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LETTERATURA: Nella bottega dello scultore – Ríªverie sul “Mosè egizio”

6 Febbraio 2010

di Daniela Toschi

Salì al trono intorno all’anno 1375 a.C. un giovane faraone, che dapprima si chiamò Amenofi come il padre, ma poi cambiò nome, e non solo nome. Questo re tentò di imporre ai suoi sudditi una nuova religione, che era in contrasto con le loro tradizioni millenarie e con tutte le consuetudini a loro familiari. Si trattava di un rigoroso monoteismo.
[S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, 1938]

I passi sulle scale che conducono alla bottega dello scultore dove sono stata nascosta – mesi o millenni fa – mi sono familiari: appartengono allo scriba. Attendo, e mi chiedo se il volto che sto per rivedere apparterrà ad un uomo o ad un fantasma, poiché non riesco a ricordare se anch’egli sia stato ucciso. Ed ecco che appare, indistinto nell’ombra; avanza lento tra la polvere e i calcinacci, si affaccia alla finestra e osserva con curiosità il muro alto che, chissà quando, vi è stato costruito davanti.
“Dove sono tutti gli altri?” gli chiedo.
Non risponde. Abbassa gli occhi e tace.
“Tutti?”
“Sì. Tutti a parte uno, se è vero quello che si dice.”
“Quindi non vi sarà memoria, ed è giusto così. Era un errore: Amon esiste, e lo ha ben dimostrato.”

Ma fa male parlare di queste cose, e allora gli indico i papiri e le tavolette di argilla che ho raccolto e disposto con cura intorno a me, e sono felice di poter mostrare il mio tesoro proprio a lui, uomo o fantasma che sia. Qui c’è la storia delle genti che hanno popolato il mondo, la loro letteratura, le loro preghiere: quanto ho potuto raccogliere di tutto ciò che è stato scritto.

“Devi lasciare uno spazio”, dice lo scriba dopo aver passato in rassegna la mia collezione. “Mancano diciotto tavolette.”

“Diciotto? Sono gli anni in cui l’Aton ha governato ad Amarna! Quegli anni sono scomparsi, scriba, lo sai bene. Tutto fu cancellato: ogni monumento eretto, ogni parola scritta. Amarna non è mai stata.”

Lo affermo con decisione: io so, con solida certezza, che non è mai esistito ciò la cui memoria è stata dannata. Di Amarna è rimasta solo questa bottega dello scultore dove mi hanno nascosta – o rinchiusa, o dimenticata – e presto andrà in rovina anch’essa e cadranno i muri alti che qualcuno le ha eretto intorno affinché i raggi di sole non mi raggiungessero per ricordarmi l’Aton. E l’Aton stesso, il Dio unico, non è mai esistito: non ha forse rivelato la sua inconsistenza nel preciso momento in cui gli altri dèi hanno manifestato il loro potere? Amon, primo fra tutti: il più caro al cuore degli uomini. Quanto a me, forse sono un’ombra, o una statua di gesso scalfita, non so.

“Diciotto tavolette, ricorda” ribadisce lo scriba mentre si allontana. E prima di sparire nel buio si volta a fissarmi un’ultima volta negli occhi: “L’uomo che è riuscito a fuggire… Si chiama RaMose, o TutMose. Ha portato gli Habiru con sé. Si dà per certo che non riusciranno a sopravvivere nel deserto. Ma non è detto.”

Lo scriba scompare. Sento i raggi del sole illuminare questa notte eterna, mentre cerco lo spazio per diciotto tavole di argilla, tante quanti gli anni in cui l’Aton ha regnato, gli anni cancellati, dannati.

Commento

La memoria è forse una dannazione? O forse è un appiglio per colmare illusioni o per costruire un presente progettuale? Credo nella necessità di una memoria, pur nel conflitto tra passato e futuro, per restituire all’uomo il giardino della sua identità.
Rivisitazione pregevole ed emozionale di un mondo distillato dalla sacralità del tempo e del luogo. Emerge il fantasma del vivere, fra l’auspicio ed il sogno, fra la realtà e l’urgenza di una dimensione auspicata. C’è il bisogno di una certezza, si aspira ad una chiarezza, per il riappropriarsi di una realtà che non può essere cancellata. Così nell’alchimia simbolica si attende il sorgere del sole, che potrà cancellare ombre e ripetere il miracolo della sopravvivenza. Al limite dell’annientamento, prende forma la speranza.
L’intera circostanza si intride dell’analisi profonda e di un alto privilegio meditativo. L’efficacia e la modalità originale del percorso assecondano la forza metaforica e conferiscono alle parole spessore intellettuale e introspettivo.

                                                                                                                                      Gian Gabriele Benedetti


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1 commento

  1. Commento by daniela toschi — 7 Febbraio 2010 @ 16:12

    Questo  non è che  la risposta ad un racconto di  trenta parole di Gian Gabriele Benedetti che era stato pubblicato  su “La Nazione” il 27 novembre 2009.   Lo riporto: “Nella magia dell’invenzione di ogni giorno concesso, riscopriamo la voglia di vivere, sapendo che il sole alimenterà il cielo anche di notte. Niente è tanto scuro da obnubilare speranze”.

    Riporto anche quanto gli scrissi: “Ti dirò, Gian Gabriele, che quel sole che alimenta il cielo anche di notte mi ha fatto venire l’idea di uno dei miei strani racconti! Mi dai il permesso? (però devi darmi anche molto tempo, l’idea l’ho già chiara e lampante, ma scriverla è un’altra cosa. Comunque riguarda El Amarna e il dio Aton).”
    Gli chiesi due mesi di tempo e ho sgarrato di poco. Ogni promessa è debito!

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