveva contagiato anche vari aspetti di quella Riforma a lui tanto cara. Nonostante Carlostadio, il professore più titolato dell’università di Wittenberg, avesse assunto una posizione di assoluto dominio e si fosse prodigato per mantenere una parvenza di ordine, spegnendo sul nascere gli incendi più minacciosi, i risultati erano deprimenti. Lo stesso Carlostadio fu una delle prime “vittime” di quei disordini ormai ingovernabili; prendendo alla lettera l’invito di Dio ad Adamo di lasciare il paradiso e di confrontarsi con le fatiche del mondo, guadagnandosi da vivere col sudore della fronte, accetta quell’invito e lo estende ai suoi studenti e tutti assieme si improvvisano contadini alle prese con vanghe e badili. I monasteri e i conventi, a partire da quello agostiniano, si vuotavano; preti, frati e suore, avevano raccolto lo spirito dei suoi scritti sul “Celibato”, e ne seguivano l’invito sposandosi. Lutero assisteva, impotente, a quelle iniziative ormai fuori controllo e potenzialmente pericolose. Inoltre era seriamente preoccupato per gli atti di violenza che si ripetevano sempre più frequentemente in varie parti della Germania. Per lui la vera arma rimaneva la parola e non la spada.; grazie alla parola, alle prediche si riprometteva di “convertire” il mondo e di introdurre finalmente il Regno di Dio. A questa sua visione, improntata sull’amore del prossimo e sulla pazienza, non c’era alternativa e di conseguenza prendeva decisamente le distanze da quegli scontri che minacciavano di incendiare tutta la Nazione. Per un’intera settimana avrebbe avuto modo di illustrare questi concetti dal pulpito della Chiesa parrocchiale, sempre convinto della forza della “parola” e del suo esempio. Il suo prestigio ancora intatto avrebbe fatto il “miracolo” di calmare un’intera popolazione, alla quale aveva promesso di pazientare ancora due anni, poi “le cose si sarebbero aggiustate da sé…”; il “Magistrat” di Wittenberg, grato e tranquillizzato, gli avrebbe regalato una nuova tonaca, cucita su misura… Egli, come scrisse nell’introduzione del “suo” nuovo testamento, non si stancava di ammonire, supplicare e pregare; il suo intimo convincimento era riepilogato in un pressante invito: “Predicate, pregate, ma non combattete”. Al contempo si stava accorgendo che lo stesso movimento “riformatore”, a cui aveva dedicato un’intera vita, gli stava scappando dalle mani; mentre diventavano sempre più pericolosi i movimenti di religiosi radicali come i seguaci di Müntzer e gli Anabattisti (Wiedertäufer), che alcuni anni dopo saranno impegnati a fondare a Münster, nel cuore della Westfalia, il regno di Dio in terra. L’Università di Wittenberg, pur nella povertà di mezzi da cui era afflitta, cominciava a rifiorire grazie soprattutto a Melantone e a uno sparuto numero di colleghi. Per quanto riguardava la politica Lutero ebbe ancora come modello San Paolo, ed in particolare il capitolo XIII dell’epistola ai Romani: “1Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto, il rispetto. Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore. Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie…”. Quello che da molti è stato considerato un potenziale “tribuno”, non aveva inclinazione alcuna per la politica; anzi nei confronti dei contadini, delle loro lotte e del loro fondato malcontento rimase molto scettico all’inizio e decisamente contrario con l’avanzare degli eventi. Egli respingeva la ribellione nei termini radicali, perché, se la plebaglia si fosse scatenata, invece di un tiranno ce ne sarebbero stati cento, condividendo in questo l’opinione di San Tommaso. Per il resto si tenne lontano da un reale coinvolgimento e, conoscendo i suoi limiti, non “osò” mai avanzare progetti politici. La sua posizione sulla guerra dei contadini (1524-25) diede adito a non pochi equivoci. In proposito aveva redatto uno scritto conciliante che iniziava con le parole: “Al lettore cristiano siano la pace e la grazia di Dio per mezzo di Cristo… L’Evangelo non produce ribellioni e disordini..” . In esso appariva fermo il suo biasimo per le rivendicazioni che comportassero spargimento di sangue e, nell’invito ad emigrare se non si condividevano le norme dei Principi, c’era un’inequivocabile difesa di quella classe di Nobili e Potenti – le autorità – chiamata ad intervenire perché se ognuno avesse voluto farsi giustizia con le proprie mani, non ci sarebbe stata “né autorità, né governo, né ordine o Stato, ma solo uccisioni e spargimento di sangue”. Ma la cosa che gli procurava più dolore erano le deviazioni che cominciavano a profilarsi anche nel suo stesso movimento; Carlostadio suo affettuoso collaboratore, doveva imprimere un’accelerazione “sociale” a quella che si profilava già come la grande Riforma. Egli come ministro di culto non solo non desiderava differire per nulla dai suoi stessi parrocchiani da cui aveva preteso che gli si rivolgessero