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ARTE: I MAESTRI: I marmi dell’Impero7 Maggio 2015
di Franco Russoli Roma non nasce sul colle Palatino, come ci hanno insegnato a scuola, ma nel luogo dove era possibile attraversare il Tevere, cioè dov’è oggi l’isola Tiberina. Così, con un tono piano e cordiale, e con una decisa affermazione, subito appoggiata da ferratissime documentazioni e considerazioni tanto acute quanto limpide, comincia il volume di Ranuccio Bianchi- Bandinelli, Roma – L’arte romana nel centro del potere dalle origini alla fine del II secolo d.C. (Feltrinelli 1969, pagg. 437, tavv. 451 in nero e a colori, comprese piante e carte geografiche. L. 16.000). Il titolo specialistico e il poderoso apparato scientifico non spaventino i lettori non addetti ai lavori: affrontino il libro, e godranno di una delle più affascinanti letture che in questi tempi ci siano offerte, e non soltanto nel campo della saggistica. Perché Bianchi-Bandinelli non è soltanto quel maestro dell’archeologia e della storia dell’arte antica che tutto il mondo c’invidia, ma è anche uno scrittore —- come sanno i lettori del suo Diario di un borghese — di sciolta nitidezza, di civilissimo garbo, di ironia bonaria ma dal tiro aggiustato e folgorante. Rende trasparenti i più spessi blocchi di sapere, ci offre, senza alterigia, i bàndoli delle più intricate matasse ideologiche e critiche. E’ degno erede di quella cultura classica e umanistica di cui si è nutrito, e che fa rivivere in ogni atto della sua vita di studioso, di docente, di uomo politico. Continua verifica Niente è più lontano da lui del concetto miope e settoriale del sapere nozionistico, della ricerca archeologica e documentaria fine a se stessa. Ma non crede nemmeno alla storia condizionata da tendenze pregiudiziali e dogmatiche, e tanto meno alle abborracciature di una sociologia approssimativa. Indaga i documenti del linguaggio artistico ponendoli in continuo rapporto con ogni altro dato della conoscenza storica, senza determinismi, ma in una lettura stilistica che nella struttura delle forme espressive “rivela e distingue gli apporti di una situazione ambientale (economica, politica, sociale) e i caratteri innovatori, poetici cioè creativi, dell’artista che quegli apporti subisce e trasforma. Con questo procedimento cauto, disponibile alla continua verifica dei principi e delle ipotesi nella realtà dei fatti — e che esige un enorme lavoro di indagine e sperimentazione, come una rara qualità di intuizione e sensibilità e profondità razionale —, Bianchi-Bandinelli esercita il lavoro di storico e di critico in una prospettiva morale, di lezione attuale. Quante cose, allora, che ci sono state insegnate a scuola, rivelano a questa luce di essere discutibili, se non addirittura false. In questo volume Bianchi-Bandinelli tende a dimostrare essenzialmente la base equivoca e l’inconsistenza storica di due « formule» opposte di interpretazlonè dell’arte romana, quando siano fatte oggetto di un esame obbiettivo, serrato e basato sulla concreta analisi dei fatti accertati, delle opere poste nel loro contesto ambientale e cronologico, caso per caso. Da questa attenta e particolareggiata « rilettura » di ogni dato nella complessa e dialettica trama delle opere e i giorni della città di Roma (un itinerario ricco, di scoperte, di curiosità, di indicazioni inattese e illuminanti, che rendono il libro eccitante) la formula dell’arte romana come « arte greca sotto il dominio romano » e quella che ne fa « un prodotto diretto del genio o addirittura della razza romana » di autoctona e ancestrale cultura, escono pienamente dissolte nella loro semplicistica presunzione. Né l’autore vuol contrapporre a esse una terza formula: ma indicare invece quanto più complessa e problematica sia la vicenda della formazione di un linguaggio artistico che possa dirsi romano, se esaminato in stretto rapporto con il sorgere e lo svilupparsi della città, e con le caratteristiche diverse che nel corso dei tempi e lungo il consolidarsi del suo potere in varie strutture civili ed economiche, assume la sua cultura. Si vedrà allora che una cosa è « l’arte a Roma » (i prodotti decorativi e utilitari di un artigianato che riproduce modelli stranieri, le importazioni di opere d’arte greca e orientale, o etrusca e italica, l’attività in Roma di artisti stranieri che operano secondo lo stile della loro cultura d’origine, le interpretazioni manieristiche o eclettiche di linguaggi e lavori creati in altre civiltà) e altra cosa è la vera e propria « arte romana ». Linguaggio potente Questa si affermerà con caratteri autonomi molto tardi, quando le due tendenze, caratterizzanti la cultura e la « natura » di diversi strati sociali (il raffinato eclettismo e formalismo di base ellenistica, e il ruvido realismo e simbolismo desunto dalla tradizione medio-italica) si fonderanno, trasformate, in un linguaggio naturalistico e potente, immediato e ben articolato, in nuove strutture compositive, coerente alla fisionomia dell’ormai affermato mondo della società romana. Il « Maestro delle imprese di Traiano » è appunto il massimo rappresentante, nei rilievi della famosa Colonna, di quest’arte « interamente romana ». Non è possibile qua neppure ricordare tutte le rivelazioni e le proposte di nuova lettura dei fatti artistici romani che questo libro inesauribilmente ci offre, dalla definizione dell’arte plebea, alla storia del ritratto e alle sue origini nella ideologia e nel culto propri all’ambiente patrizio. Né abbiamo voluto (e, volendolo, non avremmo saputo farlo per manifesta incompetenza specifica) dare un rendiconto scientifico di un’opera tanto densa di sapere specialistico. Vogliamo soltanto testimoniare, da lettori comuni, che questo libro porta un contributo eccezionale alla comprensione storica, cioè alla coscienza di sé nel proprio tempo. Letto 1938 volte.
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