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CINEMA: I MAESTRI: Federico Fellini. Buon viaggio Eumolpo30 Luglio 2014
di Manlio Cancogni Cancogni – PerchĂ© ha deciso di porÂtare sullo schermo il Satyricon? Fellini – Non c’è stata una scelta, raÂzionale, lucida. O almeno non me ne sono accorto. Del resto, non saprei ogÂgettivare, con precisione, la nascita di un’idea. Non mi riesce. Non ho l’atÂtrezzatura intellettuale per operazioni del genere. Invidio molto quei colleghi che hanno un’idea, ben definita, chiaÂra, completa, e poi la realizzano taÂle e quale e ne sono soddisfatti. Per me, partire da un’idea giĂ ben coÂstruita, sarebbe un metodo sbagliato, pericoloso, vulnerabile. A un certo punto, sono sicuro, si dissolverebbe tutto. Io fino a quando non si cominÂcia a girare non so ancora con esattezÂza che cosa farò. Tre giorni prima di girare Otto e mezzo… Cancogni – Sì, ma ora vorrei sapere del Satyricon. Fellini – Era un’idea che covavo da tempo, da molti anni, si figuri il primo accenno mi pare che risalga alla vigiÂlia della guerra, al ’39. Io allora ero a Roma, nella redazione del Marc’AureÂlio.Forse un poco piĂą tardi, non ricorÂdo bene. Un giorno, un collega, MarÂcello Marchesi arrivò al giornale con un libretto. Era un’edizione semiclanÂdestina del Satyricon.C’erano delle ilÂlustrazioni quasi oscene. Non era quel che si dice un’edizione critica. Non era nemmeno completa. Anzi, per quel che ricordo, si trattava di una scelta, con gli episodi piĂą erotici. Marchesi avrebbe voluto cavarne una rivista per Fabrizi e la Magnani, con un’inÂtenzione satirica nei confronti del faÂscismo. Lessi la riduzione, che però, alÂlora, non mi fece un grande effetto; le ho detto, si trattava di un’edizione seÂmi-pornografica. Ma qualcosa doveva essermi rimasto dentro, perchĂ©, dopo la guerra, trovata un’edizione del SatyÂriconillustrata da Fabrizio Clerici, tradotta mi pare da Cibotto, la lessi con molta curiositĂ . Fu allora che penÂsai di cavarne un film. Cancogni – Come mai? Che cosa ci aveva visto? Fellini – Non so bene. ProbabilmenÂte il lato fantastico. Così come a volte mi viene l’idea di fare un film dall’Orlando Furioso.Senza nessuna ragione pratica, legata alla realtĂ . Le dirò che sempre, dopo avere fatto un film, mi vengono in mente di tali progetti. Ogni volta che ho finito un film mi pare che sia stato troppo condizionato dalla realtĂ in cui si vive, d’avere saÂcrificato le possibilitĂ di fantasia, d’inÂvenzione che conteneva. E allora mi vengono in mente questi progetti di film puramente fantastici, al di lĂ di ogni necessitĂ pratica, logica, razionaÂle; che siano pure visioni, sogni. In fondo la mia ambizione, sin dall’origiÂne, è sempre stata quella di restituire al cinema la fantasia. Cancogni – Questo bisogno lei l’ha provato quando in Italia si stava afÂfermando con successo proprio il conÂtrario, e cioè il cinema neorealista. Fellini – Appunto. Io avevo bisogno di un testo che fosse uno stimolo perl’immaginazione. Cancogni – E il Satyricon? Fellini – Qui devo fare una premesÂsa. Devo dire che il mio primo contatÂto col cinema è stato attraverso la roÂmanitĂ . Ero un bambino di pochi anni quando mio padre mi portava le priÂme volte al cinema, il Fulgor, a RimiÂni. E io ricordo l’impressione che mi facevano quelle immagini color seppia che uscivano dal buio della sala: camicioni, pepli, elmi, imperatrici con gli occhioni bistrati, schiavi, gladiatori, Maciste, Ursus che affronta il toro su cui è legata Licia… I miei primi film parlavano di Roma, dell’impero. Cancogni – Così per lei cinema e anÂtichitĂ erano connessi. Fellini – Sì, ma badiamo, l’antichitĂ come dimensione fantastica, inattuale, contrastante con gli aspetti piĂą usuali della realtĂ . Un altro ricordo. Nel colÂlegio dove andavo, dai salesiani, un giorno ci proiettarono delle diapositiÂve. Noi