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CINEMA: I MAESTRI: Spencer Tracy. Senza essere mai divo non conobbe nessun insuccesso12 Maggio 2016
di Gian Luigi Rondi Ho incontrato Spencer Tracy sei anni fa. A Berlino, il quattordici dicembre del ’61. Faceva piĂą freddo che a Londra e che a Parigi. Un cielo basso, nerissimo, che quasi aveva impedito agli aerei di atÂterrare. Una cittĂ battuta da un vento polare, velocissimo, quelÂlo       cui i bollettini meteorologici sono abituati ad attribuire record da automobili da corsa. Alla Kongress Halle c’era la prima europea di un film così importante, che in tanti ci eraÂvamo mossi apposta per vederlo: Vincitori e vinti, di Stanley Kramer. Era stata scelta Berlino, per questa prima, perchĂ©, come si ricorderĂ , il film era la documentazione, anzi la radiografia, del processo di Norimberga e, attraÂverso i casi di alcuni giudici e di alcuni imputati, intendeva afÂfermare i princìpi e le idee degli Stati Uniti d’America su quei giorni e, soprattutto, su quelli, orrendi, che li avevano preceduÂti e determinati. Con quella priÂma, perciò, si voleva ribadire una idea e, nello stessa tempo, avviÂcinarsi alla nuova Germania, nelÂla sua ex-capitale, per farle veÂdere che gli Stati Uniti erano e intendevano essere contro il naÂzismo, ma non contro i tedeschi. A dare maggior rilievo a quelÂla proiezione, Hollywood aveva chiesto a tutti gli interpreti del film di essere presenti alla Kongress Hall, tutti, a eccezione di Marlen Dietrich, il cui fiero atÂteggiamento antitedesco avrebbe potuto nuocere alla missione diÂmostrativa e a un tempo diploÂmatica di quella proiezione. Vi erano così Judy Garland, MontÂgomery Clift, Richard Widmark e, naturalmente, Spencer Tracy, che nel film aveva la parte del presidente del Tribunale, un giuÂdice equilibrato e sereno, intimaÂmente pervaso dai princìpi demoÂcratici del suo Paese. Tutto bianco di capelli, massicÂcio, quadrato, mi accorsi, però, che il suo piglio risoluto sembraÂva un poco attenuato, quasi afÂfievolito. Non solo nella stretta di mano, che non mi ricordò le famose zampate per cui era diÂventato proverbiale, ma perfino nella voce, che sembrava nasconÂdere un non so che di fioco e d’inÂcerto, se non proprio di stanco. Lì per lì detti la colpa al fredÂdo, a quel freddo che ci aveva attanagliato tutti per le vie geliÂde della cittĂ e che i termosifoÂni della Kongress Halle stentaÂvano a domare. Una decina di minuti dopo l’inizio della proieÂzione, però, vidi Tracy, seduto in prima fila, vicino al sindaco WilÂly Brandt, alzarsi impacciato, far cenno a un amico che sedeÂva due file piĂą indietro, e allonÂtanarsi discretamente, con un passo che mi parve stranamente esitante. Ne parlai, dopo il film, con Stanley Kramer, con l’idea di enunciare un semplice fatto di cronaca, senza molto peso, anÂche se avevo potuto costatare che Tracy non si era piĂą fatto vivo alla Kongress Halle. Mi aspettavo una risposta qualunÂque, sul piano della conversazioÂne mondana, gli vidi invece agÂgrottare le ciglia, farsi pensieÂroso e gli sentii mormorare, quaÂsi controvoglia, due o tre frasi sulle cattive condizioni di saluÂte di Tracy. Avevo letto, però, proprio qualche giorno prima che l’attore si era fatto visitare ai « Cedri del Libano », la celeÂbre clinica di Hollywood dove gli attori e i ricchi californiani vanÂno di tanto in tanto per il check-up, e avevo letto che i medici lo        avevano trovato in ottima forÂma. Lo dissi a Kramer che, anÂzichĂ© confermare il responso di quei medici, si