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CINEMA: LETTERATURA: I MAESTRI: Bondarciuk. Tolstoi tutto Tolstoi21 Marzo 2015
di Guido Piovene La prima parte della traduzione ciÂnematografica di Guerra e pace di Tolstoi, quella eseguita in Russia, apÂpare oggi sui nostri schermi col titoÂlo Natascia. Il titolo non è felice. NaÂtascia è solo uno dei grandi personagÂgi di Guerra e pace, e non concentra su se stessa tutta quell’immensa viÂcenda. I primi due tempi del film, piĂą contratti in Natascia, erano intitolati L’anno 1805 e Natascia Rostova. SeÂgue il resto della vicenda, non ancora dato da noi, e che sarĂ chiamato L’inÂcendio di Mosca. Mi dicono che a PaÂrigi si proiettava l’opera tutta insieÂme, in dodici ore, compresi gli interÂvalli del tĂ© e del pranzo. Perciò supÂpongo che nella versione italiana siaÂno stati fatti dei tagli. Comunque, un fatto è certo. Questa è la prima volta in cui si porta un grande romanzo nel cinema riuscendo a conservarne lo spirito e il potere di commozione. Non ho mai visto, in questo genere, niente che possa stargli a pari. Non parlo dei liberi rifacimenÂti, in cui un romanzo dĂ lo spunto al regista, che ne parte per farne un’inÂvenzione sua. Parlo di una traduzioÂne fedele, nella quale il regista si poÂne a servizio di uno che è maggiore di lui, accettando in partenza di esÂsergli subordinato. Nemmeno questo è facile. Occorre amore e umiltĂ , coÂse rare. L’effetto è ottenuto anzitutto con l’accumulazione attenta dei particolaÂri esatti. Non ha nulla a che fare con la pedanteria, perchĂ© in alcuni casi, per esempio questo, è l’unico mezÂzo possibile per toccare lo scopo. LegÂgo la rĂ©clame sui giornali. Parla di centinaia di migliaia di comparse, di quasi 11.000 scenografie, di cinque anÂni di preparazione, di trenta miliarÂdi di spese. Non stento a crederci, e non credo possibile arrivare allo stesÂso effetto in maniera diversa. Ciò che importa è che questa profusione di cure intenda veramente ricreare l’amÂbiente e il movimento dell’opera oriÂginale, magari con minuzie che una per una passano inosservate, e non a una pomposa scenografia decorativa. E direi che in Natascia, con tanto diÂspendio, pochissimo è decorativo, ma quasi tutto funzionale. Il criterio è lo stesso di quello usato in Russia per la conservazione delle case dei grandi scrittori, per esempio dello stesso TolÂstoi, a Mosca e in campagna. Ogni ogÂgetto, anche di poco conto, dalle stoÂviglie agli abiti, suo o dei suoi famiÂliari, è mantenuto intatto e al posto dov’era. Conservati con lo stesso zelo sono anche i piccoli oggetti che non si vedono, come quelli che restano naÂscosti nei cassetti. In una casa di TolÂstoi, un cassetto solo contiene duemiÂla oggetti (tutti catalogati), tra cui un bottone rotto e un ago con una gugliaÂta di filo. Il risultato è la presenza fisica di Tolstoi. Si ha la sensazione che entri da un momento all’altro. La traduzione russa di Guerra e pace per il cinema si serve anche di questa tecnica. Non dirò che non vi siano difetti. Ma non è difettosa la rapÂpresentazione dell’aristocrazia, tra cui il romanzo in gran parte si svolge, e che è stata accusata di una certa rozzezza. A me sembra molto preciÂsa. L’aristocrazia russa non era quella inglese, francese, o austriaca; conserÂvava una parte rozza, del resto piaÂcevole, anche sotto vesti fastose; queÂsto è chiaro dalle descrizioni che si leggono nei romanzi, e risulta ancora oggi, dalle case che ne rimangono, dai mobili che le decorano, anche se eraÂno imitati dall’Occidente. Una punta di grossolanitĂ si nota qualche volta perfino negli arredi dei palazzi impeÂriali. L’aristocrazia russa somigliava, per molti lati, a quella di provincia dei nostri paesi; e io ricordo che la nobiltĂ veneta di provincia era piena di personaggi vivi che sembravano la incarnazione di personaggi immaginaÂri di Tolstoi, di Dostoevskij o di Gogol. Il film rende l’aristocrazia russa, maggiore e minore, com’era: fastosa e festaiola, ma con i suoi modi un po’ rudi, con i suoi corpi un po’ massicci, i suoi grossi appetiti, il fondo contadiÂno e il contorno patriarcale. Nemmeno imputerò al regista, di fronte a un romanzo con tanti persoÂnaggi, di aver lasciato qualcuno in omÂbra: cito il fratello di Natascia, NicoÂla Rostov. Si potrebbe dire, se mai, che l’aristocrazia, come appare nel film, è, quasi tutta d’animo troppo eletto; ma questa « positività » proÂgrammatica caratterizza i personagÂgi di tutti i film sovietici, e stride molto meno coi personaggi del pasÂsato, che quando si vuole applicarla a quelli del tempo presente. Si immagiÂni quale acredine critica e dissolvenÂte, a costo di prevaricare sullo stesso Tolstoi, avrebbe usato un cineasta di sinistra dell’Occidente rappresentanÂdo questi nobili, come avrebbe frugaÂto nelle pieghe del libro per estrarne particolari indicanti la loro vacuitĂ , vanitĂ , stoltezza; qui invece sono uoÂmini integri, dei quali si mette in vaÂlore soprattutto la solidarietĂ col poÂpolo a cui appartengono nei momenti difficili, e la generosa risposta ch’essi finiscono per dare, ognuno con diverÂse motivazioni interiori, alla chiamata