LETTERATURA: Martin Luther: (1483 – 1546): Lutero mette a punto la sua Riforma. #7/815 Giugno 2011 di Nino Campagna [Nino Campagna, presidente dell’Acit di Pescia (Associazione Culturale Italo-Tedesca) (acitpescia@alice.it), che conosco da vari anni, è un infaticabile messaggero della cultura, in particolare di quella tedesca, di cui si può dire sappia tutto. Affascinato da quella letteratura va in giro a parlarne davanti a studenti e professori, incantando tutti con il suo eloquio da oratore tanto preparato quanto appassionato. Non si finirebbe mai di ascoltarlo. Della cultura tedesca conosce non solo la letteratura, ma la musica e in modo tutto speciale – al contrario di quanto accade in Italia – la fiaba, che nella Germania gode di grande considerazione, quasi a livello di vero e proprio culto. Per la sua attività ultra quarantennale è stato insignito della croce al merito culturale concessagli dal Presidente della Repubblica Federale di Germania Horst Köhler. Essendo la sua opera protesa alla diffusione della cultura tedesca, la rivista è lieta della sua collaborazione, che ci farà conoscere molti aspetti interessanti di quella Nazione, e per questo lo ringrazia.] Solo attorno agli anni trenta, quando la sua situazione personale sembrava essersi normalizzata e l’editto di Worms solo un brutto ricordo, ebbe alcuni barlumi di preveggenza, che lo portarono nel 1531 ad affermare: “…Se i papisti con il loro mordere, ferire e dilaniare mi aiutano a uscire da questa carcassa piena di peccati, e se i Signore non vuole liberarmi questa volta come ha fatto così spesso in passato, Egli sia lodato e ringraziato. Ho vissuto abbastanza. Soltanto quando non ci sarò più essi sentiranno tutto il peso di Lutero” -. Allora non poteva di certo sapere, né prevedere di essere stato “destinato” a dare una coscienza nazionale alla “sua” Germania e una Riforma destinata a diventare un preciso punto di riferimento per l’Europa e il mondo intero. Il monaco la cui vita era stata interamente dedicata all’affrancamento non solo religioso dei suoi compatrioti e che ancora nel castello della Wartburg aveva espresso la sua intima convinzione –“Ancora due anni allora sarà tutto finito col Papato, col Monachesimo e con tutto quello che si frappone al puro Evangelo” – , stava già pensando di passare ad altri il testimone per portare a compimento il “sogno” di un’intera vita. Nonostante tutti i successi conseguiti e i buoni propositi accarezzati sarebbe toccato al suo allievo diletto, Filippo Melantone, pilotare il movimento verso l’approdo definitivo e indicare ai “Protestanti!” nuove strade. Intanto, nonostante il giudizio di Erasmo e la sanguinosa sconfitta di Frankenhausen, il “movimento” di Lutero continuava a diffondersi e a conquistare sempre più consensi ed estimatori. Grazie all’opera di proselitismo di Melantone., di Carlostadio e dei tanti “pastori”, che venivano regolarmente preparati all’Università di Wittenberg e poi “strategicamente” distribuiti sul territorio tedesco ed europeo, si stava verificando una lenta ma inarrestabile “occupazione” della Germania. L’Imperatore come sempre assente, i principi elettori indisponibili a prendere posizioni univoche, in quel vuoto di potere sarebbero state le città “libere” a muoversi con maggiore decisione anche se non tutte nella stessa direzione. Ma la vera “Riforma”, intesa come un nuovo credo diverso dalla religione cattolica, aveva difficoltà ad imporsi. Durante il Reichstag (Dieta) di Speyer (Spira) nel 1526 fu deciso di lasciare a ogni regione del Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca la libertà di fare una scelta autonoma che potesse “essere responsabilmente sostenuta davanti a Dio e all’Imperatore”. Tra i “nobili” regnanti il Langravio Filippo d’Assia si sarebbe autoproclamato Capo del partito protestante e avrebbe caratterizzato quel periodo