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LIBRI IN USCITA: Corrado Farina: “La figlia dell’istante – Un grande feuilleton torinese”, Fògola Editore, 2010

11 Dicembre 2010

Corrado Farina così inizia a scrivere di sé come regista:
“Sono nato a Torino nel 1939. Ho contratto la malattia del cinema in giovanissima età, frequentando le sale cinematografiche della mia città. Molte di esse non esistono più, e questa non è l’ultima delle cose che mi ricordano quanto tempo sia passato da allora.
I miei genitori non erano contrari al fatto che io andassi al cinema, ma ragionavano su una scala diversa dalla mia: per loro aveva un senso vedere un paio di film al mese, mentre io avrei voluto vederne almeno uno ogni giorno. Loro lo consideravano un semplice divertimento, io un arricchimento. Poiché comunque loro, con un certo buon senso, pretendevano che io andassi a scuola e alla fine dell’anno (bene o male) passassi gli esami, talvolta mi vedevo costretto a dire che andavo a studiare da un amico per poi, con l’amico in questione, imboscarmi in una sala cinematografica. Questa mia carriera di fuorilegge ebbe comunque breve durata e non fu esente da traumi e da delusioni: c’è un film intitolato Il mistero del castello nero che ancora oggi ignoro come vada a finire, perché fui identificato da una malvagia cassiera di mezza età (sicuramente inacidita da chissà quali frustrazioni), e drammaticamente prelevato da una accigliatissima sorella maggiore a nemmeno mezz\’ora dall’inizio del film.”
(…)
Si segnalano, tra gli altri, questi film:
Hanno cambiato faccia (1971), I ° Premio al Festival Internazionale di Locarno, 1971.
Baba Yaga (1973).

Poi è nata anche la passione per la narrativa e per il giallo.
Così ne parla:
Il soggetto di Un posto al buio è stato all’origine della mia più recente attività di scrittore, poiché è stato il primo dei miei romanzi (pubblicato nel 1994 dalla Biblioteca del Vascello). In seguito ne ho scritti e pubblicati altri quattro: Giallo antico (Fògola Editore, 1999), sulla morte di Emilio Salgari, Storia di sesso e di fumetto (Mare Nero, 2001), dal mio vecchio soggetto, Dissolvenza incrociata (Fògola Editore, 2002) e infine Il calzolaio (Marcovalerio, 2004), una storia “noir” di feticismo.
Il fatto di scrivere romanzi e racconti ha ulteriormente aggravato le mie crisi di identità: oggi per esempio non so più se sono uno scrittore prestato da sempre al cinema o un regista prestato da qualche anno alla letteratura. Propendo comunque per la seconda ipotesi, dal momento che tutte le storie che scrivo nascono in funzione di quel cinema a cui intendo tornare.

I libri successivi a “Il calzolaio”:

Il cielo sopra Torino (Fògola, 2006).
L’invasione degli ultragay (Zero91, 2008).

Del suo ultimo romanzo, “La figlia dell’istante – Un grande feuilleton torinese”, Fògola Editore, 2010 (euro 19,50), ci fa sapere la storia della sua genesi:

Nel remoto 1980 lavoravo per i cosiddetti “servizi speciali” del TG2, e in particolare per “Gulliver”, curato quell’anno da Ettore Masina e da Emilio Ravel. I quali, forse a causa delle mie radici piemontesi, mi chiesero un servizio su Fruttero e Lucentini in occasione dell’uscita di A che punto è la notte, il loro secondo “libro giallo”, nato sull’onda del successo di La donna della domenica.
Andai dunque a Torino e incontrai Carlo Fruttero. L’idea di fare la solita intervista imbalsamata sullo sfondo di uno scaffale di biblioteca (“Come é nato il vostro libro…?”, “Come fate a scrivere a quattro mani…?”, “E’ legittimo definire i vostri libri come “gialli”…?” eccetera eccetera) sembrò sia a lui che a me piuttosto deprimente.