lasciò sfuggire afÂfermazioni molto piĂą negative e pessimistiche. Tracy, mi disse, era molto malato, anzi, con ogni probabilitĂ era irrimediabilmenÂte malato. I medici, conoscendo la sua forza, non gli avevano di certo mentito. Era lui che mentiÂva agli altri, perchĂ© non desideÂrava parlare con nessuno di se stesso e della sua privacy. Passò del tempo. Pensavo spesÂso a quella breve apparizione di Spencer Tracy a Berlino, pensaÂvo alla notizia che mi aveva daÂto Kramer. Ma da Hollywood niente e nessuno sembrava conÂfermarla. Poco tempo fa ne parÂlai proprio con Vincente Minnelli, che, a Hollywood, ha la casa a due tiri di schioppo da quella di Tracy. « E’ vero, non sta molÂto bene », mi rispose, « mi semÂbra, anzi, che lo abbiano anche operato, però non credo che abÂbia qualcosa di veramente graÂve, perchĂ© lavora. Regolarmente. Proprio un me fa, anzi, ha coÂminciato un film ». Il film era Guess who’s coming to dinner. Al suo fianco c’era Katarine Hepburne, con cui TraÂcy aveva fatto spesso coppia fisÂsa, soprattutto in alcuni film umoristici. Finito il film, lessi che aveva dichiarato alla stamÂpa: « Sono stanco, forse questo film costituirĂ il mio addio al cinema ». Recitava ancora, naÂscondeva la veritĂ agli altri o la nascondeva anche a se stesso? E in questi giorni, da Hollywood, è arrivata la notizia della sua morte. Motivo: cuore. Ma poteva trattarsi di un motivo provocato da un altro, anche piĂą grave motivo. Contro il quale Tracy si era battuto per sei anni. Questa sua lotta contro la morÂte, questa sua tenacia, questo suo riserbo in extremis, sono i segni e le caratteristiche che hanno guidato tutta la sua non lunga vita (è morto in fondo a soli sessantasette anni). E che hanÂno guidato anche la sua carriera. Diventò celebre quando erano celebri, con lui, a Hollywood, Gary Cooper e Clark Gable. Il primo, in gioventĂą, era anche stato bello e, tutto sommato, poÂteva considerarsi, oltre che atÂtore, divo. Il secondo si era imÂposto, come divo, per quella arÂrogante baldanza da simpatica canaglia che lo aveva reso l’idoÂlo delle donne di tutto il mondo. Innegabilmente, nel terzetto, Spencer Tracy era quello che la natura aveva meno dotato. Le sue origini se non proprio conÂtadine, almeno agrarie, gli si legÂgevano sul viso rustico e a tratti perfino un po’ plebeo, traspariÂvano da quella sua corporatura un po’ tozza, quasi atticciata, gli si svelarono anche piĂą con il pasÂsare degli anni, su quella fitta rete di rughe che presto gli coprì il volto, esattamente come le ruÂghe degli uomini che vivono molÂto all’aria aperta, lavorando la terra. Però, nonostante questo e forÂse, molte volte, per merito proÂprio di questo, Tracy, che non era un divo, riuscì a ottenere esattamente come un divo, l’afÂfettuosa simpatia dei pubblici di tutto il mondo. Anche, s’intenÂde, perchĂ© era un ottimo attore, uno dei migliori, anzi, che ci abÂbia proposto il cinema di HollyÂwood, ma soprattutto, per quei sentimenti cordiali e umanissiÂmi che suscitava nelle platee con la sua agreste semplicitĂ e l’inÂnata bontĂ dei suoi personaggi. Anche senza essere un divo, coÂsì, divenne un « tipo », e un tiÂpo che, senza difficoltĂ , riusciva a conquistare gli animi degli spetÂtatori. La tecnica del consenso popoÂlare, al cinema, soprattutto, fra il         ’40 e il ’6O, è sempre stata molto semplice: piacciono gli eroi, piacciono gli avventurieri, ma tanto gli eroi quanto gli avÂventurieri bisogna che abbiano un briciolo di bontĂ , un sospetto di umanitĂ ; altrimenti il pubblico non li