storico con tutta una serie di iniziative volte ad ottenere visibilità e consenso. A fargli da contraltare il partito cattolico che poteva su una fitta rete di collegamenti nella Germania meridionale e trovava proprio nella Baviera del Cancelliere Eck il suo bastione. In questo panorama confuso e variegato ci sarebbe stato spazio anche per le più disparate sette religiose, fossero esse gli Anabattisti di Münster o “i Seguaci” di Zwingli. nettamente contrarie a lasciarsi inquadrare nelle istituzioni esistenti e tutte disponibili ad ascoltare e seguire i vari Messia di turno. Questi ultimi, guidati da una forte personalità quale lo svizzero Zwingli che grazie ad un’accorta politica di accordi e di intese con gruppi locali e provinciali pensava ad una “Grande Svizzera” che, forte del suo esercito considerato tra i più dotati d’Europa, avrebbe dovuto estendersi fino alla Svevia e alla Franconia; progetto questo cui non doveva rimanere insensibile lo stesso Langravio Filippo d’Assia., che da parte sua si fece promotore di un incontro di tre giorni ad inizio di ottobre del 1529 – i colloqui religiosi di Marburg – con la speranza purtroppo vana di conciliare Lutero e Zwingli. Sempre nel 1529 i teorici della Riforma, pressati dagli eventi politici, dalle alleanze sempre più minacciose che si andavano stringendo in campo avversario e dalla volontà di alcuni principi tedeschi, avevano tentato una riflessione comune sui punti controversi. Nel corso della Dieta successiva, sempre tenuta a Speyr (1529) i “Cattolici” avevano avuto tempo e modo di riorganizzarsi fino a raggiungere la maggioranza dei voti. In quella occasione fu deciso tra l’altro di ripristinare il vecchio credo – quello cattolico – in tutte le Regioni dell’Impero e di mettere fuori legge i provvedimenti di tolleranza. Ad opporsi solo una piccola minoranza dei Principi e delle città, che in proposito presentano una “protesta” che avrebbe poi dato origine al nome ufficiale di “Protestanti”. Fecero fin dall’inizio parte di questo gruppo solo uno dei sette principi “elettori” (quello della Sassonia) e tra i Principi, il Langravio Filippo d’Assia. Per quanto riguardava le città le cose andarono diversamente. In un primo momento si poteva contare sull’adesione di Colonia e Francoforte, che presto tuttavia la avrebbero ritirata; altre quattordici città libere e tra queste Norimberga e Strasburgo rimasero fedeli all’impegno preso. A distinguersi tra queste “forze” innovatrici Filippo, il Langravio dell’Assia, che assunse di fatto il ruolo di capo del partito protestante. I fronti tra cattolici e protestanti erano così chiaramente delineati e sempre pronti a dilaniarsi su problemi religiosi di difficile soluzione. A questi dissidi insanabili si doveva aggiungere la minaccia concreta dei Turchi, la cui avanzata nell’Europa orientale sembrava inarrestabile. Proprio nella speranza di avere una Nazione Tedesca del “suo” Romano Impero finalmente unita e su cui poter contare nello scontro con i Turchi che si profilava in modo minaccioso, l’imperatore Carlo V, sempre impegnato a spegnere i vari focolai di guerra che regolarmente esplodevano nel suo vastissimo Impero, avrebbe deciso di tenere proprio in Germania e precisamente nella città imperiale di Augusta una “Dieta”. Dopo un’assenza dalla “sua” Nazione Tedesca di quasi un decennio – l’ultima sua apparizione era stata quella della Dieta di Worms del 1521 – , l’Imperatore, precocemente invecchiato e già sofferente di gotta, nonostante avesse appena toccato la soglia dei trenta anni, aveva deciso di tenere una Dieta il più possibile allargata. A quella Assise che si preannunciava epocale, avrebbe partecipato il Papato, rappresentato per l’occasione dal cardinale Campeggi, e il vice-imperatore, il fratello Ferdinando, che alle due corone di Re di Boemia e di Re d’Ungheria avrebbe aggiunto anche