stavamo seduti nell’aula maÂgna a guardare. Passavano immagini di chiese, portali, pulpiti, celebri moÂnumenti, e d’un tratto non si sa come apparve l’immagine di una ragazza mezza discinta, con un seno di fuori, una specie di servotta, con sotto una scritta, un fumetto… ti penso sempre, amore mio… o qualcosa del genere. Ci fu un momento di scompiglio, la diaÂpositiva fu subito ritirata, riapparvero di nuovo chiese, pulpiti… ma noi eraÂvamo tutti eccitati. Cancogni – Cos’era avvenuto? Fellini – Chi lo sa? Oggi penso che forse i bravi padri salesiani avevano comprato un pacco di quelle diapositiÂve senza guardarle, e che quella serÂvotta c’era giĂ in mezzo prima dell’acÂquisto. Ma la causa non ha importanÂza. Resta lo stupore che mi dette l’irÂruzione in una realtĂ consueta e abbaÂstanza noiosa, di quell’immagine così diversa, con quel bel tettone floreale. Cancogni – La sorpresa insomma… Ma… Fellini – Mi viene in mente un altro episodio che può metterla sulla strada. A Roma, in quel tempo, durante la guerra, avevo cominciato a lavorare come sceneggiatore. Un giorno dovetti andare a CinecittĂ . Era la prima volta. Avevo appuntamento al bar. Entro e mi trovo in mezzo a gladiatori seduti ai tavolini fra bottiglie di birra e gazzose, mignottone in tunica che fumaÂvano, facce di bruti sudaticce, camicioni, elmi, toghe, spade, tutto l’armaÂmentario di una scena da basso ImpeÂro. Ancora una volta cinema e romaÂnitĂ mi venivano incontro, in questa dimensione fantastica… Cancogni – Ma il Satyricon… Fellini – Sì parliamone. In questi venti anni l’idea di farlo m’è venuta piĂą volte, poi ero preso da un altro progetto e l’accantonavo. L’anno scorÂso feci un contratto per un film, un film ancora da progettare, e dovendo, al momento della firma, indicare un tiÂtolo, dissi: il Satyricon. Cancogni – Così dunque, casualmenÂte… Fellini – Sì, ma intanto l’avevo letto e riletto. Poi l’anno scorso, trovandoÂmi in clinica, lo rilessi nell’ultima ediÂzione, quella di Einaudi, e finalmente ne intesi tutta la genialitĂ . E anche la singolaritĂ di certi personaggi. Eumolpo ad esempio, si ricorda? Cancogni – Vagamente, sì, il poeta… Fellini – Ecco a me pare un persoÂnaggio fondamentale. E’ un poeta ma che ha molti dubbi sulla sua missione. E’ un retore e nello stesso tempo un antiretore. E’ un ruffiano, e tuttavia quando si tratta di poesia, rivela una dignitĂ . Quando vanno al banchetto da Trimalcione, lui da principio adula l’oÂspite, lo definisce un poeta; ma quando poi quell’arricchito di Trimalcione si mette a recitare versi, allora insorge. La poesia no, quella va rispettata, non si compra col denaro. Anche la sua fine è molto significativa. Scompare, poi riappare in veste di mercante, ha fatto soldi. Una specie di Rimbaud dell’epoca. E quando muore dispone per testamento che gli eredi potranno riscuotere l’ereditĂ solo a patto di mangiare il suo corpo. E’ una scena formidabile. C’è Eumolpo disteso, e inÂtorno gli eredi che confabulano fra loÂro concludendo che in fondo la cosa si può fare. Ed Eumolpo ha un ghigno ironico sulla faccia. Mi pare che l’epiÂsodio illumini tutta la storia. E’ come se Eumolpo invece di dire, nutritevi del mio corpo, avesse detto, nutritevi di poesia. E pensi che significato ha un invito del genere in una societĂ come quella… Cancogni – Ci siamo… Dunque è il riÂferimento con l’attualitĂ che la inteÂressa nel Satyricon. Lei vede un’analoÂgia fra la societĂ romana al tempo di Petronio, e quella d’oggi. Fellini – Certamente che c’è. Idue protagonisti, Encolpo e Ascilto, quei due scavezzacolli, dalla vita totalmenÂte sgangherata, con i loro sogni paneÂrotici, sembrano due hippies. La somiÂglianza salta agli occhi. Trimalcione è l’industriale arricchito, un gran parveÂnu. Di Eumolpo s’è detto. E’ un letteÂrato d’oggi, cinico, dissipato, al serviÂzio dei potenti con