FUMETTI: Bilbolbul
13 Gennaio 2009
[da: “Enciclopedia dei fumetti”, a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970]
L’AUTORE
ATTILIO MUSSINO – Di dieci anni più anziano di Antonio Rubino, essendo nato a Torino nel 1870, anche Attilio Mussino ha legato il proprio nome alla lunga storia del Corriere dei Piccoli. Con Rubino fece infatti parte del nucleo che fin dall’esordio, nel 1909, lavorò con entusiasmo per dare vita a un’editoria italiana destinata al mondo dell’infanzia e, nel medesimo tempo, a un tipo di narrativa che, autonoma dalle maÂtrici anglosassoni, potesse con esse competere rappresentando un ideale sviluppo di quelle pagine – Collodi piuttosto che De Amicis -che gli adolescenti della nostra penisola aveÂvano affettuosamente riconosciute come proprie. Non è un caso, dunque, se Mussino – meglio conosciuto dalle generazioni dei primi anni del Novecento con la più familiare firma di « AttiÂlio » – « passati di moda gli incantevoli, ottoÂcenteschi, granducali Mazzanti e Chiostri », si accinse a illustrare le avventure di Pinocchio. L’edizione che portava la sua sigla (la seconda gamba dell’iniziale si piegava a sottolineare come un nastro le restanti lettere dello pseuÂdonimo) divenne in breve popolarissima e, con il trascorrere delle stagioni, si attestò tra le più vivaci e intelligenti prove dell’illustrazione italiana. I personaggi collodiani, nella penna di Attilio, trovarono un interprete straordinariaÂmente efficace, un mediatore acuto che li seppe far vivere in tavole colorate (e in successioni di immagini) certo esemplari per vivezza e guÂsto, ma più ancora per adeguato risalto psicoÂlogico.
I gendarmi che imprigionano il burattino dal naso lungo sono rimasti giustamente famosi: quasi un luogo comune – tenuto conto della loro carica ammonitrice – ripreso ogni qual volta si è cercato di fissare in termini sintetici lo stile e quindi l’impronta corposa, peculiare della sua opera grafica. Lo spesso tratto nero che scontorna le figure o isola gli elementi del paesaggio, che stacca di netto i colori e coÂstruisce nella tavola un suggestivo intreccio di linee e forme (quasi nel tentativo di suggerire la tridimensionalità ) è un elemento caratteri-stico cui le composizioni di Attilio rimarranno fedeli nel tempo, non cedendo via via alle mode, né accettando le tante influenze grafiche che sfileranno nelle tavole rigorosamente squadrate del primo Corrierino.
A ben guardare, è proprio uno degli iniziali personaggi di Mussino, il fantasioso negretto Bilbolbul, a rompere le ferree regole dell’impa-ginazione in otto rettangoli, prendendosi libertà compositive assolutamente impreviste. Ma il picÂcolo eroe ne aveva tutto il diritto, giacché, per lui, non esistevano vincoli di rispetto alla riproduzione realistica, né, tanto meno, servitù d’ordine figurale. Nato con i numeri d’avvio del nuovo settimanale per ragazzi, Bilbolbul non visse però a lungo. La sua avventura stravolta, sullo sfondo di un’Africa di pura fantasia che l’autore inventava ogni volta poco attenendosi all’iconografia tradizionale, durò una cinquanÂtina di settimane. Quanto bastò, a ogni modo, per farne un character di notevolissima staÂtura, sia per la funambolica carica d’immaginaÂzione, sia soprattutto per la sua così insolita collocazione nei territori del surreale (almeno collazionando la sua impronta stilistica al liÂvello piattamente « borghese » delle coetanee storielle di carta).
Mussino, che ancora studente aveva iniziato a collaborare al giornale satirico La Luna, e che in seguito era stato una delle firme fisse de Il Fischietto (e quindi di altri fogli legati anÂch’essi alla critica di costume e al pamphlet politico), non deve la sua notorietà di cartoonist soltanto al personaggio di Bilbolbul. Anche Schizzo e Gian Saetta, per ricordare due suoi « caratteri » di buona popolarità e di piacevole lettura, si collocarono ai primi posti delle preÂferenze dell’udienza giovanile. Più significative, almeno sotto il profilo del costume nazionale, ci paiono tuttavia le storie di Dorotea e Salomone sviluppate sul Corriere dei Piccoli allo scadere degli anni venti. Protagonista di queste avventure minime è una coppia di benestanti, senza figli, non più gioÂvanissimi, appesantiti dalla buona tavola e corÂredati da quel tipo di confort che i fumetti di solito assegnano alle « coppie » borghesi (il precedente di Arcibaldo e Petronilla, dal punto di vista della cornice ambientale, non è senz’altro accantonato da Mussino). I due sono ogni volta vittime della loro titubanza: che si tratti di scegliere uno spettacolo, seguire una dieta, sostituire un domestico o trovare un maÂrito per la nipote, Salomone e Dorotea non si affidano mai alle proprie scelte, ma s’inzuccano nella tela di ragno dei suggerimenti passati dagli amici. Come nelle strips di George McManus, anche i comprimari di Attilio fanno parte dell’aristocrazia e la loro mentalità tutta superficiale è puntualmente sottolineata dall’auÂtore, sia nella scelta dei versetti, sia nella definizione grafica.
