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ARTE: I MAESTRI: Giacomo ManzĂą. Ha battuto Picasso29 Marzo 2014
di Vittorio Rubio Rotterdam, dicembre
Una chiesa che giĂ era un monuÂmento di scarso interesse, di un gotico ritardato, quando era in piedi, poi quaÂsi completamente distrutta durante la guerra, e ora ricostruita come era, doÂve era, la chiesa di San Lorenzo a RotÂterdam. Dunque una specie nostalgica di falso, nel cuore di una cittĂ tutta nuova, la piĂą nuova d’Europa. E chi l’avrebbe guardata, l’intrusa, tra le file di negozi che allineano, nel modo piĂą pedestre, chilometri di scarpe e di elettrodomestici? Ebbene ora, forse piĂą del monumenÂto di Gabo, piĂą di quello gesticolante dell’ultimo Zandkine, costituirĂ il punÂto di approdo, oltre il porto così folto — il piĂą grande del mondo — per chi arÂriva a Rotterdam. Certo che l’impresa di realizzare una porta che si ponesse come il simbolo di un tragico passato e di un fastoso presente — la porta si chiude ma anche si apre — era di quelle da paralizzare e da fare scivolaÂre nella retorica anche un artista coÂme ManzĂą. Dopo il cammino tormentato della porta della morte di San Pietro, attraÂverso i dubbi e i ripensamenti, le svolÂte decisive che l’artista sofferse per dieci anni, ci fu come una felice deÂcompressione, e dalla morte emersero impetuosi i gruppi degli Amanti, l’alÂtissimo Strip-tease, la Carrozza reale una ripresa di contatto quasi violento con la vita d’ogni giorno, con l’amore, l’infanzia, la feconditĂ . Tutto questo non sembrava certo avere predisposto ManzĂą a riprendere i temi piĂą vasti di un impegno pubblico e solenne. Invece l’impegno c’è stato e tale da oltrepassare persino l’esperienza che poteva apparire vincolante della porta di San Pietro. Rispetto alla quale, la porta di Rotterdam, con lo scioglimenÂto della ripartizione a riquadri in due ampie composizioni, la « Guerra e la Pace », la prima nella parte inferiore compresa fra i due battenti, la seconÂda nella parte superiore a forma di lunettone, appare senz’altro piĂą nuova e libera e persuasiva, con un attaccaÂmento al vero e una facoltĂ di trasfiÂgurarlo, una naturalezza ed insieme un’efficacia nel fare appello alle proÂprie risorse ideali, che davvero non teÂmono confronti, in una scena così larÂgamente sviluppata. La « Guerra e la Pace ». Picasso ne aveva fatto un’opera di grande oratoÂria, ricalcata per eccesso, oserei dire, sull’esempio di Guernica. Ma lo stesso tema in ManzĂą è piĂą finemente sentiÂto. Ciò che vi si dice, lo si vede altretÂtanto bene da vicino che da lontano, alternando episodi di vivace esterioÂritĂ ad altri di ardente intimismo, il sentimento sdegnoso e amaro della guerra all’ingenuitĂ profonda, la trepiÂda dolcezza della pace. Nella rappresentazione della « PaÂce » la sensazione è rapida, l’immagine acciuffata a volo, e quale sfuggente eleganza nel giovinetto nudo, quasi un’impronta lasciata nell’aria, che solÂleva il drappo, come se si tirasse dieÂtro un aquilone. L’immagine della donna con il bimbo è una persona viÂva, e anche un simbolo: e così i simboli si integrano naturalmente l’uno con l’altro, senza sforzi allegorici. Non c’è posa alcuna, c’è un’immagine tratta dalla vita, con l’essenziale perchĂ© resti vita, senza il superfluo che la faccia diventare neo-realista. E poi la « Guerra », la vita che sproÂfonda nel dolore e poi nel nulla. La figura riversa, con quella testa attaccaÂta al resto del corpo come la corda sul collo dell’impiccato, quella natura fatÂta di contrasti, quel modo di tenere avvinghiati i corpi per le gambe, dove ritorna il Caino e Abele della porta di San Pietro, dove l’artista sembra quaÂsi sfidare la difficoltĂ di ritrarre l’imÂpossibile. E che sicurezza, che mestieÂre, anche, nel rispondere alla propria ispirazione. L’insistenza, ed insieme quasi la noncuranza con cui le caratteÂristiche accidentali diventano gli eloÂquenti primari della composizione. Lo straordinario rilievo dei grandi panneggi in primo piano, le pieghe che avvolgendo la figura della madre la modellano dall’esterno, la luce che si aggiunge alla luce. « In realtà » ha scritto Brandi « la forza travolgente di tutta la posta sta in questa plastica pura dei panneggi, ed è rappresentata e simboleggiata insieme da quello che, al mezzo, costituisce il trapasso dalla guerra alla pace, quasi il sudario di Cristo, come si vede raffigurato nell’iÂconografia bizantina… Se si vuole un riscontro antico, di genere diverso siÂcuramente, ma che può aiutare a capiÂre la sorpresa che questo partito plaÂstico produce, si pensi ai raggi di luce materializzati del Bernini, come daghe che escono dalle nuvole, una luce dunÂque che è fatta della stessa materia delle carni e delle pietre ». Ma, per concludere, non vorrei taceÂre un altro incontestabile pregio della porta di Rotterdam. In un’epoca in cui le opere d’arte si sorreggono sulle fitte trame e qualche volta gli intrighi del mercato, la porta di ManzĂą fa rivivere l’immagine del committente, il sentiÂmento di un’opera d’arte che proviene dalla volontĂ concorde di una cittadiÂnanza, e ad essa si ricollega. Siamogli grati anche di questo. Letto 3061 volte.

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