in fondo però una fede nella poesia… Cancogni – Che forse ai letterati d’oggi manca… Fellini – L’analogia dunque c’è. Ma non è per questo che ho scelto il SatyÂricon. Non è stata una scelta a freddo, ideologica. Tutto quello che ci si può vedere nel Satyricon, di simile a oggi, è venuto fuori a poco a poco. Certo è giusto che il film sia fatto ora. Diventa piĂą significativo. Anche ora siamo una societĂ in frantumi, in attesa di qualÂcosa. Allora questo qualcosa fu Cristo che apparve per dire parole assoluta- mente nuove, inaudite, e, consideranÂdo la mentalitĂ , i costumi, della gente a cui si rivolgeva, quasi incomprensiÂbili, paradossali, assurde. Leggevo a questo proposito che all’epoca di Adriano, durante le feste per l’imperaÂtore, furono uccisi settemilacinquecento gladiatori. Cancogni – Come mai? Fellini – Non si sa. Probabilmente per pubblicitĂ ; in quel momento l’imÂperatore aveva bisogno di un consenso popolare. Ma questo è un altro discorÂso. Volevo dire che se al tempo di Adriano, la societĂ romana si dilettava ancora di simili spettacoli, figuriamoci quanto dovesse essere preparata, circa un secolo prima, a raccogliere il mesÂsaggio di Cristo. Cancogni – Veniamo al dunque. Fellini – Anche oggi non possiamo capire i giovani in rivolta, la loro coÂsiddetta contestazione globale, che poi non è altro che una proposta di camÂbiare il rapporto con la vita. E infatti come si risponde? Con quali argomenÂti? Con argomenti che fanno parte del vecchio mondo che loro contestano. Ma loro vogliono idee nuove, un cuore nuovo, polmoni nuovi… Cancogni – Io ci credo pochino. Fellini – Io invece credo alla loro purezza, alla loro verginitĂ . Ho vissuÂto con loro, e in alcuni ho sentito qualcosa di veramente originale, di emozionante. Intendiamoci, io non pretendo di esprimere un giudizio loÂgico, storico su quello che sta accadenÂdo. Non ne avrei la capacitĂ . Sono un artista che delle cose ha una prospettiÂva quasi puramente visuale, estetica. Mi baso esclusivamente sulla mia esperienza, su quello che vedo. Ho passato una notte in compagnia di un gruppo di questi giovani, una quindiÂcina di ragazzi e sette ragazze. AllogÂgiavano in un vagone letto abbandonaÂto su un binario morto in una stazioncina romagnola, a Gambello. RestamÂmo fino all’alba a chiacchierare, di tutÂto. Fra gli altri c’era un ragazzo di ToÂrino, intelligentissimo. Fu una notte libera e sgangherata, zingaresca, senza bussola nĂ© timone, alla deriva, un nauÂfragio splendido e affascinante. Cancogni – La credo; lei ci farĂ anÂche un bellissimo film sopra; ma queÂsto dice soltanto che quei ragazzi e i loro discorsi possono essere materia di poesia, niente altro. Fellini – Non lo so. Ma in tutto ciò io sento qualcosa di straordinariaÂmente poetico. E in fondo poi c’è una disperazione che rende la cosa ancora piĂą toccante, commovente, misteriosa. Cancogni – Sentendone parlare in questo modo mi commuovo anch’io. Fellini – Lei insomma in tutta queÂsta storia della gioventĂą vede solo la fase carnevalesca. Cancogni – Certo, un colossale hapÂpening, pagato dalla societĂ . Un po’ lunghetto magari. Pagato e senza riÂschi. Lei in fondo a questo carnevale vede la disperazione. Io ci vedo soprattutto dell’esibizionismo e anche un po’ di vigliaccheria. Comunque ci divertiremo. Sonocurioso di vedere i suoi hippies scatenati fra le tuniche, le toghe e i pepli della romanitĂ . TorÂniamo al Satyricon. Dove lo girerete? Fellini – Interamente a CinecittĂ . Non ci saranno scene dal vero che riÂsulterebbero falsissime. Tutto verrĂ ricostruito in studio. E’ un film in cui l’aspetto figurativo è fondamentale. Cancogni – Vuol darci una ricostruÂzione minuziosa di quel mondo? Fellini – Assolutamente no. Ho letto, studiato; ma resto un ignorante. QuinÂdi niente di erudito, nessun aneddoto prezioso. Un film è un’altra cosa, deÂve