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Fumetti: Tarzan23 Aprile 2012
[da: “Enciclopedia dei fumetti”, a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970] L’AUTORE BURNE HOGARTH – Che un professore di storia dell’arte disegni o abbia disegnato fumetti, è fatto abbastanza raro e probabilmente poco gradito ai cartoonists di professione, solitamente privi di illustri titoli accademici. Si può forse spiegare così la scarsa popolarità, quasi l’ostile diffidenza, che per parecchi anni ha circondato Burne Hogarth, riconosciuto oggi il migliore autore delle strisce di Tarzan. La riscoperta della sua opera, cominciata in America è poi fervidamente continuata nella terra di Francia, dove Claude Moliterni ha curato nel 1968 un’ottima antologia con un’acuta introduzione critica e le storie più belle e celebrate. Così Hogarth, ora che raggiunta una venerabile età, preferisce dedicarsi a più serie attività, raccoglie le lodi del suo passato lavoro. Anche Burne Hogarth appartiene alla generazione gloriosa maturata in America fra gli anni venti e trenta. La sua esistenza è però poco avventurosa, almeno rispetto alla movimentata carriera di parecchi suoi colleghi e coevi. A differenza di un Disney o di un Segar, Hogarth non fa mille mestieri aspettando la bella fortuna, ma studia diligentemente le scienze e materie utili a formare un bravo intellettuale. Certo il disegno l’attrae subito, specialmente per la possibilità di imitazione e riproduzione del corpo umano. I suoi biografi (pochi) narrano che Hogarth, ancora in età adolescenziale, passava giornate intere chino sui libri di anatomia. Di tanto studio, coscienzioso e amorevole, è rimasta chiara traccia nei suoi fumetti e una testimonianza diretta in un suo trattato — giudicato ottimo dagli esperti — di disegno anatomico. Il fumetto è l’altra passione forte e irresistibile. A diciotto anni la prima strip, naturalmente sfortunata: ne è rimasto soltanto il titolo Ivy Hem-manhaw. L’insuccesso spinge Hogarth a cercare altre forme di lavoro e di sostentamento: per / qualche tempo passa al disegno pubblicitario. L’occasione allettante di ritornare all’attività preferita gli si offre nel 1937 con la proposta di continuare le storie di Tarzan, trasportate per la prima volta nei giornali dal romantico languido Harold Foster nel 1929. Accostandosi a Tarzan, Hogarth non si limitò a ripetere i modi e gli stili dei predecessori, portando al contrario forti innovazioni nel disegno e nelle componenti caratteriologiche dell’eroe. Nonostante il successo ottenuto dalla strip, Burne Hogarth, confermando una personalità per niente facile e accomodante, preferì desistere: la creazione rischiava di diventare routine e ripetizione, meglio dunque abbandonare. Le ultime tavole di Tarzan le disegna nel 1939. Poi un silenzio abbastanza lungo, in attesa del nuovo personaggio, il giovane gaucho Drago, apparso per la prima volta l’8 novembre 1945. Secondo Carlo Della Corte, che ha presentato una recente riedizione italiana della striscia, Drago è in tutti i sensi il fratello minore di Tarzan. Anche il suo mondo, nonostante l’apparenza, è selvaggio e primitivo; anche le sue avventure disprezzano allegramente l’esattezza storica; e anche il suo temperamento è tenebroso eppure illuminato da violenti scatti d’ira o d’amore. E Drago, proprio come il più autorevole fratello, annoia presto il suo creatore che nel 1947 l’ha già abbandonato, per tentare un diverso esperimento, un fumetto satirico, Johnny Mira-cles, che però ha vita breve, avendo incontrato una simpatia molto scarsa nel pubblico. Così Hogarth esce dal cosmo degli « eroi di carta » in punta di piedi. La passione per il disegno si porta in sfere più pure ed elevate. Il secondo papà di Tarzan ottiene una cattedra in una delle più grandi accademie d’arte d’America, la Visual Schoolof Arts di New York. Arrivato al fumetto in maniera differente dagli altri, diversamente Burne Hogarth se ne è distaccato: è uno dei pochissimi infatti a essersi liberato dalla condanna a vita della strip giornaliera per la conquista del pane quotidiano. IL PERSONAGGIO TARZAN – Fra tutti i miti intrepidi e avventurosi sorti in questo ventesimo secolo per alleviare le pene del pavido uomo qualunque, schiacciato nella giungla di cemento dalla banalità di una ovattata schiavitù, Tarzan è certamente uno dei più vitali e resistenti. Superando le mille difficoltà della sua giungla vera, Tarzan permette di bene sperare e dolcemente cullare illusioni sulla forza dell’uomo, o almeno dell’uomo primitivo. Da qui nasce la sua fortuna, provata già dalla triplice e longeva esistenza nella letteratura, nel cinema e infine nel