quella di Re della Germania. Tra gli ospiti più illustri il Re d’Inghilterra, Enrico VIII, e il famoso umanista Erasmo da Rotterdam. Carlo V, con la speranza di ridurre lo strappo teologico e dottrinale che si andava allargando, aveva invitato i Principi e i notabili dei territori tedeschi aderenti alle tesi di Lutero di riunirsi per esporre le loro convinzioni al Papato e ai suoi sostenitori. Egli stesso, proveniente da Bologna dopo aver ridimensionato le pretese del nuovo Papa Clemente VII., era fermamente deciso di arrivare ad un compromesso unitario, anche perché in seno alla Chiesa di Roma c’erano diversi autorevoli pensatori vicini alle posizioni tedesche. Dal punto di vista teologico sarebbe stata trovata un’intesa praticamente su tutto tranne che sulla presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo nell’Eucarestia, come voleva Lutero, o sulla sua presenza simbolica, come auspicava Zwingli. Il relativo documento, passato alla storia come la “Confessione di Augusta” redatta e illustrata dallo stesso Melantone, avrebbe costituito un’articolata puntualizzazione dei punti su cui si basava la religione “protestante” e tale rimarrà negli anni a venire. Lutero, sui cui pendeva sempre l’editto di Worms, non prenderà parte a quell’incontro preferendo rimanere al sicuro nella vicina fortezza di Coburgo, da dove tuttavia avrà modo di seguire l’andamento dei lavori e di approvare la condotta dei suoi. Purtroppo nel corso della Dieta, introdotta da un imponente corteo in costume in una scenografia variegata e sfarzosa e conclusa da un’orchestra composta dai migliori musicisti del tempo, a prevalere sarebbero state le annose “incomprensioni” per quanto riguardava l’Eucaristia, la Parola, il Vangelo, la libertà di predicare, differenze considerate insuperabili e che avevano caratterizzato anche le “Diete” precedenti. Essa pertanto avrebbe finito col costituire un’altra tappa di quel “faticoso” processo verso la composizione dell’annosa controversia. Quel 1530 tuttavia era destinato ad entrare nella storia, proprio perché ad Augusta avrebbe avuto luogo la prima esposizione ufficiale dei principi del Protestantesimo, destinati a parte integrante del “Liber Concordiae” luterano. In quella sede proprio alla fine dell’assise si ebbe modo anche di contarsi, col risultato che 5 Principi e quattordici città, tra cui Strasburgo, Francoforte, Norimberga e la stessa Augusta, avrebbero fatto la scelta “protestante”, suggellandola subito dopo con la “Lega di Smalcalda” (1531). Sarebbe stata così sancita la divisione religiosa della Germania, proprio in pieno Umanesimo, quando la possibilità di una Europa religiosamente differenziata appariva più fattibile di quanto non lo fosse stata nei periodi precedenti. Da allora è stato tutto un susseguirsi di dispute, per lo più tenute in occasione delle ricorrenti “Diete”; un confronto continuo, spesso acre, ma sempre purtroppo interlocutorio. Quell’anno avrebbe anche segnato anche una svolta nella vita del grande “Riformatore”; il Lutero da noi conosciuto sembrava aver preso definitivamente le distanze dalle lotte religiose,. Proprio nella fortezza di Coburgo, immersa nella foresta della Turingia e dove si sarebbe intrattenuto da aprile ad ottobre del 1530, aveva avuto la precisa sensazione di essere ormai superato dai tempi e di essere diventato “estraneo” al processo politico-religioso messo in moto da lui stesso. A soli 47 anni, anche se per l’epoca era un’età non indifferente, cominciava a sentire la fatica di tanti, troppi anni trascorsi in prima linea. Sarebbe così incominciato un periodo in cui avrebbe accusaro malanni di ogni genere, dalle vertigini, ai mal di testa, ai calcoli renali; tutto questo aggravato da un’amara solitudine, che contribuirà a renderlo scontroso e irascibile. A prevalere d’ora in poi e fino alla fine sarà il suo innato “pessimismo”, la sua invincibile sfiducia nell’uomo e nelle sue attività. Sarebbe toccato al fido Melantone continuare con la stessa determinazione ed energia la sua opera teologica e a garantire al movimento quel futuro da entrambi auspicato. Gli interessi di Lutero si sarebbero rivolti ad altri aspetti della sua poliedrica attività; la letteratura e la musica sarebbero state le occupazioni che avrebbero monopolizzato la sua vita. La sopravvenuta “Pace di religione” di Norimberga del 1532, che garantiva ai Protestanti il libero esercizio della loro fede, sembrava aver ratificato queste nuove prospettive. Nel 1534 sarebbe uscita la prima versione della Bibbia completa, che verrà limata e corretta ininterrottamente fino alla sua morte. Per certi versi il lavoro sulla Bibbia di Lutero è comparabile all’impegno profuso dal grande Goethe per dare la forma definitiva al suo “Faust”. Notevole anche la traduzione in prosa dei salmi. Per effetto di questa sua opera assidua, paziente, e soprattutto molto accurata, Lutero può essere considerato il creatore del linguaggio letterario moderno della Germania. La “sua” Bibbia ebbe la fortuna di diffondersi rapidamente anche negli strati più poveri del popolo, perché era “limpida, semplice e di immediata comprensione…”. Il testo sacro sarebbe diventato presto, grazie anche al deciso quanto autorevole intervento di Melantone, un breviario di vita quotidiana destinato a tutti e di sicuro il libro più letto del Cinquecento tedesco. Per leggerlo tra l’altro non c’era bisogno di comprare il testo, il cui costo era semplicemente “pazzesco” – si dice che un lavoratore medio avesse dovuto lavorare un anno intero per mettere da parte la somma necessaria. Per i fedeli e gli interessati c’era la possibilità di prenderlo in prestito, e di conseguenza le “Bibbie” venivano utilizzate fino consunzione. La Bibbia diventava così fonte di conforto, di entusiasmante attesa. In essa si trovavano solo indicazioni su come raggiungere il paradiso, ma, zeppa com’era di storie di vite esemplari, di ammonimenti e di inviti alla tolleranza, costituiva un “rifugio” per le quotidiane asperità. Il monaco di Wittenberg, tra l’altro, era stato particolarmente attento a comporre una specie di “antologia” frutto di una sua scelta autonoma e finalizzata alla vita d’ogni giorno; per questo motivo aveva incluso proprio quei brani che potevano aiutare nella diffusione di messaggi di forte contenuto sociale; messaggi che non contenevano nulla di sovversivo o di rivoluzionario, ma che trovavano il loro fondamento nell’insegnamento contenuto nella Bibbia. Semplicemente straordinario il ruolo che Lutero avrebbe avuto in questa sua opera “ciclopica”, grazie alla quale era riuscito a creare un linguaggio “popolare”, con una ricerca accurata, minuziosa di vocaboli e di modi di dire gergali, sempre attento al loro ritmo e alla loro musicalità. L’aver privilegiato poi settori come la lirica e la musica, sarebbe risultato di fondamentale importanza per tutta la cultura tedesca. Al Lutero amante di Esopo si devono anche sedici favole (1530), piccoli capolavori di prosa stringata; caratterizzati da linguaggio ricco di espressioni popolaresche e di proverbi direttamente attinti dalla parlata dei ceti più umili. I ”discorsi conviviali” raccolti e pubblicati dai suoi allievi, dopo essere stati dagli stessi trascritti proprio a tavola quando più o meno comodamente seduti si scambiano quattro chiacchiere, ci tramandano un Lutero saggio, spesso divertente e dalle cui labbra dipendono tutti i commensali. Un Lutero capace di confezionare, attingendo proprio dalla sua faticosa e spesso turbolenta esperienza di vita, “pillole di quotidianità” che avrebbero aiutato a sopravvivere in un mondo da lui crudamente definito “cattivo”. Già sul finire degli anni venti erano soliti raccogliersi attorno alla sua tavola, verso