LETTERATURA: Roberto Escobar: “Metamorfosi della paura”14 Luglio 2009 di Marisa Cecchetti Edito nel 1997, “Metamorfosi della paura” propone un tema quantomai attuale, la paura dello straniero, partendo dall’assunto che la diversità è la dimostrazione che la Natura non è ovvia e banale e arrivando a concludere che “se rimaniamo dentro di noi, non possiamo crescere”. Caduti i confini e i conflitti tra Est e Ovest, ed i contrasti ideologici, ad essi si è sostituita una paura indefinita, quella dei nuovi barbari che vengono verso l’Ovest e il Nord a dar vita ad una società che è una esplosione di etnie, valori, religioni e culture diverse. Questo ci fa rifugiare sempre più nei nostri individualismi, spaventati dal fatto che loro crescono di numero e noi invecchiamo. Escobar sostiene che l’uomo ha bisogno di creare dei mostri esterni quando è debole la sua identità, in modo da proiettare su di essi il proprio diavolo interno. Il risultato è una massa con “armonia di intenti e odio di cuori che si fondono”, nella convinzione che gli altri siano esseri umani sbagliati e noi quelli giusti! Lo stupore nasce poi nello scoprire che hanno molte somiglianze con noi, allora è utile svilirli e considerarli non persone, catalogarli come extracomunitari, vu’ cumprà, in modo che non scatti in noi il rischio della identificazione. Più dell’hostis, il nemico a cui si dichiarava la guerra secondo determinati riti per tenerlo fuori dai propri confini, oggi è lo straniero interno che fa paura, che appare senza radici e senza storia. In cerca di “securizzazione” nelle istituzioni che rimangono garanti di un ordinamento, con un capo che rassicura la corte, ma tuttavia troppo lente per rispondere al nostro bisogno di uscire dal disordine, ci viene in aiuto una ininterrotta produzione di simboli, di miti, di riti. Questi contengono il nostro passato e danno il senso dell’orientamento, arginano il disordine che si intravede in ogni mutamento, che spinge a scaricare la paura su vittime designate, venute a toglierci la tranquillità del nostro mangiare, bere, dormire ed amare. Il simbolico è “il luogo dove si attua una ininterrotta metamorfosi della paura”. (dal “Corriere Nazionale”) Letto 4550 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Gian Gabriele Benedetti — 14 Luglio 2009 @ 19:28
È una tematica di forte pressante attualità quella trattata nel libro, ben recensito, con la consueta essenzialità e puntuale profondità da Marisa Cecchetti. La nostra civiltà si trova ad affrontare una situazione, che erroneamente e colpevolmente non aveva previsto. Le nazioni più ricche hanno sfruttato quelle più povere, non dando in cambio alcunché e non considerando la loro condizione di vita. Ora si assiste all’esodo da terre di miseria e, non di rado, di orrore. Bisognerà non chiuderci nel nostro “splendido e tranquillo” isolamento e considerare anche chi fugge dalla miseria e dalla violenza persone come noi. Quindi accoglienza e solidarietà, anche se non è facile trovare sistemazioni adeguate per tutti (ormai l’esodo è irrefrenabile). Ed allora non solo accoglienza e parità di diritti, ma anche aiuti mirati a quei popoli poveri, affinché riescano a crearsi una vita vivibile pure nelle loro terre, tanto da non essere costretti dolorosamente ad abbandonarle. Ci sarà questa volontà o continueremo a chiuderci nei nostri egoismi e nelle nostre “paure”?
Gian Gabriele Benedetti
Pingback by Bartolomeo Di Monaco » LETTERATURA: Roberto Escobar: “Metamorfosi … — 15 Luglio 2009 @ 17:39
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Commento by Caterina Benedetti — 4 Luglio 2012 @ 19:02
Non ho potuto evitare di fare un appunto: mangiare, bere, far l’amore e star tranquilli non sono attività che, secondo Escobar, ci vengono minacciate dallo straniero interno, bensì ciò che noi, nelle nostre cantine e nei panni del traditore, sogniamo. A tutti noi, sostiene ancora Escobar, nel profondo piacerebbe smettere di essere solidali e ritirarsi a star tranquilli, ma non lo facciamo. Coscienti di questo, vediamo anche negli altri dei “piccoli traditori” e nello straniero Il traditore, colui che essendo non-Noi, ma stando dentro al Noi, può permettersi di vivere dove viviamo noi, come vorremmo noi.