del Paese aggredito. Vi sono le canaÂglie (la bella Elena, il suo amante e suo fratello che seduce Natascia): ma il cinema sovietico, come è noto, rifugÂge dal troppo nero, non affonda mai il bisturi nella canaglieria, e non vuole che abbia una parte troppo cospicua. Così, mentre brillano i buoni, gli animi elevati e caldi, i farabutti restano scoÂloriti, superficiali e secondari. Chi coÂnoscesse male l’Unione Sovietica poÂtrebbe restare stupito di un ritratto coÂsì affettuoso, e quasi senza macchie nei personaggi che piĂą contano, dell’ariÂstocrazia russa, sia pure di un secoÂlo e mezzo fa. Niente miseria, niente sfruttamento apparente, ma contadiÂni che sorridono guardando le toilettes e i balli dei padroni. Conoscendo la Russia zarista solamente da questo film, si sarebbe portati a dire: che bei tempi. Uno dei grandi pregi del film è la veritĂ fisiognomica. E’ un argomento al quale ho giĂ accennato un’altra volÂta. Non si può fare Guerra e pace con faccie lunghe americane. Qui tutÂti i personaggi sono veramente russi, e dal loro aspetto traluce il carattere nazionale. Inoltre l’aspetto esteriore, per quanto siano altolocati, li avvicina all’uomo comune, suggerisce che sono fatti della stessa pasta. Pietro Bezuchov, che è lo stesso regista, Serghei Bondarciuk, riesce in una rara imÂpresa: è come lo immaginavamo legÂgendo, o come io lo immaginavo. Con forza emerge il carattere di Andrea Bolkonski. Il suo aspetto rende creÂdibile anche visivamente come, innaÂmorata di un uomo così teso ed austeÂro nel suo orgoglio e in un’alta ambiÂzione di gloria, Natascia si lasci seÂdurre da un mascalzone di maniere piĂą spiccie. Di Natascia, dirò tra poco. Questi principali caratteri sono reÂsi nel film al di lĂ della superficie. E non importa se una voce di fondo dice i loro pensieri, le loro riflessioni sull’esistenza: in Tolstoi queste riflesÂsioni sono essenziali e parte integraÂle delle persone. Pietro ed Andrea non sarebbero ciò che sono senza quello che pensano, senza le loro filoÂsofie contrastanti. Alcuni episodi soÂno stupendi; il trapasso del conte Bezuchov intorno al quale i pope parati come a Pasqua cantano le preghiere del trapasso mentre vive ancora, il ballo alla corte imperiale, la caccia al lupo, tutto quello che si svolge nella campagna. Splendide primaveÂre, splendidi geli, e splendidi chiari di luna; la natura è vivente. La battaglia di Austerlitz, sebbene un po’ confusa nel suo svolgimento, è benissimo rappresentata come celeÂbrazione del valore russo, e in rapporÂto con Andrea, il quale caduto e moÂrente vi ha la rivelazione della vaniÂtĂ delle cose e della grandezza del cielo. Ottimo accorgimento è stato, a mio parere, quello di mantenere lonÂtano e sfumato il personaggio imposÂsibile di Napoleone, la cui faccia conoÂsciamo troppo, Napoleone stona semÂpre nei film, qualunque sia l’attore che lo rappresenta. La diligenza, quasi la venerazione con cui è accostato il testo, ottengono un effetto che va molto al di lĂ della semplice illustrazione. Naturalmente siamo su un terreno diverso dei film che costituiscono un’invenzione nuoÂva. Non guardiamo Natascia pensanÂdo a Blow-up o a Marat-Sade. Ma un film che riesce a trasmettere l’ondata emotiva di un grande libro non può essere detto soltanto illustrativo; le semplici illustrazioni non trasmettono nulla, anzi distraggono, appiattiscono e falsano. Bondarciuk, il regista, si è immedesimato in Tolstoi. Si veda NaÂtascia (Ludmila Saveieva); il meno che possiamo dire sono due parole: è lei. Era così, sicuramente, col suo ferÂvore, con la sua esaltazione che la tieÂne costantemente un tono piĂą su del normale, questo che è forse il piĂą caÂro e simpatico dei personaggi femmiÂnili di tutta la letteratura. La prova che l’ondata magnetica di Guerra e pace giunge fino a noi dallo schermo, è che a momenti ci commuove. Il meÂrito principale è certamente di TolÂstoi, ma insomma il regista è riusciÂto a non interferire, a fare di se stesÂso un tramite che ne diffonde il caloÂre geniale. Forse anche scopriamo qualche coÂsa di nuovo. Guerra e pace è un roÂmanzo a cui ci si avvicina piĂą di una volta nella vita, ma in genere la prima, piĂą completa e attenta lettura, si è fatta in gioventĂą. Forse allora ci si è accorti meno che uno dei suoi maggiori incanti è l’appello della gioÂvinezza, che vi circola dentro: quel fresco bisogno di gloria che non assoÂmiglia alla secca competizione adulta per il successo, e che scatta ad ogni occasione, anche in un ballo o in una partita di caccia; quei momenti d’estaÂsi fervida in cui la bellezza del monÂdo diventa quasi insopportabile e tutÂto il mondo consanguineo. Cose che l’Occidente, o almeno l’arte occidentaÂle hanno dimenticato; e da qui restaÂno, e rimangono vere. In fondo è desiderio di giovinezza la commozione che comunica un film come Natascia; e la comunica Tolstoi, capace come nessun altro scrittore di propagare questo genere di palpitazioÂni. Per una volta tanto, ha trovato un regista abbastanza bravo e modesto per lasciarci arrivare, in parte, la sua grande voce. Letto 2841 volte.

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