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Fumetti: The Newlyweds – Arcibaldo e Petronilla1 Settembre 2013
Oreste Del Buono L’AUTORE GEORGE McMANUS – Tra le fotografie di questo cartoonist la più singolare lo riproduce nei panni di Arcibalda: la somiglianza è quasi perfetta e negli occhi si intravvede quella sorniona ironia che ha animato le ribellioni del suo eroe ingabbiato per necessità in cilindro e marsina. Nato a Saint-Louis (Missouri) nel 1882, l’artista si forma sulle pagine del quotidiano locale, The Republic, per il quale crea nel 1900 il suo primo comic: quello di Alma e Oliver. Se la mano non è ancora sicura, l’humour già riflette una indubitabile vena personale. Trasferitosi a New York, viene assunto dal quotidiano The World, dove gli affidano alcune pagine di Funny Side, il supplemento riservato ai fumetti. McMa-nus ha così occasione di lanciare i suoi primi eroi: Snoozer, Merry Marcelene e Panhandle Rete. È questo il momento più interessante della sua formazione: le tavole rivelano uno stile incisivo e una capacità satirica del tutto insolita. Con la serie Let George Do It la sua maturazione è un fatto compiuto e The Newlyweds (1906) lo conferma tra i migliori artisti del genere. Il successo non consiglia tuttavia l’editore Joseph Pulitzer a stringere maggiormente i rapporti con lui. Cosicché McManus, nel 1912, passa all’American Journal di William Randolph Hearst per il quale crea Their Only Child. L’anno seguente, dopo uno studio portato avanti per parecchio tempo, avvia la serie di Bringing Up Father. Dello stesso periodo è la tavola intitolata Rosie’s Beau, legata anch’essa al costume yankee, che vivrà fino al 1945, seppure in posizione secondaria. Alla sua morte, nel 1954, l’eredità di Arcibaldo e Petronilla passa a una équipe di disegnatori di cui hanno fatto parte Zeke Zekley, Bill Kavanagh, Frank Fletcher, Vernon Greene e altri. I PERSONAGGI THE NEWLYWEDS – Quella dei Newlyweds (ossia degli « sposati di fresco ») è una coppia non di ascendenze plebee, ma agiata, che si innesta a perfezione nello spaccato dei quartieri suburbani, tra villette linde e prati pettinati, con gente che veste senza economia e si comporta in maniera irreprensibile. La caratterizzazione dei protagonisti non trascura particolari e sottolineature che possono, con vantaggio, fornire un’attendibile immagine del loro mondo: un « lui » (dad) bruttino e debole, azzimato e succube, una « lei » (mom) vanitosa e sempre elegantissima, con un contorno di parenti e amici che perpetuano i modelli elargiti dalle riviste patinate. , II centro delle tavole è Napoleon (il nostro Cirillino), un bimbetta ancora incerto sulle gambe, che esplode con irrefrenabile vitalità in continui turbamenti e capricci. Forte della sua privilegiata condizione di primo nato, di creatura a buon diritto coccolata e soddisfatta in ogni più assurda manifestazione, Napoleon stringe d’assedio genitori e parenti con assoluta perseveranza. E tutti si prodigano ai suoi piedi, accettandone l’imprevedibile umore e le prevedibilissime bizzarrie: un solo capello in testa e un solo dente in bocca sono sufficienti all’infante terribile per assumere quell’aria di padrone dispotico che McManus gli assegna, di tavola in tavola, con la sua implacabile matita. E nessuno pare accorgersi della sua « napoleonica » iattanza: li domina e li muove a suo piacimento con il solo ausilio di corde vocali sul filo del « bang ». L’aria pulita che si respira, gli ambienti che circondano i Newlyweds e i personaggi che li popolano prefigurano, di certo, il mondo di Arci-baldo e Petronilla, sono la prova generale di una felicissima rappresentazione che l’artista sta per mettere in scena sul vasto impiantito dei comics americani. Lo spettacolo non ha assunto i toni aspri che acquisterà in seguito, ma il polso è già sicuro nel guidare la « commedia umana » entro quei binari critici che lo interessano. La lotta quotidiana di Arcibaldo, la sua straordinaria fermezza nel non incappare nell’inghippo borghese, il suo assoluto disprezzo per la forma e le regole rappresenteranno la maturità del rifiuto, l’eversione convinta di un « moralista » moderno. ARCIBALDO E PETRONILLA (Jiggs e Maggie) – Sono i protagonisti di una vicenda familiare che si trascina da quasi sessant’anni senza varianti di risalto e senza l’intervento di nuovi ospiti. La loro storia — iniziata il 3 agosto 1913 sulle pagine dell’American Journal — ha mantenuto fisse quelle caratteristiche di struttura che l’hanno resa popolare nel volgere di poco tempo. Al massimo, si sono via via aggiornati gli ambienti e certe note di costume che possono suggerirne la collocazione