L’alternativa venne fuori a poco a poco, parlando: prima di lasciarci, avevamo già deciso che invece di parlare del loro libro F&L si sarebbero prestati a un esperimento “in vitro”, inventando “in diretta” la trama di un romanzo davanti alle telecamere. Tutto andò nel migliore dei modi: F&L si rivelarono attori consumati, non inferiori a Milva, che interpretò alcuni passaggi del loro libro virtuale. Il servizio fu girato, montato e mandato in onda la sera del 2 giugno 1980 con il titolo Il gioco del giallo. Fine della storia? No. Per quasi trent’anni, ho continuato a pensare che era un peccato che i brandelli narrativi inventati nel 1980 da F&L (ovviamente si trattava di una storia un po’ “gialla” e un po’ “noir”, di morti ammazzati e di assassini misteriosi) fossero rimasti brandelli alla deriva nello spazio e mai diventati un romanzo compiuto. Amichevoli sollecitazioni in questo senso con F e con L sono rimaste lettera morta; poi Franco Lucentini ci ha lasciato, io ho incominciato a scrivere dei romanzi (vedi caso spesso “gialli”, spesso torinesi, spesso “frutterolucentiniani”) e ho proposto a Carlo Fruttero di scrivere con me a quattro mani; cosa che lui purtroppo non ha accettato di fare, limitandosi a darmi un viatico beneaugurale.
Come già altri più noti esponenti della vita italiana, sono stato quindi costretto a scendere in campo in prima persona.
Non è stato semplice: avevo in mano una serie di brandelli slegati fra loro, una galleria di anacoluti narrativi, un coacervo di frammenti di puzzle, un labirinto pieno di false direzioni e di vicoli ciechi, a cominciare dal titolo del romanzo inventato “in diretta”, che era La figlia dell’istante (ovviamente, si trattava di un calembour prettamente frutterolucentiniano: la protagonista era figlia di un tizio che aveva fatto un’istanza in Tribunale e poi era morto, e quindi veniva definita in linguaggio burocratico “la figlia dell’istante”). Che fare di un materiale così frantumato, così allegramente volatile? Erano tutti spunti che in televisione (grazie alla bravura di Milva e a un montaggio un po’ disarticolato) funzionavano a meraviglia, ma organizzarli in un contesto narrativo compiuto e organico era un altro paio di maniche. Italo Calvino ne avrebbe tratto sicuramente un delizioso gioco intellettuale; e in effetti la mia prima mossa fu di rileggermi Se una notte d’inverno un viaggiatore, ma solo per capire che si trattava di un terreno per me troppo impervio. Sicché, col passare dei mesi, scivolai pian piano e quasi senza accorgermene dal cervello allo stomaco, dalle contrade rarefatte dell’Oulipo a quelle sanguigne del feuilleton, da Italo Calvino a Carolina Invernizio. Come successe? La colpa, naturalmente, non è stata mia bensì di F&L. Il “loro” titolo, La figlia dell’istante, era sì un calembour verbale ma allo stesso tempo, a livello semantico, evocava passioni violente ed effimere, con tutti i codici di riferimento e gli apparati narrativi dei romanzi d’appendice di fine Ottocento, pubblicati a puntate sui quotidiani del tempo. Per restare a Torino, e senza scomodare Dumas, Eugène Sue e Ponson du Terrail, questo tipo di narrativa popolare mi portava fatalmente alla Invernizio, ovverossia a colei che i critici dell’epoca definivano “onesta gallina letteraria”: sicché ho cercato di contaminare il suo mondo con quello di F&L, sia dal punto di vista del plot narrativo che da quello dello stile.
Ci sono riuscito, non ci sono riuscito? La parola passa al lettore.

(ATTENZIONE: la frase “è in libreria” va presa con beneficio di inventario. Se vivete a Torino non ci sono problemi, ma se siete cittadini del mondo e non conoscete un libraio volonteroso che veda più in là di Mondadori, l’unico modo per procurarvi La figlia dell’istante è il web, tramite il sito dell’editore Fogola o le librerie on line).


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Bart