dandogli il Tu, ma indossava abiti civili anche nella celebrazione della Messa e aveva rinunciato ad essere mantenuto dalla congregazione, guadagnandosi da vivere facendo il contadino. Per Lutero c’era il concreto pericolo di “avere non già dei contadini colti come i predicatori, ma dei predicatori ignoranti come i contadini”. Tra i tanti movimenti egualitari quello che lo preoccupava di più erano i primi movimenti di sommossa provocati da masse di contadini, determinati e disposti a tutto, pervasi com’erano dal fanatismo che contraddistingueva il loro “predicatore”. A guidarli c’era infatti un monaco molto deciso e contrario ad ogni compromesso; un “eletto” già suo confratello, quel Thomas Müntzer, conosciuto a Lipsia nel 1519, al tempo del confronto dialettico col professore Eck e da lui raccomandato ai fedeli di Zwickau, dove divenne predicatore. Bandito presto da Zwickau per le sue prediche troppo radicali, cercò riparo e discepoli a Praga, dove pubblicò e affisse il suo “Manifesto” (settembre 1521), richiamandosi ad un personaggio, Giovanni Hus, il cui ricordo era molto caro ai Boemi. Anche a Praga il suo soggiorno sarebbe stato di breve durata; entrato in rotta di collisione con la locale nobiltà clericale, soddisfatta e paga dei beni ecclesiastici che grazie a Lutero era riuscita ad incamerare, fu costretto a riprendere il suo vagabondare. Fermamente intenzionato a usare il dono dello spirito come base per la formazione della Chiesa, i cui destini dovevano essere affidati a schiere di “eletti”, pronti a battersi anche con un’impari lotta per conquistare la loro eredità. In queste prediche infiammate il monaco ribelle dava per scontata l’inevitabile perdita di tante vite umane, perché la sofferenza ed il sacrificio estremo erano il segno distintivo degli eletti. Lutero era terrorizzato da quelle tesi, convinto com’era che la spada fosse riservata all’autorità, non ai ministri di culto e tanto meno ai santi. Tuttavia egli stesso non avrebbe mai condannato così ferocemente i contadini se non fosse stato testimone di sollevazioni cruente, finalizzate a sconvolgere i rapporti socio-economici esistenti. Proprio la Sassonia, regione che per quei tempi poteva esser considerata tra le più progredite e dove era già stata abolita la servitù della gleba, sarebbe diventata teatro di sanguinosi scontri fomentati dal radicalismo di Thomas Müntzer, da lui considerato un pericoloso sobillatore. Questo religioso “scomodo” per i Potenti del tempo, che aveva girovagato per tutto il Paese, Boemia compresa, aveva avuto l’intuizione di osservare che la fede stessa non può prescindere dall’occuparsi anche di problemi esistenziali, ponendosi così su un piano nettamente diverso da quello di Lutero, cui era solito attribuire ironicamente vari appellativi di certo non lusinghieri (Dottor Bugiardo, Posapiano, Comodone…): “.. Lutero dice che i poveri hanno quanto basta loro nella fede. Non si accorge che l’usura e le tasse impediscono a molti di ricevere la fede? Dice che la Parola di Dio è sufficiente; non si rende conto che gente che spende ogni minuto del suo tempo per procurarsi il pane non ha tempo d’imparare a leggere la Parola di Dio? I Principi dissanguano il popolo con l’usura e considerano loro proprietà i pesci degli stagni, gli uccelli del cielo e l’erba dei prati e il dottor Bugiardo dice ‘Amen’. Con che coraggio parla il Dottor Posapiano, il nuovo papa di Wittenberg, il Dottor Comodone, il gaudente adulatore? Egli dice che non ci dovrebbe essere ribellione, perché Dio ha dato la spada all’autorità, ma il potere della spada appartiene alla comunità intera…”. Proprio con quelle prediche, tenute davanti a masse perennemente in attesa di qualcuno che le liberasse dalle ingiustizie cui erano quotidianamente sottoposte, il religioso aveva conseguito un insperato successo in tutte le sedi in cui la sua frenesia “missionaria” lo aveva portato. La determinazione con cui Müntzer trasmetteva il suo credo continuava a conquistare cuori e coscienze. Nel 1523 riusciva a farsi eleggere pastore nella città sassone di Alstedt, dove avrebbe fondato la “Lega degli Eletti”, che perseguiva una trasformazione radicale della società e della chiesa cristiana. Proprio in quella cittadina si sarebbe assistito ad un vero fenomeno di massa, tante erano infatti le persone che, informate della presenza di Müntzer, accorrevano dalle località vicine per ascoltare le sue infiammate prediche. Le dimensioni del movimento, il tenore delle prediche di Müntzer e soprattutto l’incendio di una cappella dedicata alla Vergine Maria, avvenuta nel marzo del 1523, dava a Lutero l’occasione per rivolgersi ai Principi della Sassonia, con un discorso allarmato: “…Questa gente di Alstedt svillaneggia la Bibbia e si pavoneggia con lo Spirito, ma dove ne mostrano i frutti, l’amore, la gioia, la pace e la pazienza? Non vi occupate di loro, finché si