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ARTE: I MAESTRI: Rodin cedette alla sirena del simbolismo24 Ottobre 2013
di Vittorio del Gaizo Rodin e Degas muoiono nello stesso anno, che è il 1917 e, sebbene molÂta acqua sia passata anche sotÂto i ponti dell’impressionismo, non c’è dubbio che tra i due artisti il secondo sia invecchiaÂto molto meno del primo: diÂrei, anzi, che il secondo non è invecchiato affatto, mentre il primo sopravvive grazie a delle considerazioni piĂą marÂginali che essenziali, piĂą estrinseche che intrinseche. La cosa del resto è talmente scontata che neanche mi saÂrebbe venuto in mente di parÂlarne senza il pretesto della grande mostra rodiniana orgaÂnizzata dall’Accademia di FranÂcia (Villa Medici), in cui sculÂture, bozzetti, acquerelli, diseÂgni e incisioni restituiscono dell’artista un’immagine esauÂrientissima: e non importa enÂtrare in merito alla faccenda delle fusioni, quindi se debboÂno considerarsi originali o coÂpie alcuni dei pezzi esposti. Il piĂą moderno degli antichi Scrive la Bucarelli che RoÂdin è il piĂą moderno degli anÂtichi. Non mi sembra esatto, a meno che la frase non abbia un significato puramente croÂnologico e non voglia dire che Rodin è l’ultimo degli antichi, piuttosto che il primo dei moÂderni; altrimenti troppo antiÂchi sarebbero infinitamente piĂą moderni di lui. In effetti la Bucarelli intende qualcosa di diverso e vale la pena di riferire testualmente certe sue parole: Rodin « non ricusa di esprimere in termini moderni sentimenti antichi: ricusa di ammettere che i sentimenti antichi non siano moderni. Sul terreno delle novitĂ formali è capace degli atti piĂą audaci: un’analisi attenta della sua opera potrebbe forse condurre alla scoperta di soluzioni piĂą arrischiate di quelle di Daumier, di Degas, di Renoir; ma sono concessioni fatte con la riserva mentale dei valori esÂsenziali da salvare a ogni coÂsto. Aveva ragione Rilke, quanÂdo parlava della solitudine di Rodin: era la solitudine subliÂme e inaccessibile del genio, d’accordo, ma era soprattutto la solitudine di un artista che, per difendere la sovranitĂ della storia, si metteva fuori della storia ». Qui c’è un equivoco di fonÂdo. Rodin, a mio avviso, non era affatto fuori della storia; ci stava dentro fino ai capelli. Quella che la Bucarelli chiama riserva mentale dei valori esÂsenziali, si manifestava allora nella forma specifica del simÂbolismo e nell’atteggiamento dell’Art nouveau, non meno attuali dell’impressionismo, che Rodin condivideva e che contribuì a determinare. In tal senso non era un isolato: i suoi debiti e i suoi crediti verso la situazione artistica dell’epoca sono evidenti. AnÂch’egli si vide incompreso ed escluso, non diversamente da quanti si ribellavano ai canoni dell’arte ufficiale; ma ben preÂsto ebbe un riconoscimento da costituire di per se stesso una nuova ufficialitĂ . Non credo che vi siano senÂtimenti definibili antichi o moÂderni altro che per la forma in cui si storicizzano o vengoÂno ristoricizzati. Se non vi fosÂsero dei sentimenti eterni o, piĂą semplicemente, insiti nella natura umana, quindi correnti e ricorrenti, non vi sarebbe per un’opera d’arte alcuna posÂsibilitĂ di attraversare i secoli e di continuare a essere conÂtemporanea. Il torto di Rodin non è di aver creduto all’eterÂnitĂ di taluni sentimenti, ma di averla vista, questa eterniÂtĂ , a quel modo e con quei siÂgnificati retorici che le confeÂrivano le idee del suo tempo: che è appunto un modo di staÂre dentro la storia, non fuori, ma da cronista, per così dire, cioè, in termini piĂą precisi, soltanto sulla falsa riga del guÂsto. Il suo torto, insomma, è di aver ceduto alle lusinghe del simbolismo. Se un artista raffigura due amanti, può darsi che raffiguri l’Amore; e, se raffigura una madre con il figlio (la Vergine con il Bambino, supponiamo), può darsi che raffiguri la MaÂternitĂ . In fondo, è il caso di tutti i grandi artisti, nei loro risultati supremi: questa sorÂta di dilatazione intuitiva del « soggetto », che attinge l’assoÂluto per via di allusioni seÂgrete, di stratificazioni sotterÂranee. Al contrario, se ci si serÂve di due amanti per rappreÂsentare l’amore in astratto o una madre con il figlio, per rappresentare ancora in astratÂto la maternitĂ , allora è ben difficile raffigurare qualcosa, la rappresentazione confina con la generalizzazione, nĂ© resta di solito che un’idea vuota, perÂchĂ© senza tempo e senza stoÂria. E non si confonda