Il Marchese, il Duca, Donna Rosa, il Barone, Donna Betta, il Conte e, soprattutti, la Putipù costituiscono un gustoso coro di macchiette, sciocche e altezzose, che Attilio ironicamente ritaglia nel costume dell’epoca. Sono le esatte controfigure dei divi del muto o le pungenti caricature dei modelli imposti dai capitoli freÂmenti di D’Annunzio e Da Verona. La commedia di Salomone e Dorotea – rispettosa ogni volta del suo sviluppo in otto scene – resta sicuÂramente confinata entro le quinte di una rapÂpresentazione « boulevardiera », ma alcune note d’ambiente, certe precise allusioni e, più anÂcora, l’ironia che accompagna gesti e affermaÂzioni testimonia una volontà abbastanza irriÂverente, segno che l’esperienza giovanile di AtÂtilio, quale censore dei tics nazionali, non si era assopita.
Nella seconda metà degli anni trenta anche il Corrierino, stimolato dalla concorrenza di altre testate che avevano monopolizzato la narrativa grafica avventurosa d’oltre Oceano, si decise a rompere la consegna dei distici rimati e delle tavole umoristiche concluse in se stesse. IniÂziò così la pubblicazione di racconti a puntate (di firma italiana), interpretati da corsari, uoÂmini d’armi, pirati e avventurieri, nei quali coÂmunque il balloon ancora restava escluso, esÂsendo i testi apposti in calce alle strisce. In questo genere particolare di fumetti (dei « cine-romanzi » come più tardi si definirono) si provò immediatamente Attilio, con una storia di fanÂtapolitica, quella de La torre del mago 2000, iniziata il 27 settembre 1936. La vicenda riguarda il professor Cesare Falco, uno scienziato che ha messo a punto in AmeÂrica – con la collaborazione della figlia GioÂvanna e dell’aviatore Mario Ussi, fidanzato della ragazza – due armi terribili (lo « spring-siluro » e il « riflettore fulminante ») per dare all’Italia – siamo nel 1950, nell’imminenza di una guerra mondiale – « il primato sicuro del mare e delÂl’aria ». Tre spie famose, Joe Fuller dell’lntelli-gence Service, Iru-lru del giapponese Drago Nero e Maskaroff della Ghepeù, si contendono i piani delle sue scoperte, ma Falco, ovviaÂmente, sarà più astuto di loro. Riuscirà a giunÂgere in patria, a realizzare i suoi strumenti belÂlici e a determinare la vittoria del Tricolore conÂtro una non bene definita alleanza di potenze occidentali. La « pace romana » che conclude la storia è l’ennesimo motivo a favore del reÂgime fascista e della sua politica nazionaliÂstica. Attilio (che morirà nel 1955 a Vernate, presso Milano) si muove a disagio tra ordigni fantascientifici (microradiotelefoni in forma di coleotteri, ricevitori da polso e auto che prefigurano la « batmobile ») e gli angusti sentieri dell’impegno propagandistico. Al suo attivo non restano che il mestiere e alcune curiose immaÂgini in cui egli, singolarmente, impasta il fuÂturo tecnologico con il passato prossimo delle avventure del cinema muto. Citazioni ancor più esposte della narrativa cineÂmatografica offre il successivo, lacrimevole Cappuccetto d’oro, storia di un’orfanella perseguiÂtata da loschi figuri e salvata da candidi beneÂfattori, incluso il cane Puccento. Una Cosetta in tono minore, che non per caso ha il volto di Mary Pickford e il contorno di comprimari che ricalcano la risaputa iconografia dei vilains e degli angeli da salvataggio.
IL PERSONAGGIO
BILBOLBUL – Questo simpatico negretto è orÂmai da tempo entrato a far parte della storia del fumetto italiano, unitamente ad altri perÂsonaggi – come, per esempio, il Signor Bonaventura di Sergio Tofano, il Sor Pampurio di Carlo Bisi, Marmittone di Bruno Angoletta e Pier Cloruro de’ Lambicchi di Giovanni Manca – tirati avanti per lunghi anni sulle pagine del Corriere dei Piccoli.
Godibilmente facendosi gioco di frasi proverÂbiali, di modi di dire, di luoghi comuni, di imÂmagini scontate, Attilio assegnò al suo neÂgretto una caratteristica tutta particolare: quella, appunto, di rendere concreta (quando non inÂcarnare egli stesso) ogni possibile metafora enunciata dai versetti. Farsi tutto blu, mettere le ali ai piedi, dividersi in quattro, non stare nella pelle, toccare il cielo con un dito, restare con un palmo di naso, sentirsi cascare le bracÂcia, gonfiarsi di boria, prendere la parola, avere la vita lunga, uscire dall’ombra o mille altre analoghe espressioni non hanno per Bilbolbul un senso puramente gergale. Lui, realisticaÂmente, si spezza, si allunga, si taglia, si coÂlora, di disunisce, sicché tocca di regola « al suo babbo sbalordito » e « alla sua mamma buona e bella » di rimetterlo a posto usando martello, sega, forbici, colla e pennelli. Certo, per i lettori dell’epoca, giovani o meno, le strampalate e assurde vicende del piccolo africano, ogni volta deturpato e sconciato dai traslati venuti alla penna del suo creatore, doÂvettero anzitutto costituire una ginnastica menÂtale non indifferente. Eppoi, così estranee alÂl’andamento piano e casalingo delle altre imÂmagini versettate del Corrierino, anche un fatto di sconcerto, causa di evidente disturbo psicoÂlogico e perfino di choc. Non si può, pertanto, considerare del tutto ingiustificata la tesi di chi sostiene che la breve vita di Bilbolbul sia da attribuire proprio alla riprovazione dei benÂpensanti. Questi evidentemente trovarono repulÂsive e inadatte al mondo dell’infanzia le tavole ideate e disegnate con indubbia originalità da Mussino. A ogni modo, senza poter chiarire le ragioni del suo allontanamento, resta da dire che il personaggio di Attilio riapparve, ma di nuovo per breve tempo, nell’immediato primo dopoguerra, riprendendo, senza varianti, lo sconcertante gioco mimetico delle sue origiÂnarie apparizioni.
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