accetta, o li considera alla stregua di Charles Laughton. Tracy, di bontĂ e di umanitĂ ne aveva da vendere, anche quanÂdo, in rare occasioni, affrontava personaggi non del tutto specÂchiati. E il pubblico non esitò a mettersi con lui, fin dagli inizi. Adorava Clark Gable, ma ebbe affettuosissimi consensi anche per lui quando, in abito talare, lo vide contrastare fraternamenÂte ma fermamente con Clark GaÂble, in San Francisco. E si lasciò totalmente avvincere dalla sua calda comprensione, quando lo vide così paterno e sereno in Capitani coraggiosi, il film che giustamente gli ottenne, nel ’36, il primo Oscar. E applaudì, subiÂto l’anno dopo, al secondo Oscar che gli venne dato per la sua inÂterpretazione del personaggio veÂro di Padre Flanagan nella CittĂ dei ragazzi. Nella storia di Hollywood, nelÂla storia degli Oscar, c’è stato un solo caso di un attore preÂmiato con l’Oscar due anni di seguito, e fu proprio il caso di Tracy, per merito anche del caÂlore che aveva suscitato presso il pubblico, della irresistibile simÂpatia che i suoi personaggi meÂritavano presso tutti. « In CapiÂtani coraggiosi Tracy è stato adÂdirittura eccezionale. Ma eccezioÂnalissimo è anche nella CittĂ dei ragazzi. E’ vero che l’altr’anno ha avuto l’Oscar, ma non si può assolutamente non darglielo anÂche quest’anno. Sarebbe una graÂvissima ingiustizia ». Così dicevaÂno i suoi colleghi nel ’37, quando furono chiamati a votare per i massimi premi cinematografici del mondo. Da quei giorni sono passati trent’anni e Tracy non si può dire che abbia mai conosciuto un insuccesso. Sono cambiate le mode, sono cambiati i gusti del pubblico, persino il cinema è camÂbiato, e non solo in Europa, ma anche a Hollywood, ma lui, reÂstando forse sempre lo stesso, è nello stesso tempo rimasto semÂpre sulla breccia, sempre vinciÂtore, sempre eccellènte interpreÂte, sempre applauditissimo. I perÂsonaggi mutavano, ma non muÂtava mai il carattere cui egli li uniformava, un carattere solido e positivo di uomo forte, che, pur senza alcuna retorica, non si lascia mai sopraffare dagli avÂvenimenti contrari, il carattere di un uomo onesto che crede nei propri princìpi e che ai proÂpri princìpi non ha paura di saÂcrificare tutto: così negli Arditi dell’aria, così nel Romanzo di una vita, così in Joe il pilota, così nella Settima croce, così nell’Uomo creò Satana, per non parÂlare ancora di quel Vincitori e vinti in cui, pur trattandosi di un film corale, riusciva a imporÂsi con una decisa e vivacissima personalitĂ . Era però anche un attore dalle molte corde al suo arco. Quando gli proposero la riduzione cineÂmatografica dì Pian della TortilÂla, di Steinbeck (Gente allegra), seppe trovare toni picareschi di festosissima baldanza, quando gli proposero la riduzione del VecÂchio e il mare, di Hemingway, seppe comporsi in una singolarisÂsima caratterizzazione dalle vaÂstissime dimensioni tragiche, e quando gli affidarono addirittura delle commedie in serie (La donÂna del giorno, Il padre della spoÂsa, PapĂ diventa nonno), trovò in sĂ© delle risorse comiche e umoristiche preziosissime, anche in questo rivelandosi equilibrato e misurato, avaro di toni eccesÂsivi, ostile a ogni troppo coloÂrato effetto. Attore, insomma, atÂtore grande, anche in piccole coÂse. Ma, soprattutto, uomo aperto a ogni suggerimento della sua arÂte e della sua professione. Con una polivalenza che oggi si è veÂnuta ormai facendo molto rara nel cinema; e non solo in quelÂlo americano. Letto 1261 volte.

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