Riccardo Bacchelli ricorda gli anni della Grande Guerra

di Corrado Stajano
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 7 novembre 1968]  

Quando scoppiò la grande guerra, Riccardo Bacchelli era in un momento di crisi morale. Lo scrittore ventiquattrenne, che aveva già pubblicato II filo meraviglioso di Lodovico Clo e i Poemi lirici, stava vivendo anche lui il suo esame di cosciensa di uomo e di letterato. Mai era stato così dubbioso del suo avvenire: come Rimbaud, forse non avrebbe più scritto, pensava, malgrado critici come Benedetto Croce avessero dato giudizi molto positivi sui suoi libri. Accadde invece che Bac ­chelli, anziché andare a vender fucili in Africa, fosse destinato a maneggiarli per i tre anni della guerra, a Conca di Ples ­so e sul Carso, con la seconda e la terza armata.
 

Un fatto morale

Di vecchia e civile famiglia borghese, di tradizione culturale liberale, il giovane scrittore era al riparo dagli estremismi interventistici: persuaso dell’inevitabilità della guerra, per ­suaso che la distruzione del ­l’Austria sarebbe stata un di ­sastro europeo, considerava pe ­rò il conflitto – oltre che una evasione e un modo personale di rompere col passato che l’a ­veva messo in crisi – un fatto morale più che politico, un’espe ­rienza umana dalla quale non poteva restare assente. Rimise dunque tutto, un po’ fatalisti ­camente, nelle mani di Dio e, proprio perché non era favore ­vole all’intervento, ritenne giu ­sto, come giovane uomo che non deve rifiutare la storia, chiedere di partire per il fronte.
Alla fine del ’15 la crisi dello scrittore era composta: lo scos ­sone della guerra l’aveva convinto che doveva continuare a scrivere. Per tre anni fu co ­stretto ugualmente a rinunciare alla letteratura, ma, con gli occhi bene aperti e il cuore in tumulto, non smise mai di re ­gistrare il ribollire di una real ­tà nuova di cui si sentiva anche lui protagonista. Da quell’esperienza fondamentale, Bac ­chelli trarrà alcune delle sue pagine più importanti, delle Memorie del tempo presente, della Città degli amanti, di Oggi, domani e mai e il finale del Mulino del Po dove la mor ­te sul Piave del giovane pon ­tiere Lazzaro Scacerni sembra davvero     il     simbolo     di     tutta un’epoca.
Riccardo Bacchetti ricorda la guerra del ’15-’18 con pacatezza e distacco, senza gli assalti di dolore e di pena di Carlo Emilio Gadda. Nel suo studio milanese di via Borgonuovo, seduto davanti al calamaio di ceramica e alle cannucce con cui ha scritto i suoi cinquanta libri parla delle battaglie dell’Isonzo e degli ufficiali e dei saldati che le combatterono, cerca di chiarire il sentimento che per la guerra del ’15 ebbe il popolo, rievoca e inquadra episodi di quella che anche per lui è stata una sconvolgente vicenda umana.
«Non sono mai stato né pacifista, né guerrafondaio, né interventista, ma giudico la guer ­ra un’esperienza che non posso neppure pensare di non avere fatto », mi dice lo scrittore come introduzione al suo pensiero. «Non devo correggere nessuna opinione dì mezzo secolo fa. Io non ho avuto delusioni perché non avevo avuto illusioni. Anche davanti alla carneficina non restava che dire È la guerra, ma senza cinismo, con virile partecipazione ».
Qual è per Bacchelli il signi ­ficato della grande guerra vista mezzo secolo dopo?
«Non credo allo slogan della propaganda interventista secon ­do il quale il conflitto mondia ­le contribuì all’unificazione psi ­cologica e morale degli italiani. Questo è un dovere e un impe ­gno degli anni di pace. Il signi ­ficato del ’15-’18 è stato invece di averci fatto partecipare alla storia europea ».
 

La pazienza italiana

Chi conobbe Bacchelli al fron ­te testimonia le sue qualità di ottimo ufficiale, il suo coraggio e la sua eleganza sotto il fuo ­co. I soldati gli volevano bene, lo scrittore, cinquant’anni dopo, ricambia il loro affetto e la loro stima: «Casi di viltà non ne ho visti mai. Non ho avuto che esempi di persone forti, devote, disposte al sacrificio in tutte le classi sociali. Sembra retorica, ma io ebbi allora precisa co ­scienza che non esiste un popolo paziente come il nostro: l’an ­tica educazione religiosa lo in ­fluenza profondamente nel co ­raggio e, insieme, nella virile rassegnazione ».          

