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FUMETTI: Robin Malone9 Febbraio 2012
[da:”Enciclopedia dei fumetti” a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970] L’AUTORE BOB LUBBERS. È nato una quarantina d’anni orsono a Brooklyn (New York), ma ha vissuto e vive soprattutto a Manhasset. Ha iniziato a lavorare nei comics quando era allievo della New York Art Students League. Finita la guerra, ha ripreso l’attività di cartoonist dedicandosi al cinema d’animazione con un proprio studio; è stato art director di un’importante casa editrice e ha firmato per qualche tempo (con lo pseudonimo di Bob Lewis) le storie dell’Agente Segreto X-9 (alias Phil Corrigan) e di Tarzan. Se non fosse stato — a quanto si dice — un disegnatore ombra del maestro Caniff, verrebbe da pensare che la magistrale tavola introdut-tiva di Robin l’abbia carpita al grande Milton. La sicurezza del taglio, la forza dell’impatto, la concisione, l’eleganza e l’astuzia con cui vengono introdotti personaggi e ambienti, non può, infatti, non suggerire un’immediata collazione con la ormai famosa prima tavola delle avventure di Steve Canyon. Il suggerimento non proviene tanto dagli elementi visuali (pur se il mestiere di Lubbers si dimostra affinato al massimo), quanto da quelli — più sottili — di una prevaricante astuta azione persuasiva. Il primo capitolo di Robin Malone si presenta infatti come un modello di messaggio politico affidato alle immagini. Volto a celebrare i fasti dell’establishment e, ovviamente, i suoi propositi benefico-umanitari, Lubbers stabilisce e distribuisce con innegabile strategia i caposaldi della sua non avventata campagna promozionale. Il quadro di Manhattan e della sua eliti-stica popolazione è schizzato con mitica fermezza, facendo proprie tutte le componenti che possono funzionare da valida cinghia di trasmissione. Il fascino femminile (Robin), l’esotismo (il setting delle profilate avventure della giovane ereditiera), l’umanitarismo (le « opere buone » del neocapitalismo), lo spirito democratico (i rapporti cordiali stabiliti allo start tra padroni e dipendenti), l’efficientismo (il profilo di Mike così affettuosamente tratteggiato seppure in secondo piano), la cordialità (Maggie è una « grassona » indiscutibilmente gioviale), l’attualità (l’oggi della great society proiettata verso la «nuova frontiera»), si frammischiano con furbo e accattivante dosaggio. E nemmeno manca la nota « favolistica » dell’animale protagonista alla pari: il Brandy erede di Harvey e progenitore di Geremia. Restano i partners dell’eroina. Personaggi al massimo intercambiabili (un dottore piuttosto- che un cacciatore, un geologo o uno sportivo), essi assolvono a un preciso immutabile compito di quinta: il segno che li definisce, così anonimo nella sua derivazione consumistica (potrebbero propagandare deodoranti, « linee » di cosmesi, abiti o Miure), è già una prigione priva di uscite. Sono coscienti di essere destinati alla mantide Robin. IL PERSONAGGIO ROBIN MALONE – Che Bob Lubbers abbia chiaro in capo il tipo di messaggio che intende trasmettere con questo personaggio femminile lo si intuisce senza possibili riserve il 19 marzo 1967, quando appare la prima puntata. La tavola d’apertura, una « domenicale » formata di sei inquadrature, è composta con estrema scaltrezza: due immagini panoramiche, occupanti per intero le prime due strisce, tengono metà della pagina; l’altra metà, spezzata in quattro parti simmetricamente disposte, è collegata alla superiore attraverso le gambe affusolate di Robin che « penetrano » nell’ambiente del suo ufficio di manager industriale. L’eroina, pertanto, si piazza al centro della composizione, ma essa non è soltanto il punto focale di una presentazione che deve introdurre e raccogliere i diversi eroi della vicenda. Il suo compito primario, piuttosto, è quello di convogliare l’attenzione del lettore sulle peculiari caratteristiche della storia, giacché la protagonista, non per caso, emergerà come interprete « vera e propria » solamente nella vignetta finale, come adeguato e rilucente sigillo. Poiché gli elementi attorno ai quali ruoteranno le imprese di questa giovane vedova, spinta all’avventura dall’esclusivo desiderio di non tradire il ricordo dell’efficientissimo consorte, sono così nettamente definite all’esordio, vale analizzare la, mossa iniziale di Lubbers nelle singole componenti, che nessuna sorpresa si verificherà in seguito a sommuovere le premesse. La prima striscia, che ingloba anche il titolo del comic (la «R» dell’iniziale è disegnato dall’autore in morbida forma di uccellino: robin = pettirosso), si apre con il muso autoritario di una Rolls Royce. Il corredo della vettura (trombe, fanali, retrovisore, vittoria alata e targhe di vari autoclubs) è tale da confermare la sua presenza non casuale: è la macchina di gente solida, il simbolo di una potente dinastia. Nel centro dell’inquadratura, parzialmente coperte da uno degli imponenti parafanghi, due figure: l’autista-maggiordomo Aubrey e un’anziana signora. Il loro minimo dialogo trasmette precise informazioni: Aubrey, ricalcato sulla traccia di un impettito e irreprensibile Jeeves, è da quattro anni al servizio dei Malone, tiene un rispettoso distacco (si rivolge alla padrona con