di Stefania Nardini
[È la prima autrice contemporanea tradotta in Ucraina con il suo romanzo Matrioska, Tullio Pironti editore, 2001. Giornalista, cura la pagina culturale Scritture & Pensieri del quotidiano “Il Corriere Nazionale”]
Erano vite sospese. Segregazione, umiliazione, perdita dell’identità. Eppure quante volte Alda Merini narra nelle sue opere l’esperienza del manicomio! Quante volte nella
“follia” di Dino Campana troviamo la straordinaria potenza della sua poesia! E dire che sono passati 30 anni da quando la legge Basaglia ha chiuso quei luoghi che spesso erano veri e propri lager.
Paolo Teobaldi li ricorda in un romanzo, “Il mio manicomio”, in cui è una donna, un’infermiera che ripercorre le vicende di quel luogo dagli anni prima della guerra fino alla riforma. “Il “castellaccio” – racconta Teobaldi – era uno dei simboli della mia città. Mia madre lavorò in quella struttura per anni, ma non disse mai una parola. Un lavoro molto particolare, specialmente a quei tempi, quando in manicomio ci si finiva per motivi che noi oggi considereremmo banali. Per scrivere il romanzo ho letto le vecchie cartelle cliniche, un materiale prezioso per capire in che modo si affrontava il problema psichiatrico “.
A raccontare la follia in presa diretta è Marco Ercolani, psichiatra, con il suo “Anime strane”, un bel libro che nasce dalla sua esperienza di operatore. Ma come è cambiato quel “male oscuro”? “La sofferenza del disagio psichiatrico è molto acuta, oggi. Viene affrontata o con il sacrificio doloroso delle famiglie o con difficili interventi di “rete”, mobilitando tutte le risorse sociali, relazionali e personali possibili” E dietro tutti questi fatti di cronaca che ogni giorno mostrano episodi sconcertanti cosa c’è? “Una malattia molto semplice: la mancanza di simbolizzazione e di metaforizzazione e di rappresentazione. Gli impulsi aggressivi si realizzano a cortocircuito.
Ciò che non si sopporta viene subito eliminato, non rimosso ma soppresso. La morte dell’altro. La fine di tutto.” Si intitola “Il volo del cuculo”(ed. Nutrimenti), ne sono autrici Mimosa Martini e Luana De Vita. Un’analisi che parte dal maggio 1978, quando entrò in vigore la riforma, ad oggi. Un “viaggio” per capire cosa è accaduto da allora attraverso testimonianze , interviste, approfondimenti.
Già, cosa è successo? L’abbiamo chiesto al prof . Sergio Piro, psichiatra e autore di numerosi testi tradotti in moltissime lingue, che all’epoca affiancò Basaglia per portare quella riforma al Sud.
“Il vecchio manicomio prendeva in carico solo il 3-4 % dei pazienti psichiatrici italiani. Tutto il resto delle persone con disagio mentale, psicologico, adattativo, relazionale, etc., era abbandonato alla medicina privata. Con la riforma si è giunti alla presa in carico immediata di ogni paziente, con intervento domiciliare o nella sede del servizio. Una “cura” ampia e comprensiva con una costante attenzione al rapporto con l’équipe o con la sotto-équipe delegata.”
Ed oggi cosa bisognerebbe fare?
“Attuare puntigliosamente, in pieno, le leggi regionali come sono scritte. E migliorarle subito dopo dove sono carenti”. Piro racconta di esperienze dove il manicomio oggi è un luogo in cui i pazienti sono impegnati in lavori artigianali o attività artistiche. Ma dopo 30 anni il problema di attuare ciò che quella legge indicava resta. Mentre la malattia mentale ha subito mutamenti legati alla nuova società del terzo millennio. In questo momento ci viene in soccorso tanta letteratura che narra il disagio psicologico, un disagio talvolta addirittura superato attraverso la scrittura. Un testo interessante è “Scrivere la follia” di Giacomo L. Vaccarino (ed. Ega). “Lo scrittore stesso è uno molto prossimo alla follia”. Diceva Michel Focault, e il libro si avventura in un approfondimento della questione. “La malattia mentale, – scrive Vaccarino – permettendo all’ispirazione di attingere dalle profondità della psiche, può diventare la condizione necessaria e la causa possibile per la creazione di grandi opere d’arte, altrimenti imprigionate dalla prevalenza della razionalità”. E dire che il manicomio ritratto nelle immagini del grande fotografo Luciano D’Alessandro trasmetteva orrore e disperazione. Oggi in alcune strutture psichiatriche riconvertite si trovano piccoli “musei” dove sono esposte le camicie di forza, i letti di contenzione, apparecchi per l’elettroshock. E’ passato tanto tempo, è vero. Ma quegli strumenti “terapeutici” sembrano appartenere al Medio Evo. Invece venivano usati poco più di trent’anni fa…
[da “Il Corriere Nazionale”]
Commenti
6 risposte a “Scrivere la follia del nido del cuculo”
Tematica di grande interesse e di notevole importanza, che dovrebbe veder coinvolti responsabilmente noi tutti e in particolar modo le istituzioni e le strutture adeguate. Certamente la Legge Basaglia è stata una giusta liberazione da certe specie di “lager”, dove venivano pressoché “torturati” o, a volte, malamente abbandonati non pochi malati psichiatrici gravi. Tuttavia non è seguita a questa giusta liberazione un’adeguata politica di assistenza a quegli stessi malati, che son finiti per gravare in modo pesante e sperequato sulle famiglie, impreparate a tale compito delicatissimo.
E’ necessario far qualcosa di urgente e di serio nei confronti di chi è stato trattato in questo modo sfortunato dalla natura. Va data giusta dignità ai malati in oggetto, ma va dato sostanzioso e funzionale sostegno alle famiglie, che vivono tali tragedie, spesso senza saper come comportarsi.
Ancora bravissima la nostra Stefania Nardini nel trattare questo argomento di grande attualità, con il suo già conosciuto acume e con la sua capacità di indagine.
Complimenti a lei per il suo corposo lavoro ed a te, Bartolomeo, per le scelte che operi con sapienza
Gian Gabriele Benedetti
Sia pure in ritardo un grazie a Gian Gabriele Benedetti e naturalmente a Bartolomeo
Complimenti,cara Stefania.Ottimo articolo che abbiamo apprezzato come merita. Marco ti ringrazia.
Ti informo che, dopo “Anime strane” stiamo scrivendo un altro libro in cui i “matti”, sentono le voci e si rivolgono tutti al loro medico(cioè Marco).Infatti, lo abbiamo intitolato “Sento le voci”. Ma ne riparleremo,immagino.
un abbraccio
lucetta
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