vivere. Voglio che si senta l’aria di quel mondo sconosciuto, così diverso, e che stava per finire senza che nessuÂno lo sospettasse. Ecco il punto. QuelÂlo che mi affascina, in questa storia, a parte le analogie col mondo d’oggi, è la possibilitĂ di raccontare, rappresenÂtare dei personaggi con una psicoloÂgia precristiana, e quindi fuori dei noÂstri concetti, o modi di giudicare. Cancogni – Lei pensa che gli uomini di quell’epoca fossero così diversi? Fellini – Certo. Noi li immaginiamo simili perchĂ© non abbiamo altre forme di giudizio. E’ impossibile rappresenÂtarsi lo sconosciuto. Ma prendiamo un caso pratico: la scelta delle facce. Nel mio film è importantissima. Noi in geÂnere quando vediamo una faccia, sia pure involontariamente la giudichiamo. Non possiamo farne a meno. C’è fra noi e la realtĂ umana un filtro fatÂto di giudizi morali, di una morale che è cristiana, cattolica, e che naturalmenÂte applichiamo alle immagini. Diciamo quello è un invidioso, o un goloso, o un lussurioso, come se avessimo in teÂsta un catalogo, una tipologia umana. Ebbene, io voglio dimenticare questo catalogo, dimenticarmi d’essere un criÂstiano, voglio rivedere il mondo d’allora, con gli occhi d’allora. Cancogni – Ma ammesso che fosse così diverso, e che non ci siano termiÂni di paragone, com’è possibile? Lei butta a mare non dico la sua ragione, ma addirittura la sua personalitĂ . Fellini – Naturalmente viene il paniÂco solo a pensarci. Sarebbe come se le dicessero: lei deve scrivere una storia senza sapere nulla di ciò che deve racÂcontare. Cancogni – Oh Dio, c’è anche chi diÂce che questa sarebbe la situazione ideale per uno scrittore. Anzi che solo in questo modo si può veramente scriÂvere. L’école du regard… Fellini – Sì, ma è finita in vacca. EpÂpure io voglio dei volti che non abbiaÂno nulla a che fare con me, con i miei gusti, le mie preferenze. Ma forse è meglio che le faccia vedere qualcuna di queste facce che sto scegliendo. EcÂcone una. Guardi questa donna con la frangetta. Cancogni – Una faccia stramba, direi un uccello. Fellini – Saprebbe giudicarla, così a prima vista? No. Le è simpatica? antiÂpatica? Cancogni – Non saprei. Fellini – Ecco un punto: noi diciamo correntemente, antipatico, simpatico. Cancogni – Sì, in realtĂ non è affatto antipatico. E questa donna? Si direbbedi pietra. Che occhi sbarrati. Fellini – Anche questo è un viso enigmatico. Cerco dei visi non moderÂni. Questa è la Cumani, la vedova di Quasimodo. Lei va sempre bene. Ha un viso impressionante. Cancogni – Un altro po’! Fellini – E a ogni faccia devono corÂrispondere una mimica nuova, gesti, parole diversi. Cancogni – Ma è un manicomio. Fellini – Immagini che noi di colpo uscissimo di qui trovandoci nel mondo di duemila anni fa. Sarebbe terrificanÂte. Ci sentiremmo perduti. Cancogni – Non è quello che lei vuoÂle? Fellini – Sì, certo. Ma che cosa faÂremmo? Supponiamo che uno c’inviti a pranzo. In che modo mangeremmo? Cancogni – ChissĂ poi che cosa ci daÂrebbero. Fellini – Bisognerebbe essere fatti diversamente per vivere in quel monÂdo. Altrimenti impazziremmo. Cancogni – Siamo un pezzo avanti, mi pare. Fellini – Io col mio film voglio calaÂre lo spettatore in un mondo assolutamente non visto, da lui mai immaginaÂto. Sì, una pazzia se vuole. E poi, maÂgari, sarĂ la solita pappa.  