cronologica. L’impianto, immutabile come in tutte le grandi saghe popolari, ha « tenuto », e non è un caso che la meccanica del racconto rispetti ancora oggi quelle regole che il suo creatore, George McManus, fissò all’esordio con precise intenzioni. A prestare fede ai ricordi di Arcibaldo, ricordi che solo eccezionalmente non gli vengono contestati dalla tirannica campagna, la coppia ebbe origini inequivocabilmente proletarie. Lui si guadagnava da vivere in una fabbrica di mattoni, lei dandosi da fare ogni giorno tra le montagne di panni sporchi di una lavanderia. Due immigrati, dunque, che tiravano avanti con poche pretese, integrati nella grande società yankee senza palesi ambizioni per i quartieri alti e per quel tanto che gli consentiva di godersi i riposi settimanali nella babele di Coney Island e di provvedere non male alle necessità di una figlia. I loro problemi, a credere ad Arcibaldo, non erano dissimili da quelli che pendevano sul capo di ogni membro della loro classe. La vita scorreva felice, tra gente semplice che si univa a loro il sabato sera per fare quattro salti e cantare vecchi motivi isolani e fra compagni di lavoro cui Arcibaldo si accompagnava (senza guai) per una partita a carte, una bevuta o una gara di biliardo. Ma quei giorni sono tramontati per sempre e non è possibile riviverli: il loro nuovo stato sociale ha posto esigenze diverse e li costringe a un tipo di rapporti di vita che, se esaltano Petronilla, avviliscono Arcibaldo. Quando McManus ce li presenta, essi hanno già abbandonato i tempi incerti e le abitudini semplici. Sono dei parvenus da manuale, che il prestigio inopinatamente raggiuntò vuole circondati di maggiordomi e cuoche, chiusi nel comfort di una villa (a più piani) dove arredi, mobili e ninnoli risultano esemplari per il gusto dell’epoca, e solitamente frequentati da nomi pomposi del fresco Gotha americano. A dire il vero, tuttavia, la sola Petronilla, caparbia arrampicatrice sociale, stima questi aspetti come insopprimi-bile scenografia della propria nuova condizione. È lei che guida, con urlacci e bastonature, il recalcitrante compagno tra il bel mondo sull’impegnativo filo aristocratico. Gli impone nuove amicizie (una galleria di figure operettistiche che McManus sottolinea con particolare gusto ironico), lo infagotta in un abbigliamento da grandi occasioni che il buon uomo depreca, gli censura ogni nostalgia per le antiche abitudini (la taverna di Dinty Moore e lo stufato di cavoli) e lo forza costantemente a « educarsi », come indica allusivamente la testata di questa cordiale e lucida contestazione a quadretti. Bringing Up Father — titolo originale delle storie di Arcibaldo e Petronilla — suona infatti in italiano come «educate il genitore», anche se di questa particolare educazione il solo apparentemente pavido Arcibaldo non vuole sentir parlare, né ne intende ragione, giacché ogni occasione gli sembra propizia per esternare, con i fatti, la sua totale disapprovazione. Clancy, Dugan, Casey e Doyle sono i suoi veri amici, gente laboriosa e rumorosa che, non avendo avuto fortuna, si è accontentata della soglia del benessere: con loro si trova a meraviglia, canta, parla, gioca, mangia quello che gli pare e, negli angusti limiti del tempo libero concessigli dalla moglie, alza il gomito. Per portarseli in casa escogita ogni trucco, per raggiungerli al club inventa funamboliche situazioni, per vivere con loro, insomma, è disposto a subire cerotti e lividi. Da irlandese purosangue, Arcibaldo non ha smesso, in tanti anni, di ostinarsi controcorrente (rispetto alle ambizioni « borghesi » della consorte), svolgendo la sua battaglia privata secondo piani strategici ingenui quanto irriducibili. La taverna di Dinty Moore è il suo paradiso sognato, il solo ambiente in cui ritrova se stesso di prima e quello di sempre, non mutato per via dei dollari guadagnati e per la raggiunta posizione. Sappiamo che lo spunto per questa interminata vicenda venne tratto da McManus da un lavoro teatrale di Billy Barry, The Rising Generation (La generazione nascente), presentato a Broad-way nel 1890. Lavorandovi sopra con intenzioni non occasionali e con un obiettivo preciso, l’artista è riuscito a dire (e a scrivere) sulla società americana degli anni dieci-venti ben più di altri agguerriti osservatori. Con l’aria di svolgere soltanto una bonaria cronaca dell’arricchita borghesia, con spunti e citazioni pungenti e puntuali, McManus ha schizzato una precisa mappa delle sue isterie e contraddizioni. Dopo aver guardato tutto un ceto senza l’accomodante miopia di altri disegnatori, l’ha fissato per quello che veramente esso ha rappresentato negli anni felici e poi