il « simÂbolico » con il « tipico », che è tutt’altra cosa. E. Jones, coÂme ci ricorda il Gombrich in un saggio del ’63, sapeva perÂfettamente che il simbolo, nelÂle etĂ primitive, non era senÂtito come simbolo. Non posso avventurarmi in un discorso del genere, troppo ricco di sviÂluppi e di implicazioni; ma posso ripetere un mio modesto parere, cioè che l’arte, proprio perchĂ© è sempre simbolica, non può essere mai simbolistica. Rodin, almeno nelle opere piĂą impegnative, si rivela simÂbolista per vocazione. Fin da L’etĂ del bronzo (1876-77), che resta una delle sue sculture piĂą convincenti, quasi vergine, plasticamente equilibrata, la fiÂgura è assunta in funzione di un’idea che la sorpassa e ne mortifica la forma, perchĂ© non ci sta dentro, quindi non può sprigionarsene spontaneamenÂte, tanto è giĂ dichiarata e tale da premerle intorno come un macigno. Lo stesso criterio, in tono piĂą esasperato, presiede alla realizzazione de I borgheÂsi di Calais, de Il bacio, de la Cariatide con pietra (stuccheÂvolmente floreale nella sua serpentinata pateticitĂ ); e in numerose altre opere. Accomunava Dante e Baudelaire Quando DĂĽrer ci mostra San Gerolamo nello studio, c’inviÂta alla meditazione, o ce ne propone l’immagine, senza farÂlo esplicitamente, vale a dire senza aver voluto rappresenÂtare simbolicamente la mediÂtazione attraverso il soggetto prescelto. Rodin, al contrario, non vuole rappresentare un nudo, ma la meditazione come tale, contorcendo e modellanÂdo il suo nudo in modo da coÂstringerlo a esprimere un parÂticolare concetto della meditaÂzione: in realtĂ , egli lo altera al punto (lo spersonalizza, staÂvo per dire) che, senza l’ausiÂlio del titolo, neanche ci acÂcorgeremmo che si tratta de La meditazione (1885); e il riÂsultato è presso a poco analoÂgo a quello della cosiddetta « Meditation » del ThaĂŻa di Mas- senet, adattissima, a quanto pare, per cerimonie nuziali, ma ben lontana dall’esprimere quel raccoglimento profondo che esprimono ad esempio cerÂte composizioni non intenzioÂnali di Bach. Analogamente, il Ghiberti non pensava al paraÂdiso, quando eseguiva la porta del Battistero, che poi doveva essere definita « del Paradiso ». Rodin invece pensava proprio all’inferno per la sua Porta dell’inferno (1880-1917): e fin qui, niente da eccepire. Il guaio è che ci pensava accoÂmunando Dante e Baudelaire, la Commedia e I fiori del male, Rubens e Signorelli, Blake, i Preraffaelliti e magari W. MorÂris, lasciando il compito di amalgamare tante e così svaÂriate incidenze al MichelangeÂlo dei Prigioni e delle Tombe medicee, presente dappertutto, ma soprattutto nell’Adamo e ne Il pensatore (1880): una staÂtua che a vent’anni mi manÂdava in visibilio e oggi mi fa quasi sorridere, poichĂ© sembra eseguita per verificare il moniÂto vasariano circa i pericoli a cui andavano incontro gli imiÂtatori di Michelangelo. Una lezione alla rovescia Qualcuno dirĂ che avevo piĂą giudizio a vent’anni: può darsi. Qualche altro dirĂ che sono troppo severo nei confronti di Rodin: ingiusto e parziale. Allora dirò che ne valeva la peÂna, nel senso ch’era piĂą utile mettere l’accento sugli aspetti negativi che non su quelli poÂsitivi della sua opera: sta lì a elogiarne il senso plastico, l’abilitĂ tecnica, le innovazioÂni stilistiche e quella captanÂte melodiositĂ della linea, che articola i bozzetti e gli acqueÂrelli. O ch’egli potesse fare coÂse grandi, come l’orrendo-stupendo Balzac, anch’esso un tantino retorico, a pensarci, ma sinteticamente espressioniÂstico. A che scopo imperversare contro certi artisti che ci camÂminano a fianco, di cui è facilÂmente prevedibile che basterĂ una mezza generazione per far ritornare nel nulla? ParlarÂne bene (senza esagerare) equivale a un atto di doveroso riguardo verso la loro onestĂ . Rodin è di un’altra dimensioÂne. Si può giudicare severaÂmente, perchĂ© se ne presuppoÂne la grandezza, anche se liÂmitata e ancorata da mille reÂmore. Anzi, la sua attualità è legata proprio alla negativitĂ della sua lezione: se essa si prende alla rovescia, diventa un monito contro i pericoli sempre riaffioranti del simboÂlismo, conti’o l’invadènza odierÂna del Liberty, contro le insiÂdie del gusto e della moda, che concorrono indispensabilmenÂte a determinare l’opera d’arte, ma non solo l’arte. Chi meglio dì Rodin può insegnare queÂste cose a chi ha occhi per veÂdere e orecchi per intendere? Letto 5565 volte.

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