FUMETTI: I magnifici eroi
29 Febbraio 2008
 di Ernesto G. Laura
[da: “Enciclopedia dei fumetti”, a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970]
Gli appassionati potranno da oggi seguire una serie di articoli che ci faranno rivivere la storia del fumetto attraverso i suoi autori e i suoi personaggi.
Il 7 gennaio 1929, un lunedì, i quotidiani americani tenevano a battesimo due nuove strisce a fumetti. La prima, che si intitolava Tarzan, era disegnata da Hal (Harold) Poster (cinque vignette senza balloon, cioè senza «nuvoletta»: le parole eraÂno scritte in basso a mo’ di didascalia) e derivata dal celebre romanzo di Edgar Rice Burroughs Tarzan of the Apes (Tarzan delle scimmie) di quindici anni priÂma (1914). La seconda recava per titolo Buck Rogers in the Year 2429 (Buck Rogers nell’anno 2429), era firmata da Philip Nowlan per il testo e da Dick (Richard) Calkins per i disegni e prenÂdeva lo spunto anch’essa da un romanÂzo — di fantascienza — già noto dello stesso Nowlan, Armageddon 2419 A. D. Che entrambe le storie prendessero l’avvio di lunedì non stupisce: una traÂdizione ferrea fa sì che i fumetti a punÂtate inizino il primo giorno della settiÂmana e terminino, dopo una o più settimane o anche mesi, di sabato; la domenica, infatti, escono quei giornali del tutto diversi dai soliti che sono apÂpunto le edizioni domenicali, ricche di supplementi, e i fumetti che vi appaiono spesso a colori, presentano un’impostaÂzione diversa dai fumetti dei giorni feÂriali.
Stupisce invece che in quel 7 gennaio fossero ai nastri di partenza insieme due storie molto differenti fra loro, ma unite da un’importante caratteristica comune: erano i primi fumetti d’avventura. Si rompeva così una tradizione di decenÂni, secondo la quale col fumetto si doÂveva solo far ridere (o sorridere); il fuÂmetto apriva le porte ai «magnifici eroi», ai cavalieri dell’ideale, agli intrepidi e ai coraggiosi.
Il 1° gennaio 1930 un uomo di cinema, che in pochi anni era diventato famosisÂsimo con alcuni disegni animati in bianÂco e nero, portava il suo eroe principale nei giornali, come protagonista di una serie di fumetti quotidiani a puntate: il cineasta era Walt Disney, il personaggio si chiamava Mickey Mouse (ribattezzato da noi Topolino). Era un topo, la sua fidanzata una topina, i suoi amici un cane, un cavallo e una mucca, ma « antropomorfizzati », cioè disegnati e fatti agire come se fossero uomini in un mondo che, in tutto e per tutto, era il mondo degli uomini.
Non si trattava, è vero, di cosa compleÂtamente nuova, giacché dal 1910 un altro topo, Ignatz, era, nelle strisce dei quotidiani, apprezzato co-protagonista di Krazy Kat, al cui stile grafico, del resto, si ispirava in parte il primissimo Topolino (si deve ricordare anche Felix the Cat, o Mio Mao, creato nel 1923 da Pat Sullivan). Ma è certo che, grazie all’immediata e vastissima popolarità mondiale raggiunta dal sorcio disneyano, il filone dell’avventura affidata ad animali cresce e si sviluppa.
Nel giro di un solo anno perciò, e preÂcisamente dal 7 gennaio 1929 al 1° genÂnaio 1930, i fumetti americani avevano mutato volto, impostando tutte quelle caratteristiche che li avrebbero contradÂdistinti negli anni avvenire. L’America, intanto, stava cambiando raÂpidamente. Nel novembre del 1929 il crollo della Borsa di New York spazzaÂva via di colpo, in un turbine di aria gelida, l’ottimismo degli « anni folli », dei roaring twenties, dell’età del jazz cantata da Francis Scott Fitzgerald. In precedenza, la nazione americana si era cullata nella sicurezza di un eterno miracolo economico e aveva eletto preÂsidente Herbert Clark Hoover, per quel suo motto proverbiale: « La prosperità è all’angolo della strada ». Era stato un decennio di allegra e inÂsensata spensieratezza. La ricca borÂghesia delle metropoli si era abbandoÂnata al piacere di vivere: anche chi ricco non era si illudeva che la fortuna fosse sempre dietro l’angolo e che baÂstasse agguantarla. Se un governo puÂritano riteneva semplicisticamente che per reprimere l’alcoolismo bastasse proiÂbire di bere, gli americani scoprivano il gusto eccitante del proibito, facenÂdosi servire il whisky in tazze da caffè destinate a ingannare l’eventuale poliÂziotto in borghese del tavolino accanto. Dai bordelli di New Orleans alle taverne delle periferie cittadine, il jazz accostava alla borghesia bianca quel che sembrava un allucinato folklore ed era invece il primo atto di una seria protesta sociale. E poi c’era l’Europa, scoperta dai raÂgazzi che, nel 1917, erano andati a comÂbattere la prima guerra mondiale e che ora, con qualche anno in più, vi tornaÂvano per eternare una scapigliatura o per godere le favolose « notti » di MonÂtecarlo o di Parigi.