Gli scrittori italiani e il ’15-’18.

È’ appena uscita da Longanesi una nuova edizione di Tutta la guerra, un’antologia critica di Giuseppe Prezzolini con scritti di Alvaro, Baldini, Barzini, Cecchi, Jahier, Panzini, Papini, Sa ­ba, Serra, Slataper, Soffici e Ungaretti: il libro è interessante anche perché è completato da testamenti di guerra, da lettere e canzoni di soldati e dalle cor ­rispondenze dei giornalisti che riescono a dare un panorama abbastanza completo degli umo ­ri dell’epoca. Mancano però estratti o accenni a opere essen ­ziali per capire meglio qual era l’altra faccia della guerra, come Un anno sull’Altipiano di Emi ­lio Lussu, il Taccuino di guer ­ra di Cesare De Lollis e, soprat ­tutto, Trincee, di Carlo Salsa, una delle opere più belle e più sconosciute sulla grande guer ­ra, più violenta di Remarque e più tragica della Grande illu ­sione, il film di Renoir.
La guerra fu per molti uno choc. Ragazzi di diciotto anni, divenuti adulti fra le fucilate e gli shrapnel, furono costretti a fare i conti, in un momento cosi delicato della vita, con se stessi e con quel mistero di irrazio ­nalità, di follia e di vergogna che è la guerra. Le loro testi ­monianze hanno un sapore reli ­gioso. Mi racconta, ad esempio, Carlo Betocchi, classe 1899, al fronte nel ’17, e subito travolto nelle vicende della ritirata rie ­vocate in un volumetto, L’anno di Caporetto: «Quella guerra resta anche oggi per me quello che fu allora, lo sbocco tanto più naturale e più schietto, quanto più straordinario, per la mia condizione umana in quell’età mia giovane e piena d’aspettative. E penso che ognu ­no che v’andò ebbe la propria guerra; secondo le sue condi ­zioni, l’età, gli impegni dovuti tralasciare, la maturità del pen ­siero. Ma se torno a richiedermene il significato non so rispondere che una cosa: la vissi non come azione di guerra perché ero tutto il contrario di un eroe. La vissi come l’oscura indecifrabile vicenda che m’era stato offerto di vivere in comune – e necessariamente alla pari – con una immensa quantità di uomini come me, compresi i cosiddetti nemici ».
Un altro «giovane » del ’99, un altro poeta, Sergio Solmi, è pieno di civili rimpianti. La guerra per lui che combatté, prima come aspirante, poi co ­me sottotenente di fanteria sul Monte Nero e sul Montello ed entrò fra i primi a Vittorio Ve ­neto, si confonde coi libri di scuola. «Ho dei ricordi come di giochi felici, quasi una fa ­vola vissuta in assoluta smemoratezza. E sono pieno di ri ­morsi ‘per non aver fatto quella guerra con maggiore coscienza. Mi prende un grande scoramen ­to quando penso a quei soldati più anziani di me, meridionali e analfabeti che mi caddero accanto, carne da cannone man ­data ad ammazzarsi per qual ­cosa che non sapevano ».

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Commenti

5 risposte a “Riccardo Bacchelli ricorda gli anni della Grande Guerra”

  1. Avatar Gian Gabriele Benedetti
    Gian Gabriele Benedetti

    Quello di Bacchelli è un raccontare chiaro, limpido, obiettivo dei fatti. Il suo è uno scrivere che pare davvero d’altri tempi per l’ariosità e il tratto sicuro della prosa. La capacità di questo grande scrittore di presentare episodi e figure è straordinaria, da autore di razza. Ho ancora presente il grande affresco corale, che scaturisce dalla trilogia “Il mulino del Po” e soprattutto sono sempre vive nella mia memoria (a distanza di tanti anni) le immagini dello sceneggiato (uno dei primi) che ne ricavò la TV in bianco e nero e che tenne incollati al piccolo schermo milioni di telespettatori
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Uno sceneggiato stupendo, come ce ne furono in quegli anni ’60, soprattutto di Sandro Bolchi.

    Ho sempre messo il Bacchelli, come narratore, subito dopo il Manzoni. Grandi entrambi.

  3. Avatar Caiogiulio
    Caiogiulio

    Concordo pienamente con i commenti n.ro 2 e 3 (non sono riuscito a leggere quello n.ro 1, perchè non si è aperto il testo). Altri tempi, altri libri ed altra TV!!!

  4. Il primo commento è un pingback, ossia il sito degli studenti ha messo un link a questo articolo, così che i suoi frequentatori, se interessati, possono venirsi a leggere l’articolo qui da noi.