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ARTE: I MAESTRI: Cinquant’anni fa il nudo di Marcel Duchamp scendeva le scale15 Aprile 2014
di Vittorio Rubiu E’ da molti anni che Marcel DuÂchamp, glorioso ottantenne dell’arte contemporanea, ha smĂ©sso di fare l’artista. Eppure si continua a parlaÂre di lui, si organizzano mostre, si pubblicano libri, soprattutto si interÂroga l’artista per vedere di sottrarlo al mutismo completo (Pierre Cabanne, Entretiens avec Marcel DuÂchamp, Ă©ditions Pierre Belfond, PaÂris, 1967). E’ vero, Duchamp ha deciso di laÂsciarsi vivere: ma non è colpa sua se la gente continua a ritornare con mostre libri e discorsi sulle « cose » che lui ha fatto oppure semplicemenÂte firmato; ed è altrettanto vero che nel lasciarsi vivere rientra anche il lasciarsi intervistare, dire di sĂ© e deÂgli altri, cosa pensa dell’arte e degli artisti, Apollinaire, Breton, Picasso, ma anche il pop e l’op, ed ancora, se crede in Dio o in De Gaulle, nella priÂma patria francese o nella seconda americana. Ed ecco le boutades di Duchamp. Di se stesso: « J’ai une vie de garçon de cafĂ© ». Del movimento in pittura: « le mouvement c’est l’oeil du spectateur qui l’incorpore au tableau ». Poi il suo disprezzo per i « retinici »: « quand on voit ce qu’on fait les abs- tractionnistes depuis ’40, c’est pire que jamais, ce sont des optiques, ils sont vraiment dans la rètine jusqu’au cou ». Accetta i pop: « je les aime parce qu’ils se sont dĂ©barassĂ© un peu de lidĂ©e rĂ©tinienne dont nous avons parÂie ». Ma gli happening, « les happeÂning ont introduit dans l’art un Ă©lĂ©ment nouveau que personne n’y avait mis: c’est l’ennui ». E in quanto a De Gaulle: « il y a eu des periodes oĂą a Ă©tĂ© un hĂ©ros, mais les hĂ©ros qui vivent trop longtemps sont vouĂ©s Ă la dĂ©gringolade. C’est arrivĂ© Ă PĂ©- tain ». Duchamp, dunque, parla: e però con un tale distacco e « spaesamento » di modi, come se, per sensate e moÂrivate che siano le risposte, non lo fossero mai sino in fondo. Racconta la propria vita, descrive le cose che ha fatto: che sono cose, appunto, e non opere d’arte. E se gli altri ci vedono l’opera d’arÂte. liberissimi, purchĂ© intendano che tutto ciò che ha fatto è riducibile al significato di un comportamento menÂtale, un atteggiamento che coinvolge il destino dell’artista come si presenÂta oggi nel mondo, molto piĂą che una nozione qualsivoglia dell’opera d’arte, e che per il resto, lui, Duchamp, e una specie di Amleto nato per sollevare dubbi, non giĂ per risolverli. E poi, come dimenticare che l’ironia e il caso entrano sempre in maÂniera determinante nella vita e nell’arte di Duchamp? Tutti sanno che ha smesso molto presto, ancora giovane e nel pieno del successo, di faÂre l’artista. Donde la domanda chiave sul come e il perchĂ© di una simile decisione. Duchamp risponde molto alla larga, aprendo larghe parentesi che situano, per così dire, la risposta su piani diversi. E intanto, non è che lui abbia mai « deciso » di abbandonaÂre l’arte. E’ vero, piuttosto, che ci soÂno stati alcuni fatti o incidenti, se vogliamo, intorno ai quali l’artista ha molto riflettuto. A questa riflessioÂne, accompagnata ma non sempre e necessariamente da un’occupazione artistica, si debbono l’ironia e il caso di un Duchamp che, lentamente e quasi inavvertitamente, si è « trovaÂto » a lasciarsi vivere invece che a faÂre l’artista… Formidabile coerenza di una vita che si presta a venire interÂpretata come un objet-trouvĂ©, il seÂgno stesso dell’arte di Duchamp. Ma veniamo all’incidente che prima ha fatto tourner