le cinque di sera di norma l’orario dello “Abendessen”, i commensali della più diversa specie, fossero anonimi studenti poveri che ricevevano nella casa del generoso riformatore vitto e alloggio o ospiti più o meno autorevoli, attratti dall’aureola di notorietà che contraddistingueva quel monaco ormai famosp. Più tardi il gruppo si sarebbe ingrossato con pensionanti, che la moglie Caterina – sempre attenta al bilancio familiare… – accudiva per arrotondare le magre entrate. Molti di questi ospiti, dotatisi di taccuini, cominciarono a prendere appunti su quanto Lutero aveva occasione di dire. Tutto il materiale, espresso in un linguaggio misto di latino e di tedesco, veniva poi ordinato e di corsa portato agli editori, per raggranellare qualche soldo. Con Lutero ancora in vita vennero pubblicati i “ Colloquia” una raccolta di occasionali riflessioni e di spunti variegati che ci avrebbero consegnato un personaggio più “umano” e per certi versi più accattivante. Un Lutero il cui linguaggio tradisce spesso la rozzezza dei tempi e l’assoluta disinvoltura con cui affrontava temi più o meno scurrili – “L’unica parte del corpo umano in cui il Papa non ha imposto una disciplina è il deretano”; un linguaggio che proprio per questo era capace di esprimere tutta la sua vivacità e forza espressiva. Senza avere la pretesa di fornire un campionario finalizzato a qualche tesi precostituita ci piace qui fornire alcune citazioni, lasciando al lettore il compito di farsene un’idea, seppure vaga: – “Quando sono immerso in pensieri mondani o domestici, mi prendo un Salmo o un detto di San Paolo e ci dormo sopra. I pensieri che il Diavolo mi insinua invece mi costano di più…”
Tornando tuttavia alle vicende storiche che hanno accompagnato i rapporti controversi tra la Chiesa Cattolica e la Riforma protestante bisogna ricordare che il decennio dal 1535 al 1545 può essere considerato, anche dal punto di vista “politico”, il periodo di massimo fulgore del Protestantesimo. Muoiono i vecchi Principi cattolici, come Georg von Sachsen-MeiíŸen e il conte di Brandeburgo; i loro successori, approfittando delle disposizioni contenute nella Riforma, che consentiva loro di portarsi dietro i relativi possedimenti territoriali, la cosiddetta “secolarizzazione” dei beni, aderirono alla Riforma, anche per motivi non strettamente riconducibili a quelli “religiosi”…. La stessa cosa doveva avvenire col Wüttenberg, Magonza e il Palatinato. Anche l’arcivescovo di Colonia, d‘intesa con tutti i ceti di quella città, il cui Duomo si stagliava già allora imponente al di sopra di tutte le architetture cattoliche dell’epoca, aveva espresso l’intenzione di “riformarsi”. Senza il deciso intervento dell’Imperatore quasi l’intera Germania si sarebbe pacificamente convertita al “Protestantesimo”. Si delineava di conseguenza una nuova carta geopolitica della Nazione tedesca: la parte settentrionale protestate e quella meridionale cattolica. Intanto lo stesso Lutero, afflitto da malanni fisici, cominciava a vacillare; la “parola” su cui aveva incondizionatamente puntato, si dimostrava efficace solo nei piccoli centri. Colui che per oltre venti anni aveva guidato con mano ferma e senza tentennamenti il “suo” movimento era caduto in una pericolosa depressione, diventando tra l’altro irascibile e soprattutto terribilmente pessimista; dappertutto non vedeva altro che decadenza e tradimento. La stessa “ragion di stato” sempre più imperante in un’epoca in cui erano inevitabili continui compromessi gli risultava incomprensibile. Nell’ambito della sua stessa Riforma cominciavano a prendere corpo divisioni e dispute che non aiutavano a mettere a punto posizioni da tutti condivise; ci si divideva in “Martiniani” (seguaci di Lutero) e “Filippiani” (seguaci di Melantone). Toccherà proprio a Melantone, quel delicato e minuto professore di Wittenberg, ammiratore