Dopo, però, venne il diluvio. La classe operaia pagò l’eccessivo ottimismo deÂgli « anni folli » con i dodici milioni di disoccupati del 1933, mentre la borÂghesia assisteva spaventata al fallimenÂto e in parecchi casi al suicidio di po-tentissimi capitani d’industria. Non era più tempo di ridere. Ci si accorgeva, per esempio, che il pedaggio pagato al piacere di bere durante il proibizioÂnismo era stato il gonfiarsi, come un cancro inarrestabile, del fenomeno dei gangsters, spesso arbitri di intere città e corruttori dei poteri civili. Sarà dunque un caso se un fenomeno di incidenza eccezionale – fra le coÂmunicazioni di massa – come i fumetti si trasformerà così radicalmente proÂprio negli anni della svolta sociale del Paese, mentre dalla crisi economica sorge a fatica una nuova speranza, il New Deal rooseveltiano. L’avventura indica certo un desiderio di evasione, ma anche di eroi positivi, di miti a cui guardare per farsi coraggio nella vita di tutti i giorni, di modelli ai quali ispirarsi per la propria condotta quotidiana. E insieme, l’avventura è libeÂrazione dagli incubi, certezza che se Flash Gordon riesce da solo ad avere ragione di Ming, il bieco e crudele imÂperatore del pianeta Mongo, se Tarzan o The Phantom (l’Uomo Mascherato) sanÂno dominare le insidie della giungla e gli intrighi dei cattivi uomini bianchi che corrompono i nativi dell’Africa o del BenÂgala, tanto più il cittadino Smith del Missouri o del Kentucky, della California o del New Jersey saprà cavarsi d’impacÂcio dalle proprie e più modeste diffiÂcoltà .
Un decennio dopo, nel 1939, quando HiÂtler sembrava inarrestabile in Europa e l’America scivolava dentro la seconda guerra mondiale, gli eroi dell’avventura non sarebbero più bastati. Contro il moÂstro nazista che si dilatava, la sicurezza collettiva e l’inconscio di un popolo reÂclamavano qualcosa di più di un uomo: nasceranno allora, nei fumetti, i super-eroi dotati di fantastici poteri, i SuperÂman e i Batman, Gli eroi dei fumetti degli anni trenta, invece, costituiscono un impasto di realtà e di fantasia. A volte stupisce oggi, nel lettore del setÂtanta, l’aderenza a una realtà sperimenÂtata o plausibile anche nelle storie di più sfrenata, in apparenza, immaginazioÂne. Prendiamo Flash Gordon. Il giovane sportivo catapultato dalla sorte su piaÂneti e galassie lontani, si imbatte a ogni pie’ sospinto con travestimenti spesso ingenui di personaggi, ambienti, situaÂzione della Terra. Alex Raymond non. va oltre il « cattivo » dal nome e dal coÂlore di pelle gialla, secondo una mitoÂlogia allora imperante nella letteratura popolare per cui il cattivo era sempre un subdolo orientale; e le donne sono repliche delle fatali e delle divine degli appena terminati anni venti, da condanÂnare e sconfiggere come la follia dì quell’età appena morta; e i costumi vaÂriano dal Medio Evo al Rinascimento, con la sola contraddizione che chi li indossa impugna anche futuristiche arÂmi spaziali. Insomma, i fumetti, risponÂdendo alla domanda del cittadino meÂdio del tempo, non scavalcano mai di troppo l’esperienza reale. La spinta nuova, più legata al senso delÂla comunità e diretta alle grandi riforÂme civili, che Roosevelt avrebbe impresÂso alla società del suo Paese, non taÂgliava del tutto i ponti con la tradizione. Come avrebbe fatto in futuro anche John F. Kennedy, Roosevelt contrappoÂneva sì un’America da costruire all’AmeÂrica in crisi del capitalismo sfrenato ottocentesco, ma appellandosi sempre alÂla molla individuale e alla capacità di contributo originale della persona sinÂgola. Era il cittadino qualunque che, nelÂla metropoli, doveva avere il coraggio di denunciare i profittatori, di lottare contro i gangsters, di liberarsi degli amÂministratori corrotti. Era il cittadino anoÂnimo, l’uomo che viveva modestamente del proprio lavoro, che doveva farsi