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ARTE: Il Surrealismo: I MAESTRI: Au delà de la Peinture di Max Ernst #5/7
3 Novembre 2008
[da:Â Patrick Waldberg: “Surrealismo”, Mazzotta, 1967]
Il 10 agosto 1925
Botticelli non amava il paesaggio e lo considerava « cosa di breve e semplice investigazione ». Egli afferma anche con disprezzo che: « col solo gettare di una spugna piena di diversi colori in un muro, essa lascia in esso muro una macchia dove si vede un bel paese ». Il che gli è valso un severo ammonimento dal suo collega Leonardo da Vinci: « Egli è ben vero che in tale macchia si vedono varie invenzioni di ciò che l’uomo vuole cercare in quella, cioè teste d’uomini, diversi animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli e boschi ed altre simili cose: e fa come il suono delle campane, nelle quali si può intendere quelle dire quel che a te pare. Ma ancora ch’esse macchie ti dieno invenzione, esse non t’insegnano finire nessun particolare. E questo tal pittore fece tristissimi paesi. Tu, PittoÂre, per essere universale e piacere a diversi giudizi, farai in un medesimo componimento che vi sieno cose di grande oscurità e di gran dolcezza di ombre, facendo però note le cause di tali ombre e dolcezze… Non isprezzare questo mio parere nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il ferÂmarti alcuna volta a vedere nelle macchie dei muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli, o fanghi, od altri simili luoghi, nei quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che destano l’ingeÂgno del pittore a nuove invenzioni, sì di componimenti di battaglie, d’aniÂmali e d’uomini, come di vari componimenti di paesi e di case mostruose, come di diavoli e simili cose; perché nelle cose confuse l’ingegno si deÂsta a nuove invenzioni. Ma fa prima di sapere ben fare tutte le membra di quelle cose che vuoi figurare, così le membra degli animali come le membra dei paesi, cioè sassi, piante, e simili » (Trattato della Pittura). Il 10 agosto 1925, un’insopportabile ossessione visiva mi fece scoprire i mezzi tecnici che mi hanno permesso una vastissima applicazione praÂtica di questa lezione di Leonardo. Partendo da un ricordo d’infanzia (menzionato qui sopra), nel corso del quale un pannello di finto mogano, posto di fronte al mio letto, aveva avuto la funzione di provocatore ottico di una visione di dormi-veglia, e trovandomi, durante una giornata di pioggia, in un albergo in riva al mare, fui colpito dall’ossessione che esercitava sul mio sguardo irritato il pavimento di legno solcato da striature che i mille lavaggi avevano accentuato. Mi decisi allora ad interroÂgare la simbologia di quell’ossessione, e per dare un ausilio alle mie faÂcoltà meditative ed allucinatone, trassi dalle assi una serie di disegni, posando su di esse, a caso, dei fogli di carta che strofinavo con una mina. Osservando attentamente i disegni così ottenuti, le parti scure e quelle di dolce penombra, fui sorpreso dalla subitanea intensificazione delle mie facoltà visionarie e dall’allucinante successione di immagini contraddittorie, che si sovrapponevano le une alle altre con l’insistenza e la rapidità che sono i caratteri distintivi dei ricordi d’amore. Una volta destata e stupita la mia curiosità , giunsi ad interrogare indiffeÂrentemente, utilizzando a tale scopo lo stesso mezzo, tutte le specie posÂsibili di materiali che venissero a trovarsi nel mio campo visivo: le foglie e le loro nervature, i bordi sfilacciati di una tela di sacco, le pennellate di una pittura « moderna », un rocchetto di filo srotolato, ecc., ecc. I miei occhi hanno scorto allora teste umane, animali diversi, una lotta che finiva in un bacio (la fidanzata del vento), rocce, Il mare e la pioggia, terÂremoti, !a sfinge nella sua scuderia, tavolini intorno alla terra, la tavolozÂza di Cesare, le posizioni false; uno scialle a fiori di brina, le pampas. Frustate e fili di lava, campi dell’onore, inondazioni e piante sismiche, spaventapasseri, lo start del castagno. Lampi al di sotto dei quattordici anni, il pane vaccinato, i diamanti coniugali, il cucù origine del penÂdolo, il pasto del morto, la ruota della luce. Un sistema monetario solare. I costumi delle foglie, l’affascinante cipresso. Eva, la sola che ci resti.