e amico di Erasmo, assumere il difficile compito di dare organicità ad un movimento cresciuto tra continue dispute e sempre in attesa di poter contare su presupposti che avrebbero dovuto garantirgli un futuro. Un Melantone lontano e diverso da Lutero anche nei suoi rapporti con popolo, per il quale, riferendosi alla Bibbia, aveva addirittura coniato un’espressione che sarebbe rimasta nella storia: “…sì, sarebbe necessario che un popolo così selvaggio e maleducato come quello tedesco, avesse meno libertà di quanto ne abbia adesso…”. Tra le proposte da lui avanzate per mantenere ordine e legalità anche quella a cui egli stesso si sarebbe votato: bisognava costruire più scuole e curare in particolare la predicazione e l’ordinamento della “nuova” Chiesa. A dare vita a questa “riforma” si sarebbe impegnato personalmente con una serie di visite “pastorali” nella Sassonia per avere una panoramica della situazione. La Sassonia del principe elettore, nonostante la presenza di Lutero e Mlantone a Wittenberg non era diventata subito protestante o luterana., proprio a causa delle particolare tolleranza del principe Elettore, Federico il saggio prima e dei suoi successori, il fratello Giovanni e il nipote Giovanni Federico. I conventi continuavano ad esistere ancora, anche se molti si erano ridimensionati ed altri erano stati abbandonati. Continuavano ad esistere anche le congregazioni religiose, i gruppi corali, i predicatori e i parroci, tutta gente su cui si ripercuoteva la confusione politica e religiosa di cui era preda l’intero Paese. Dovunque era sorto un vero proletariato che, trascurato per decenni, si ritrovava adesso a combattere con i problemi della sopravvivenza quotidiana. Alcuni degli ex prelati si erano riciclati, improvvisandosi osti o piccoli mercanti, ma in tutti, come avrebbe scritto Lutero a Spalatino, c’era un comune sentimento: “adesso disprezzano noi, come prima avevano disprezzato il papato”. Sarà lo stesso Melantone a parlare ai parroci e a prescrivere loro precise norme di comportamento. In primo piano veniva posta la “Legge” del Vecchio Testamento, con particolare attenzione alla penitenza, alla fede e alle opere buone. Il Vangelo che era stato privilegiato da Lutero poteva essere compreso solo se l’uomo avesse prima riconosciuto i suoi peccati e li avesse combattuti. Di conseguenza la raccomandazione prima che veniva imposta era quella di predicare ubbidienza e preghiera; di tutto il resto, di cui “il popolo non capiva molto”, sarebbe stato meglio tacere… Si delineava così uno Stato autoritario o meglio “padrone”; uno Stato a cui veniva delegato tutto e che avrebbe dovuto pensare a tutto. Ma nel frattempo la situazione nella Sassonia elettorale era notevolmente cambiata. Dopo Federico il Saggio, morto senza eredi diretti – anche se si dice avesse due figli illegittimi -, a salire sul trono sarebbe stato il fratello Giovanni, caratterizzato dalla stessa “abulia” per le decisioni importanti , tutto preso com’era a prender tempo e a fare maturare le cose da sé, ma senza possedere quell’autorità patriarcale che tutti avevano riconosciuto al fratello maggiore. Il nuovo Duca, nonostante i continui ammonimenti, consigli e suggerimenti che Lutero non gli lesinava, tralasciava visibilmente i suoi doveri di governo, rendendosi inviso nella sua stessa corte. La stessa indolenza avrebbe dimostrato verso l’Università, fiore all’occhiello del suo predecessore, le scuole e gli affari religiosi. L’unica faccenda alla quale sembrava tenere era la prospettata secolarizzazione dei beni; per tutto il resto, dalla nomina dei preti alla scelta dei predicatori e alla messa a punto di un bilancio col quale far fronte alle spese generali e alle relativa entrate di uno Stato, anche se piccolo, era letteralmente indifferente. Letto 2388 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||