asÂse portante del New Deal. E si capisce allora il ruolo dell’avventura senza suÂper-eroi, dove il protagonista compie imÂprese leggendarie, partendo però da origini e da poteri assolutamente comuÂni. (Anche se l’Uomo Mascherato agÂgiunge alla figura dell’eroe una calzaÂmaglia e una mascherina sul volto, in seguito imitatissimi, quando c’è da lotÂtare rischia la pelle senza infingimenti, senza l’aiuto di forze soprannaturali o di armi ultrapotenti. Anche Mandrake, il mago, si serve dell’ipnotismo con giuÂdizio senza che mai questa dote lo renÂda un personaggio al di sopra dei suoi simili, nei momenti decisivi). L’avventura spinge il cittadino ad avere fiducia in se stesso; l’evasione apparenÂte – o parziale – subito si muta in inÂcitamento a essere uomini. Nello spirito del New Deal c’è anche la rivalutazione dell’altra America, quella lontana da New York e dai grattacieli, l’America agricola e patriarcale, il monÂdo contadino. In questa direzione di inÂteressi, i fumetti sono anticipatori. ToÂpolino, che in seguito vedremo catapulÂtato, col deterioramento dell’inventiva iniziale, addirittura in altri pianeti, è il 1° gennaio 1930 — suo anno di nascita sui giornali (e lo era analogamente nel 1927, quando era comparso sullo scherÂmo) – un eroe domestico, un piccolo, qualunque ragazzo di campagna, che nei momenti liberi, sdraiato sul fieno, sogna, sfogliando un giornale illustrato, di emulare il mito del giorno, il trasvoÂlatore atlantico Charles Lindbergh. La sua prima avventura, nata da quel soÂgno, parte nei campi, fra galline e maiaÂli, e si sviluppa seguendo il volo scomÂbinato di un aeroplano da burla, fabbriÂcato in casa con quattro assi di legno. Anche dopo, per molto tempo, l’ambienÂte di Topolino rimarrà quello della picÂcola provincia e la sua condizione quella di un ragazzo modesto, senza molti soldi in tasca e capace di far ogni geÂnere di lavoro. I suoi avversari saranno una parata tipica di tutto ciò che RooÂsevelt invitava a eliminare: bootleggers, sindaci venduti ai gangsters, speculatoÂri, allibratori clandestini, in un contesto sociale sempre individuabile, preciso, non evasivo.
Topolino segna anche il punto di conÂgiunzione fra i fumetti rigorosamente e soltanto comici di una volta e il nuovo gusto dell’avventura che si andava proÂponendo. Benché le storie abbiano un respiro ampio, Walt Disney bada a che ognuna delle strisce quotidiane risolva in sé un episodio fondato su una troÂvata umoristica, in modo da soddisfare anche il lettore occasionale. E la spinta all’avventura sarà tanto forte che perfino Popeye (Braccio di Ferro), sorto nel 1929 come striscia tipicamente comica, si dilaterà in seguito a vicende le quali, senza perdere i connotati umoristici (coÂme invece farà talora Topolino), pog-gieranno su una struttura avventurosa, È da dire infine dello stile grafico, di come questi documenti di un’epoca si presentano da un punto di vista propriaÂmente figurativo. Qui una differenza fonÂdamentale corre fra le strisce quotidiane e le tavole domenicali. È una queÂstione di ritmo e di formato, che incide in misura notevole sulla forma. Le strisce, composte di solito di quattro o cinque vignette, sono brevi puntate, che devono far progredire l’azione in poco spazio e dunque tenersi all’essenziale. Il formato di ciascuna vignetta è, per forza di cose, limitato. Prevarranno perÂciò le persone sugli ambienti, ristretti a poche indicazioni necessarie. La raÂpida successione consentirà ad alcuni disegnatori di mutare le vignette in sorÂta di fotogrammi di film, creando uno scattante senso di movimento (lo si vede in particolare in Topolino). Possiamo dire, senza generalizzare troppo, che il linguaggio visivo delle strisce quotiÂdiane avventurose è più prossimo a quello del cinema, reggendosi sull’azioÂne dinamica. Al contrario, le tavole doÂmenicali, non