Cancogni – La mimica, i gesti, va beÂne. Ma la psicologia. Inventarne una diversa, è una parola. Che cosa ne sa per ora? Fellini – Niente, non so nulla. So solÂtanto che non devo essere un cristiaÂno. E poi speriamo che qualche musa mi assista. Mi divertirò. Diranno che ho fatto delle bizzarrie, senza capo nĂ© coda. SarĂ un film drogato. Ma poi che ne so. Tanto piĂą un’opera è virÂtualmente vitale quanto piĂą è sconoÂsciuta al suo autore. Questo vale per tutti gli artisti; ma in particolare per un regista. Un regista è il capitano di una nave che salpa verso destinaÂzione ignota. Come Colombo. Se lo imÂmagina se avesse detto alla ciurma che non era sicuro di dove stava anÂdando?! Eppure io mi sento proprio in questo stato. Fino a quando non coÂmincio a girare non so ancora che coÂsa farò. Cancogni – Diceva che tre giorni priÂma di girare Otto e mezzo… Fellini – Sì, avevo cominciato a racÂcontarglielo. Tre giorni prima era un venerdì. Lunedì si doveva attaccare. Ero caduto in una prostrazione totale. Non mi ricordavo nulla. Il panico. Non avrei nemmeno saputo dire perÂchĂ© avessi voluto fare quel film. SvaÂnito tutto. C’era stata un’ispirazione, se n’era andata. Mi misi alla macchina da scrivere e cominciai una lettera a Rizzoli il produttore, per dirgli che non potevo. Ero solo nella stanza, era sera. Entrò uno dell’équipe, MenicucÂci, a dirmi che uno degli operai, Gasparino, un veterano, compiva i setÂtant’anni. Gli amici lo festeggiavano giĂą in teatro, c’era una bottiglia di spumante. Gasparino sarebbe stato contento, mi disse Menicucci, se anÂch’io fossi stato presente. Sta bene, dissi, andiamo a festeggiare Gasparino. Scendemmo in teatro. Era tutto buio fuorchĂ© sotto la pastorale, si chiama così la luce al centro. GaspariÂno e gli altri erano lì. Arrivò lo spuÂmante, brindammo, bevemmo. QualcuÂno brindò al film. Mi sentii commosso. Qualcosa riprese a muoversi dentro. Mi sembrò, brindando con quegli uoÂmini, d’avere assunto un impegno. Risalii su, stracciai la lettera. Restai fino alle undici di sera a meditare, solo. Ma ero calmo; l’angoscia se n’era anÂdata. E di colpo l’idea: farò la storia di un regista che non ha piĂą ispirazione. Così è nato Otto e mezzo. Cancogni – Eanche la sua fama di improvvisatore. Fellini – E’una leggenda. Io penso che un’opera, quando è viva, abbia, a un certo punto, una sua esistenza auÂtonoma. Bisogna allora che l’artista trovi il suo modo di prenderla, il lato da cui prenderla… Io immagino esseÂre dietro un paravento, e che ci sia un forellino al quale applico l’occhio… EcÂco è da quel forellino ch’io devo vedeÂre l’opera, questa creatura, questa fanÂtasia, questa nuvola… Io non sono un improvvisatore. E’una leggenda stupiÂda. Io mi sento disponibile, questo sì, aperto a tutte le possibilitĂ . Devo troÂvare il mio forellino. Ci mancherebbe altro ch’io mi dovessi sentire fedele a un copione scritto sette mesi prima quando non sapevo nemmeno quali saÂrebbero stati gli attori. Cancogni – E per il Satyricon li ha trovati? Fellini – In parte sì, in parte no. Niente di sicuro. Sto cercando. Cosa dicevo? Cancogni – Che il film non può esseÂre soffocato da uno schema. Fellini – Ecco. Eppure un film non è un libro, ci sono in ballo dei capitali, il lavoro altrui, non si può lasciare al caso, deve essere tutto previsto. Ma io non voglio, non voglio rendermi priÂgioniero. Per me non ci sono dubbi, alÂmeno su questo punto: un film si sa che cos’è, quando si fa. Io comincio a saperlo dopo tre settimane. Allora il film s’incarna, perde quota, ma nello stesso tempo diventa piĂą vivo. Si fa piĂą pesante, piĂą meschino, piĂą volgaÂre, ma anche piĂą simpatico, come tutÂte le cose vive. Che sollievo allora! Sento che il film comincia a guidarmi, mi porta. Cancogni – Vorrebbe essere a quel momento? Fellini – Ne siamo ancora lontani. Cancogni – PerchĂ©? Fellini – PerchĂ© non posso fare riÂcorso a quello che giĂ so, alla mia perÂsona. E allora di che cosa mi fido? A quali spunti rifarmi se il mondo che racconto è tutto immaginario? Cancogni – Insomma un viaggio verÂso l’ignoto. Fellini – Verso un’Amazzonia che non sappiamo nemmeno se ci sia. Cancogni – E la ciurma? Fellini – In gran parte sconosciuta anch’essa. Ma con qualche vecchio quartiermastro fedele. Cancogni – Quando salperete? Fellini – Echi lo sa! Letto 1596 volte.

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