les sangs e poi riÂflettere Duchamp. Il fatto si svolge in due tempi. Nel 1912 Duchamp inÂvia al Salon des IndĂ©pendants di PaÂrigi il Nudo che discende le scale, un quadro che sviluppa in modi un po’ astratti e meccanici, e comunque cubisti, l’idea futurista di un corpo in movimento. C’è una giuria di accettazione di cui fa parte Albert Gleizes, pittore giĂ abbastanza noto e teoÂrico del cubismo. Il quadro di DuÂchamp viene respinto. Ironia del caÂso: lo stesso quadro, esposto l’anno dopo all’Armory Show di New York, diventa il centro di attrazione della mostra, conquista l’America alla cauÂsa dell’arte moderna. A questo punto a Duchamp non restava altro che dipingere quadri che ricordassero agli americani il quadro esposto all’Armory Show; perÂchĂ© gli americani sono capaci di tutto meno che di rinunciare allo sfruttaÂmento del successo, e il successo delÂl’arte moderna per loro si chiamava il Nudo che discende le scale. Ma cuÂbismo e futurismo, l’idea abbastanza ingenua, in fondo, di un corpo in moÂvimento reso con i mezzi tradizioÂnali di cui poteva disporre il pittore, tela- pennello colori, tutto ciò a DuÂchamp era giĂ passato di mente. D’altra parte il successo newyorkeÂse del Nudo doveva apparirgli altretÂtanto immotivato dell’insuccesso pariÂgino, poichĂ© sia l’uno che l’altro diÂpendevano in ultima analisi dal funÂzionamento e diciamo pure dal comÂmercio sociale di un giudizio che in quanto tale sfuggiva al controllo delÂl’artista. E ancora, se un quadro o una scultura, per essere riconosciuti coÂme opere d’arte, hanno bisogno di un locale di esposizione, tanto vale creaÂre una contraddizione insanabile tra il funzionamento sociale dell’opera d’arte e il suo funzionamento simboÂlico, ed affermare che per il fatto stesÂso di venire esposto in una galleria d’arte, qualsiasi oggetto è un’opera d’arte. La logica di Duchamp è altrettanto esigente dell’ironia a cui sottosta. Nascono così i ready-mades, « oggetÂti manufatti promossi alla dignitĂ di oggetti d’arte dalla scelta dell’artista», come ebbe a definirli AndrĂ© Breton. Sembravano, questi ready-mades, uno dei tanti paradossi destinati ad aliÂmentare la polemica dadaista e surÂrealista. Ma è giusto che oggi si ricoÂnosca, molto al di lĂ del suo potere polemico, il sottinteso positivo delÂl’ironia di Duchamp. Che se anche, in un primo momento, e sul piano autobiografico, doveva fatalmente apÂprodare nel nulla dell’artista che, soÂpraffatto dal suo stesso gesto, si riduÂce al mutismo completo, dovè poi riÂvelarsi un atteggiamento straordinaÂriamente carico di nuovi sviluppi e proprio perchĂ© scaturito da una riflesÂsione, la piĂą pura e disinteressata, sul destino attuale dell’opera d’arte. Una riflessione alla quale hanno attinto non soltanto i dadaisti e i surÂrealisti della prima avanguardia storica, ma quegli artisti che intorno agli anni 60 hanno ripreso i contatti con la realtĂ oggettiva: non giĂ deforÂmandola alla maniera degli espresÂsionisti, o rovesciandola nell’assunto come i surrealisti, ma sentendosene sino in fondo, e sia pure rabbiosaÂmente e ironicamente, partecipi, e dunque partendosi dall’oggetto « tale e quale» profetizzato da Duchamp. E allora, concludendo. Nessun dubbio che Picasso per quasi mezzo secolo sia stato il genio, l’Einstein di cui il pubblico sentiva il bisogno. Ma per tutto ciò che riguarda una preÂvisione fondata sull’arte che, come s’è cominciato a fare oggi, così si contiÂnuerĂ domani, è Duchamp che vinÂce alla distanza. Letto 3327 volte.

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