fumetto. Tarzan — che in realtà è figlio di una coppia di autentici nobili inglesi, Lord e Lady Greystocke, naufragati sulla costa africana e morti lei di parto e lui ucciso dalle scimmie — viene allevato da Kala, una gigantesca femmina gorilla che, afflitta dalla morte del suo piccolo, lo adotta. Cresciuto in piena libertà, a contatto con pantere ed elefanti, dei quali è diventato amico, e dotato di una agilità felina, salta da liana a Nana, compiendo acrobatici balzi, e lotta contro tribù di selvaggi e razzisti bianchi. L’inizio è con il libro. Edgar Rice Burroughs, impavido pioniere dell’ovest selvaggio, combattente nell’eroico 7° cavalleria, in vecchiaia si riposò abbandonandosi alla fantasia eccitata da tante avventure vissute. Nacque così nel 1914 il personaggio Tarzan, signore bianco della foresta, re buono ma energico dei suoi sudditi, siano essi animali o selvaggi. Tarzan of the Apes (Tarzan delle scimmie) è il titolo del romanzo, primo di una serie continuata con crescente fortuna. E già nel 1918 il cinema gettò i suoi avidi occhi sull’allettante personaggio: l’attore scelto per impersonarlo si chiamava Elmo Lincoln; dopo di lui sono venuti parecchi altri, fra cui i più noti sono il nuotatore olimpionico Johnny Weissmuller e l’aitante Lex Barker. Il fumetto arrivò con un po’ di ritardo (la prima striscia apparve il 7 gennaio 1929): Harold Foster, a cui fu affidato inizialmente l’incarico, adeguò il biondo selvatico al suo tenue temperamento, addolcendo gli intrecci di Burroughs con tavole rasserenate e zuccherose, portando spesso l’eroe fuori dalla foresta micidiale, magari ponendogli accanto i suoi amatis-simi vichinghi, protagonisti poi della saga del Principe Valiant. Foster è rimasto per un pezzo il disegnatore più celebre di Tarzan, proprio per il riflesso della fama conquistata con Valentino, cavaliere di re Artù. Ma la cosa è senz’altro ingiusta perché il suo Tarzan è troppo statico e inerte, quasi devitalizzato. Più polpa e sangue portò Burne Hogarth, indubbiamente il miglior illustratore delle avvincenti avventure dell’uomo-scimmia. Dietro la perfezione anatomica del disegno, troviamo infatti idee e intuizioni nuove. Apparentemente il Tarzan di Hogarth è un muscolare di poco ingegno, affidato e fiducioso soltanto dell’energia delle braccia possenti, con cui strangola negri cattivi e fieri leoni. Ma leggendo le storie troviamo pieghe e aspetti non attesi nella sua personalità. Il Tarzan di Hogarth è capace di pensare, riflettere e ragionare; non è il primitivo che parla all’infinito («Voi dormire, io fare guardia », e così via) e neppure il candido eroe di Foster. I crucci e gli impeti d’odio acquistano in lui oscuri e minacciosi aspetti. Ha scritto bene un sensibile studioso del fumetto, Francis Lacassin, seguendo un’acuta linea interpretativa ripresa anche da Carlo Della Corte, che Hogarth ha portato nella creatura di Burroughs elementi demoniaci. L’evidente realismo e il perfezionismo fisiologico delle immagini non celano l’ambivalenza interiore del personaggio: «Talvolta pareva perfino che reprimesse a stento un attacco di licantropia ». Dal singolare contrasto fra il naturalismo figurativo e l’intima nevrastenia scaturisce il fascino del Tarzan di Hogarth, inferiore però al modello letterario, in quanto a capacità di suggestione e di eccitazione fantastica. Dopo Hogarth comunque il Tarzan-fumetto è indubbiamente decaduto, passato di mano in mano attraverso i decenni e continuato ancora oggi con mediocri risultati. Infatti come nel cinema, dove attori di diverso talento si sono avvicendati nell’interpretare il ruolo di questo « magnifico » re della foresta, anche nei fumetti si è avuta una successione di più o meno abili disegnatori: Rex Maxon, Dan Barry, Bob Lubbers, Rubimor (Ruben Moreyra), Joe Celardo, Russ Manning e altri. La fortuna di Tarzan non va però misurata guardando soltanto alle strips che lo riguardano direttamente. La sua influenza fra imitatori e nipoti di ogni genere e specie, è stata infatti enorme. A parte gli echi più lontani, parecchio ha indubbiamente preso da lui l’Uomo Mascherato; sostenitore satirico della medesima esigenza di libertà è il cavernicolo Alley Oop del bravissimo Vincent T. Hamlin; né sono mancate varianti sessuate, nel cinema e nel fumetto, con le varie Tarzanelle e Pantere Bionde, in cui i richiami erotici delle dolci nudità esposte accentuavano in fondo la più velata sensualità dell’eroe dall’eccezionale muscolatura. In Italia il Tarzan a fumetti, che esordì nel 1937 sul settimanale « L’Audace », ha conosciuto sempre una scarsa fortuna. Letto 3168 volte.
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