limitano al servizio della Parola. Lasciate che gli spiriti contendano tra loro, ma, quando c’è chi sguaina la spada, che si tratti di noi o di loro, dovete farvi avanti. Dovete mettere il colpevole al bando. Il nostro compito è semplicemente quello di predicare e di soffrire. Cristo e gli apostoli non distrussero immagini e chiese, ma guadagnarono i cuori on la Parola di Dio. L’uccisione degli empi dell’Antico Testamento non è da imitare. Se questi tali di Altstedt vogliono eliminare gli empi dovranno fare un bagno di sangue, ma voi siete stati stabiliti da Dio per mantenere la pace, e non dovete dormire…”. Questa lettera avrebbe contribuito e non poco ad allontanare Müntzer dalla sua parrocchia e dalla città. I tanti contadini che nel frattempo si erano lasciati contagiare dalle prediche del monaco ribelle e si dicevano disposti a tutto per imporre il loro credo, furono rappresentati e combattuti come “terroristi”. La storia ha eternato l’infelice affermazione di Lutero, secondo il quale il contadino sedizioso “deve essere combattuto come un cane rabbioso, perché, se non l’ammazzi tu, esso azzannerà te e tutta la contrada con te”. Gli stessi contadini fecero di tutto per giustificare quella rabbia:, dando vita ad assalti ai castelli, a saccheggi, estremamente feroci e coerenti con l’odio espresso e propagato da Müntzer nelle sue lettere e nelle sue prediche: “…Su questa terra nessun uomo che si oppone alla parola di Dio, sarà risparmiato…gli anticristi non hanno alcun diritto di vivere, essi hanno soltanto ciò che gli eletti vogliono loro concedere…”. Contro i Principi il “rivoluzionario” di Dio usava addirittura toni più violenti; i contadini venivano espressamente invitati a rimedi estremi nei confronti di quei principi non intenzionati a mettere la loro spada al servizio dell’emancipazione contadina: “…li si strangoli senza alcuna piet…à”. Dal pulpito della chiesa di Zwickau prima e da quello di Mühlhausen poi continuava ad rinfocolare speranze di giustizia e di affrancamento sociale predicando parole di fuoco: “…Questo è il momento, se siete soltanto tre interamente consacrati a Dio non dovete temerne centomila. Avanti! Avanti! Avanti! Non risparmiate nessun! Nessuna pietà per il pianto degli empi. Ricordate il comandamento di Dio a Mosè di distruggere interamente e di non mostrare pietà. Tutto il paese è in agitazione. Colpite! All’armi! All’armi! Avanti! Avanti”. Queste accorate prediche diventavano per gli animi più semplici inequivocabili inviti alla lotta armata in un clima ormai infuocato dove non c’era spazio alcuno per toni moderati o concilianti. Quella feroce campagna di intimidazione contro i “Potenti” sarebbe continuata imperterrita e senza timore alcuno. Al conte Alberto, quello che si era fin dall’inizio dimostrato vicino al movimento, venne spedita una lettera nella quale si potevano leggere frasi che trasudavano pesanti minacce: “…Timore e tremore a tutti coloro che fanno il male….Non hai saputo assaporare nel tuo zotico letame martiniano come Dio ordini a tutti gli uccelli del cielo di divorare la carne dei principi e a tutti gli animali privi di ragione di succhiare il sangue dei potenti… Pensi che Dio non abbia più a cuore il suo popolo e sia a disposizione di voi tiranni?… Prendi le tue precauzioni. Se riconoscerai che Dio ha dato il potere alla comunità, se accetterai di comparire davanti a noi e rinnegherai la tua fede, accetteremo volentieri la tua confessione e ti accoglieremo come un comune fratello: in caso contrario, con verrà fatta alcuna concessione alle tue frottole insulse e smorfiose e ti combatteremo come un arcinemico della fede cristiana: sappiti perciò regolare”. Al conte cattolico Ernesto di Mensfeld, che aveva ostacolato la predicazione di Müntzer, veniva scritto: “…Ma guarda un po’, proprio tu , vile e squallido sacco di vermi, chi ti ha fatto principe sopra un popolo, che Dio ha riscattato con il suo sangue?… Sarai inseguito e schiacciato. Se non ti comporterai umilmente davanti ai piccoli, ti avverto che abbiamo pieni poteri… L’eterno Dio vivente ha ordinato e ci ha dato l’autorità di deporti dal tuo seggio con la forza; non sei infatti di nessuna utilità, sei un flagello nocivo per gli amici di Dio, il tuo covo deve essere sradicato e distrutto: Vogliamo oggi stesso la tua risposta, perciò regolati“. Parole tra l’altro condivise dallo stesso Lutero e che troveranno precisa rispondenza nelle sue feroci espressioni rivolte ai Principi, e pubblicate a Wittenberg nel 1525 come “Esortazione alla pace…”: “Questo dovete saperlo, cari signori! Dio fa sì che non si possa né si voglia, né si debba più tollerare oltre la vostra pazzia. E se non lo fanno questi contadini, altri lo dovranno fare; e se anche li uccideste tutti quanti, ancora non sarebbero eliminati, perché Dio ne desterebbe altri”. Letto 3838 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||