il « voi »), ma è uno di loro. Lei, portamento eretto, profilo volitivo, molto racée, lo invita a una maggiore confidenza (« chiamatemi miss Maggie »), negandosi forme aristocratiche che sicuramente non le appartengono. È chiaro che è arrivata dal basso, lungo quell’iter pionieristico che è alla base delle avventurose grandi fortune americane. Sullo sfondo, infine, a chiudere il quadro, l’ingresso di una residenza vetro-acciaio, tipica di una gigantesca enterprise radicata a Manhattan. Il portiere, scattato sull’attenti, saluta militarmente la donna. La seconda striscia, introdotta da una composizione che allude all’universo industriale in cui si sta per penetrare (in poco spazio vi si affiancano una centrale elettrica, un gigantesco paraboloide, una torre di raffinazione, un aereo razzo, una stazione spaziale e una centrale termonucleare), diagramma la settimana-tipo di Robin: lunedì a Londra (ispezione ai lanifici Malone e, nel pomeriggio, ricevimento a Buckingham Palace), martedì a Roma (visita all’Opera), mercoledì in Africa (sopralluogo alle miniere), giovedì a Delhi (inaugurazione di un nuovo orfanotrofio della Fondazione Malone)… La « fiaba manageriale » di Robin è quindi scontornata con puntualità aggressivamente romantica. Neppure un elemento del rituale « rosa » viene trascurato da Bob Lubbers: tra sorrisi di bimbi, caschi coloniali, divise sgargianti e uniformi pesanti di medaglie, vi introduce anche un cane San Bernardo (chi sia e quale ruolo gli competa lo si scoprirà più avanti). Miss Maggie, intanto, è giunta (al terzo quadretto) nel cuore dell’azienda. Calvin, un segretario desunto dalla tipologia pubblicitaria del funzionario con responsabilità, circondato da una scenografia d’obbligo (telefoni, visori, segretarie, dittafoni, centralini e opportuno terminale da Wall Street), la informa delle difficoltà di poter rintracciare — su due piedi — l’instancabile Robin. L’attesa, tuttavia, non è casuale, che Lubbers, mentre l’organizzazione si mette in moto per stabilire un contato con la giovane donna d’affari, la utilizza per porre Maggie in primo piano, consentendo una precisa messa a fuoco dei particolari che potevano essere risultati sfuocati nelle precedenti inquadrature. Il suo viso — pur se i ritocchi estetici s’oppongono all’anagrafe — denuncia un’età non più verde, il naso è adunco, l’occhio leggermente socchiuso, ma il ritratto — nell’insieme — corrobora il profilo di una « signora » tipicamente americana, ritagliata nella tradizione della commedia hollywoodiana. Un personaggio, insomma, che ispira fiducia e cordialità, che esprime decisione e voglia di vivere. Questo quarto quadretto — un saggio esemplare di conservazione — si sublima con la serie di fotografie che stanno dinanzi a Maggie. Sono di Mike, il suo figliolo defunto, marito di Robin. È l’album-memoriale di ogni grande famiglia americana: Mike al timone di un cutter, Mike in tight il giorno delle nozze, Mike alla cloche del suo executive a reazione. Un harvardiano, senz’altro, e — per immediata collazione — un kennediano. Il commento di Maggie, raffrontando lo spirito imprenditoriale del suo ragazzo con quello assunto in proprio dalla nuora, suona come un’orazione: « È il modo di fare stabilito da Mike quando era vivo, nel costruire il suo impero… usando gli utili per opere buone in tutto il mondo. Adesso le redini sono solo due e lei va al galoppo! ». Lubbers annoda qui le linee di forza del suo racconto: la tradizionale solidità dell’istituto familiare, i meriti « sociali » dell’industria privata, i valori morali che guidano i quarantenni al vertice dell’America degli anni sessanta, la sicurezza il fascino la sportività la pulizia del self-made-man. Calvin, frattanto, è riuscito a raggiungere l’eroina. Eccola, dunque, splendere nell’ultimo quadretto. Sullo sfondo di un aeroporto — che una figura in secondo piano colloca inequivocabilmente in territori « esotici » — Robin si presenta senza mezzi termini: «Sto decollando, Maggie. Brandy e io stiamo terminando un progetto che sarebbe piaciuto a Mike. Se l’abbandonassi adesso sarebbe come abbandonare lui. Ma torno appena posso ». Un’introduzione siffatta, essenziale e stimolante, risulta scaltramente millimetrata nella sua efficacia d’impatto: per il tipo di comunicazione che sta per iniziare e, di conseguenza, per la fascia di pubblico cui essa intende rivolgersi. Robin, con un deciso aspetto da pin-up, è una Vip senza le smancerie della jet-society (ha appena rinunciato all’invito della suocera per « un piccolo party organizzato in onore del simpatico senatore Gray »), una anti-Jacqueline, fedele — anche con l’azione — al ricordo del compagno scomparso. Una donna esemplare, in altri termini, una delle poche da meritare il ritratto sulle colonnine del Reader’s Digest. A questo punto è superfluo aggiungere quali possano essere i traguardi e i propositi della storia (mandata avanti con strisce giornaliere e tavole domenicali): mistificazione, immobilismo, retorica, perbenismo vi si sommano con perentoria evidenza. Soltanto un lettore in tutto condizionato e alienato può subirne il plagio: Robin Malone è la storia esemplare per le pagine del Wall Street Journal. Letto 5799 volte.
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