Ho riunito sotto il titolo di Storia naturale i primi risultati ottenuti col procedimento del frottage con grafite, da Il Mare e la Pioggia fino a Eva, la sola che ci resti (edito nel 1926 da Jeanne Bucher). Insisto sul fatto che i disegni ottenuti perdono sempre più, attraverso una serie di suggestioni e di trasmutazioni che si presentano spontaneaÂmente – allo stesso modo delle visioni ipnagogiche – il carattere della materia interrogata (il legno per esempio) per prendere l’aspetto di immagini di una precisione insperata, tali da svelare, penso, la causa priÂma dell’ossessione o da apportare almeno un simulacro di questa causa. Il procedimento del frottage, basandosi unicamente sull’intensificazione dell’irritazione delle facoltà spirituali con mezzi tecnici appropriati, escludendo qualsiasi conduzione mentale cosciente (di ragione, di guÂsto, di morale), riducendo al limite estremo la parte attiva di chi era chiamato fino allora « l’autore » dell’opera, questo procedimento dunÂque si è rivelato il vero equivalente di ciò che era già noto sotto il nome di scrittura automatica. E’ da spettatore che l’autore assiste, con indiffeÂrenza o con passione, alla nascita della sua opera e ne osserva le fasi di sviluppo. Allo stesso modo che la funzione del poeta, come si legge nella celebre lettera del veggente, consiste nello scrivere sotto il detÂtame di ciò che viene pensato (articolato) in lui, la funzione del pittore è di delimitare e di proiettare ciò che si vede in lui (1). Votandomi sempre più a questa attività (passività ), che più tardi è stata chiamata « paraÂnoico-critica » (2), adattando ai mezzi tecnici della pittura (per esempio, raschiamento di colori su una base preparata con colori e deposta su di una superficie ineguale) il procedimento del frottage che sembrava all’inizio applicabile soltanto al disegno, e cercando di ridurre sempre più la mia stessa partecipazione attiva al divenire del quadro al fine di ampliare così la parte attiva delle facoltà allucinatone dello spirito, giunÂsi ad assistere, in veste di spettatore, alla nascita di tutte le mie opere, a partire dal 10 agosto 1925 (3), giorno memorabile della scoperta del frottage. Uomo di « ordinaria costituzione » (adopero i termini di Rimbaud), ho fatto tutto per rendere la mia anima mostruosa. Nuotatore cieco mi sono fatto veggente. Ho visto. E mi sono sorpreso innamorato di ciò che vedevo, desideroso di identificarmi con esso. In un paese color petto di piccione, ho acclamato il volo di 100.000 coÂlombe. Le ho viste invadere foreste nereggianti di desideri, mari e mari senza fine.
Ho visto una foglia d’edera fluttuare sull’oceano e ho sentito un dolcisÂsimo terremoto. Una colomba bianca e pallida, fiore del deserto. Ella si rifiutò di capire. Lungo una nuvola, un uomo e una donna stupendi danÂzavano la Carmagnola dell’amore.
La colomba si rinchiuse nelle sue ali ed inghiottì la chiave per sempre. Uno spago trovato sul mio tavolo mi fece vedere numerosi giovani calÂpestare le loro madri, parecchie fanciulle compiacersi in belle pose. Donne bellissime attraversarono un fiume gridando. Un uomo, avanzanÂdo sull’acqua, prese per mano una fanciulla e ne urtò un’altra. Persone dall’aspetto piuttosto rassicurante – infatti avevano troppo a lungo dorÂmito nella foresta – ripetevano i loro gesti selvaggi soltanto per affaÂscinarci. Qualcuno disse: « Il padre immobile ».
Allora io vidi me stesso, che mostravo a una fanciulla la testa di mio paÂdre. La terra tremò mollemente. Mi decisi ad erigere un monumento agli uccelli.
Eravamo nella bella stagione. Era il tempo dei serpenti, dei vermi, dei fiori-piume, fiori-scaglie, fiori-tubature. Era il tempo in cui la foresta prendeva il volo ed i fiori si dibattevano sott’acqua. Il tempo della meÂdusa circonflessa.
