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ARTE: I MAESTRI: Ludivig Mies van der Rohe, un poeta dell’architettura7 Gennaio 2012
di Giuseppe Caronia Un mese fa, appena poche settimane dopo la morte di Walter Gropius, è scomparso, ottantatreenne, Ludivig Mies van der Rohe, il terzo grande dell’architettura razionalista. Gli architetti militanti amaÂno riconoscersi secondo la magÂgior influenza ricevuta dall’uno o dall’altro dei tre grandi MaeÂstri: è certo che se Le CorbuÂsier rappresentò piĂą spiccata- mente le istanze funzionali e la matrice figurativa cubista, e se Gropius diede espressione ai nuovi contenuti sociali e tecÂnologici e impostò nuovi meÂtodi nella progettazione, Mies van der Rohe fu il poeta delle strutture e dei nuovi materiali, l’appassionato ricercatore della purezza e dell’essenzialitĂ delle forme architettoniche. A venti anni Mies, lasciata la bottega di scalpellino del paÂdre, si era trovato con gli altri due futuri capiscuola a fare pratica nello studio di Behrens, il piĂą grande architetto delÂl’epoca e il piĂą qualificato rapÂpresentante del movimento del Deutscher Werkbund. La lezione di Behrens è stata spesso ricordata da Le CorbuÂsier e da Gropius; ma fu Mies che ne trasse il segreto della «purificazione » dell’architettuÂra, una purificazione che non era soltanto il rifiuto puritaÂno di ogni decorazione superÂflua (quale era stato proclaÂmato da Adolph Loos, l’acerriÂmo nemico della « Secessione ») ma era soprattutto la via per quella chiarezza e quella logiÂca con le quali l’architettura classica aveva dato una rispoÂsta « universale » ai suoi proÂblemi; e occorre ricordare che accanto all’influenza di BehÂrens, Mies subì quella dell’olanÂdese Berlage e dell’americano P. L. Wright. (« Se non fosse stato per me — ebbe a dire un giorno Wright — non vi sarebbe stato alcun Mies ». Ma è noto che Wright non brillò mai per la modestia). Nei tempestosi anni del doÂpoguerra tedesco, ricchi di ferÂmenti culturali e di manifesti rivoluzionari, Mies rivela il suo genio. Sono del 1919 i suoi straordinari schizzi per un gratÂtacielo in ferro e vetro che creano un modello per i piĂą audaci grattacieli di trent’an- ni dopo; l’evidenziazione delle strutture, la sciolta articolazioÂne degli spazi, la ricerca di una leggerezza e di una trasparenÂza che sovvertono secolari conÂcezioni dell’architettura, costiÂtuiscono giĂ i caratteri preciÂpui della sua poetica e, mentre arricchiscono il dizionario fiÂgurativo dell’architettura moÂderna, anticipano nuovi modi di vita per una societĂ piĂą evoÂluta. La carica « rivoluzionaria » dell’architettura di Mies si maÂnifesta nei piano generale del nuovo grande quartiere del Weissenhof a Stoccarda, per il quale Mies aveva chiamato a collaborare i piĂą vivaci archiÂtetti moderni, da Le Corbusier a Gropius, da Oud a Taut, dal vecchio Behrens al giovanissiÂmo Sharoun. L’enorme successo del WeisÂsenhof venne inconsapevolmenÂte sancito dai nazisti che, apÂpena saliti al potere, denunÂciarono il quartiere come esempio di « arte degenerata » e lo qualificarono contemporaneamente arabo, ebraico, bolsceviÂco, rinnegatore dei valori « delÂla patria e della tradizione » (valori che, col ben noto sotÂtile senso critico delle dittatuÂre, venivano allora riconosciuti ai « tetti inclinati » e negati alÂle « coperture a terrazza »). L’avvento del nazismo provoÂca ben presto la chiusura della Bauhaus, alla cui direzione Mies era succeduto a Gropius, e, pochi anni dopo, il trasfeÂrimento di Mies negli Stati Uniti. Al maestro vengono ofÂferti la direzione dell’Armour Institute Chicago e l’incarico di progettare i principali ediÂfici dell’istituto. Mies realizza così delle splendide opere in vetro e metallo, che con la loro estrema flessibilitĂ funzioÂnale ripropongono, in linguagÂgio assolutamente moderno, il « classico » concetto architettoÂnico di universalitĂ . Questo concetto, che oggi vieÂne confuso con quello di « inÂdifferenza » al contenuto, per Mies significò solo chiarezza razionale e ordine intellettuale, così come la sua ricerca della praticitĂ fu sempre connessa ad una perenne tensione verso la bellezza, la ricerca delle miÂgliori proporzioni e la cura piĂą raffinata del dettaglio. Mies è rimasto fedele alla prima. Ci sia consentito diÂchiarare che per questo ne acÂcettiamo piĂą volentieri la leÂzione; ma non solo per queÂsto: l’antico apprendista scalÂpellino di Aquisgrana ha riceÂvuto tutte le piĂą alte onorifiÂcenze internazionali e i piĂą amÂbiti riconoscimenti cui possa aspirare un artista; ma se gli onori, la fama e la gloria fanÂno spesso dimenticare agli arÂtisti la vocazione originaria e, specialmente negli architetti, suscitano uzzoli profetici e velÂleitĂ filosofiche (ne fu forse immune Gropius, ma non certo Le Corbusier o Wright) nel caso di Mies ci troviamo di fronte ad una singolare ecceÂzione: Mies non pretese mai di essere altro che un architetto del suo tempo. Letto 8460 volte.

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