potendo rinviare il seguito al giorno dopo, debbono ospitare più disegni e fornire una materia ogni volta abbastanza ampia e compiuta. Disposte spesso su due strisce di grande formato o su porzioni di pagina, possono gioÂcare su diverse dimensioni di ciascuna vignetta e spesso aiutarsi col colore. Le tavole domenicali si orientano verso l’illustrazione e sono più statiche di quelle quotidiane; il disegnatore, che ha lavorato con schizzi veloci e sinteÂtici per sei giorni, nelle autonome storie domenicali cura maggiormente il rapÂporto fra personaggio e ambiente. Ne può nascere un rischio di decorativismo, come è il caso dei pur eleganti disegni di Alex Raymond, dal gusto mutato dal-l’art nouveau: in essi il dispiegarsi della linea di un albero nella foresta o delÂl’abito di una signora può costituire un gioco figurale perfetto in sé e piacevole a vedersi ma che svuota un poco l’azioÂne della sua forza drammatica. La presente raccolta intende presenÂtare in modo equilibrato personaggi, stili e tipi di fumetti diversi. Vi sono striÂsce quotidiane e tavole domenicali, viÂcende avventurose tradizionali ambienÂtate nella giungla (Jim della Giungla, Tarzan, Cino e Franco) e fantascientifiche (Flash Gordon), personaggi un po’ fantastici (Uomo Mascherato, Mandrake), ma in contesti reali e personaggi plauÂsibili ma deformati in senso satirico (Topolino e Braccio di Ferro). Di queÂsti eroi soltanto uno, Jim della Giungla, ha cessato le pubblicazioni; tutti gli alÂtri, trasformati e aggiornati quanto si vuole, resistono malgrado abbiano sulÂle spalle fra i trenta e i quaranta anni di servizio. Una prova di più della forza della letteratura popolare che nasce da un gusto ma sa resistere al tramonto di quel gusto.
Senza dubbio i fumetti, nati da serie determinazioni industriali, subiscono inÂflussi e condizionamenti commerciali che rendono assai difficile la creatività dell’artista anche autentico. Ma, come per il cinema, è interessante vedere come molti di questi artisti siano riuÂsciti, a prezzo di battaglie, a farsi valere e a non irreggimentarsi. Burne Hogarth, secondo dei numerosi disegnatori di Tarzan, del quale vediamo una storia, dispiega una energia plastica nei corÂpi frutto di una notevole sensibilità figuÂrativa (egli pubblicò anche un trattato di disegno anatomico). Alex Raymond, che fu anche pittore per conto suo, è migliore, a quanto sappiamo, nei fumetti che non nei quadri che fece: di genere e convenzionali quelli, quanto questi riscattano la convenzionalità nell’eleÂganza di cui si è detto. Innegabile, poi, la freschezza satirica di « Walt Disney » (virgolette che stanno a indicare come sotto la firma vadano viste altre mani, quelle di Ub Iwerks, impostatore e coorÂdinatore, e di Floyd Gottfredson, diseÂgnatore), spesso acutamente pungente; mentre Elzie Crisler Segar, autore di Braccio di Ferro, ha le qualità grafiche secche e corrosive dei grandi disegnaÂtori umoristici dei giornali americani. Stanno invece maggiormente nella norÂma del buon artigianato Lyman Young (Cino e Franco), Ray Moore (Uomo MaÂscherato) e Phil Davis (Mandrake). Ma di quest’ultimo il lettore giovane potrà riscoprire in questa raccolta dedicata ai « magnifici eroi » dell’avventura a fuÂmetti la poco nota attività di disegnatore di tavole domenicali, molto superiori per finezza alle strisce quotidiane. Come nel cinema di Hollywood, gli anni trenta sono stati per i fumetti la grande stagione dell’avventura pura: un eroe, Tarzan, fu non a caso comune all’uno e agli altri nel godere il massimo favore del pubblico nel medesimo giro di anni. Abbiamo cercato di vedere il perché di tale fioritura avventurosa. E il lettore, se vuol gustare appieno queste vecchie storie, dovrà sempre riÂcordarsi l’epoca, la società , il gusto dalle quali sono nate.
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