Nel 1930, dopo avere composto con accanimento e con metodo il mio romanzo La Donna 100 teste, ho ricevuto la visita quasi giornaliera del Superiore degli uccelli, chiamato Loplop, fantasma particolare di una feÂdeltà modello, al mio servizio. Mi presentò un cuore in gabbia, il mare in gabbia, due petali, tre foglie, un fiore e una fanciulla. E inoltre, l’uoÂmo dalle uova e l’uomo dalla cappa rossa. In un bel pomeriggio d’auÂtunno, mi confidò che un giorno, uno Spartano fu invitato ad andare ad ascoltare un uomo che imitava alla perfezione l’usignolo. Lo Spartano rispose: « Ho udito sovente l’usignolo stesso ». Una sera mi disse delle battute che non fanno ridere: « Battuta – sarebbe meglio non ricompenÂsare una bella azione piuttosto di ricompensarla male. Un soldato aveÂva perso entrambe le braccia in un combattimento. Il suo colonnello gli offrì uno scudo. Il soldato gli rispose: Senza dubbio lei crede, colonnello, che io abbia perduto soltanto un paio di guanti ». Avevo detto buongiorno a Satanas nel 1928. Un vecchio inconfessabile si caricò un pacco di nuvole sulle spalle, mentre un fiore in pizzo bianco, con la gola trapassata da una pietra, se ne stava tranquillo, seduto su un tamburo. Perché non sono io quell’incantevole fiore? Perché muÂtarmi sempre in terremoto, in asse di cuori, in ombra che entra dalla porta.
Oscura visione quella dell’Europa dopo la pioggia! Il 24 dicembre 1933, ho ricevuto la visita di una chimera in abito da sera.
Otto giorni dopo, ho incontrato un nuotatore cieco. Un po’ di pazienza (quindici giorni di attesa) ed assisterò alla toeletta della sposa. La sposa del vento mi abbraccerà passando al galoppo (semplice effetto di contatto).
Ho visto barbari che guardavano verso ovest, barbari che uscivano dalla foresta, barbari che s’incamminavano verso ovest. Al mio ritorno dal giardino delle Esperidi, ho seguito, con gioia mal dissimulata, le fasi di un combattimento fra due vescovi. Era bello come l’incontro forÂtuito, su di un tavolo anatomico, di una macchina da cucire, e di un ombrello.
Ho accarezzato la leonessa di Belfort.
Gli antipodi del viaggio.
Una bella tedesca.
Paesaggi con germi di grano.
Gli asparagi della luna.
I canali di Marte.
La presenza assoluta.
Giardini voraci divorati da una vegetazione di rottami di aerei. Mi sono visto con una testa di nibbio, con un coltello in mano, nell’attegÂgiamento del Pensatore di Rodin, ma che era in realtà , credo, l’atteggiamento liberato del veggente di Rimbaud. Ho visto, coi miei occhi la ninfa Eco.
Ho visto coi miei occhi svanire le apparenze delle cose e ne ho provato una gioia calma e feroce.
Nella misura della mia attività (passività ), ho contribuito allo sconvolÂgimento generale che avviene ai giorni nostri nei rapporti con le « realÂtà » più solidamente acquisite e stabilite.Â
- (1) Vasari riferisce che Piero di Cosimo restava immerso a lungo nella contemplazione
di un muro sul quale alcuni malati avevano preso l’abitudine di sputare; da quelle
macchie traeva ispirazione per battaglie equestri, per le città più fantastiche ed i paeÂsaggi più suggestivi, che mai fossero stati visti; lo stesso metodo applicava con le nuvole del cielo.
- (2) Questo interessante termine, destinato a fare fortuna a causa del suo contenuto
paradossale, mi pare debba essere accettato con qualche precauzione, poiché la
nozione di paranoia vi è impiegata in un senso che non corrisponde all’accezione
medica. Preferibile, invece, l’espressione di Rimbaud: « Il poeta si fa veggente con
un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi ».
- (3) Fatta eccezione per La Vierge corrigeant l’Enfant Jésus (“1926), quadro-manifesto,
eseguito partendo da un’idea di Andre Breton.
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Commento by arte2.0 — 5 Novembre 2008 @ 13:38
a proposito di mostre… se vi interessa vi segnalo la mostra di bellini e quella di bill viola a roma… sono bellissime.