duri tra le due guerre mondiali, concentrando il tiro sull’invadente matriarcato USA (quella Petronilla che è stata via via radiografata con gli aggettivi di tiranna, demoniaca, bisbetica, prepotente, dominatrice, ambiziosa, avida, manesca, terribile, velenosa, ossessiva) e sulla sconsiderata ambizione degli arrivati, con il loro alibi del malinteso prestigio del denaro. __________________________ Arcibaldo e Petronilla L’anno di nascita è il 1913. Il padre si chiama George McManus. Il suo nome in originale è Jiggs. Ma Jiggs da solo vuoi dir poco; il titolo completo della sua striscia è Jiggs and Maggie. È una striscia coniugale. Lui grassoccio, irriducibilmente portato alla cordialità, gli amiconi di trattoria, i cibi gustosi anche se un poco volgari, le bevande abbastanza spiritose, le belle donne da frequentare e quelle brutte da evitare, portato alla cordialità, appunto, come altri all’avventura. Lei più alta e certo più nervosa, a momenti allampanata, a volte, invece, in carne, comunque sempre muscolosa, con fior di energia nervosa a sostegno del temperamento tirannico. Coniugi, hanno idee diametralmente opposte sulla famiglia, e con impressionante fedeltà a se stessi le traducono in pratica. O almeno lui tenta di tradurle, e lei le traduce. Lui azzarda l’eversione, l’evasione, la ribellione, e lei soffoca tutto, se non proprio nel sangue, piuttosto di frequente nei bernoccoli. È una tiranna per nulla illuminata, che ha scoperto che la migliore giustizia è quella che un tiranno si fa con le proprie mani. La striscia è così una rissa continua: nonostante le eccessive e dolorose sconfitte, lui ci riprova puntualmente, e puntualmente lei gli rifrana addosso con parole velenose e mattarellate frementi. È talmente chiaro a chi vadano le simpatie di chi legge, naturalmente se è maschio. Se è femmina, non saprei dire. Dopotutto, è proprio da questa striscia che ho tratto da bambino la prima ipotesi sui rapporti coniugali. Attraversando l’Atlantico per approdare nel solito, favoloso Corriere dei Piccoli Jiggs e Maggie cambiarono, naturalmente, nome. Diventarono Arcibaldo e Petronilla. È da una cinquantina d’anni che i mariti italiani si sentono tanti Arcibaldi e vedono tante Pe-tronille nelle loro consorti. A torto o a ragione. Può anche darsi del tutto a torto (un minimo di prudenza è necessario per andare avanti nella vita, meglio non esagerare in temerarietà, di recente ho scoperto che la porta di questa stanza non si chiude più a chiave, sento un passo minaccioso nel corridoio), comunque, le vedono. Segno indubbio dell’efficacia della striscia di McManus, il primo a identificarsi con Arcibaldo, e a posare, per certe impressionanti fotografie, con lo stesso cilindro, lo stesso panciotto, le stesse ghette, e lo stesso sigaro, lo stesso ghigno malizioso e candido insieme. Un’efficacia addirittura esemplare. « L’essenza della comicità l’ho imparata in Arcibaldo e in Fortunello… » mi diceva l’altro giorno Federico Fellini. Si era a casa sua, a Fregene, aveva portato giù in giardino le collezioni dei vecchi Corriere dei Piccoli gelosamente conservate, apriva i grossi volumi dalle rilegature in pericolo, sfogliava le pagine qua e là sciupate, ma conservanti un poco dell’odore di carta e stampa di allora, un profumo tenace di poesia. « Ecco… » diceva, « ecco… » II povero Arcibaldo rientrava da un’evasione notturna con le scarpe in mano, i piedi sbilenchi per l’eccessiva cautela. Invisibile a lui, ma ben visibile a noi, Petronilla era in agguato dietro l’angolo con il suo manganello. La tempesta non poteva non scatenarsi. E, infatti, si scatenava. Ma Fellini non aveva neppure bisogno di sfogliare quelle pagine, ricordava episodi su episodi, la meccanica ilare e crudele della striscia: sul serio l’essenza della comicità. Era l’atto di omaggio più completo di un artista, e grande artista, di oggi a un artista di ieri. Perché di artista si deve parlare per un creatore di personaggi immortali, capaci di sopravvivergli e di sopravvivere ai suoi successori, ai continuatori della rissa tra Arcibaldo e Petronilla. E c’è stato anche il brivido della reincarnazione, l’altra sera. Fellini s’è messo a chiamare: « Arcibaldo dove sei? Arcibaldo… » Eravamo così addentro alla rievocazione che quasi mi aspettavo di vedere apparire nel prato lì davanti l’ometto saltellante e sfortunato. Invece, Arcibaldo era un cane. Un cane nero, tutto ciondoloni, languido, stremato. « Dove sei stato Arcibaldo?… » lo rimproverava Fellini. « Sempre il solito scapestrato, vero?… Vai in giro, frequenti cattive compagnie, mangi robaccia… » Arcibaldo, potenza dei nomi, ammiccava, colpevole. Doveva avere realmente esagerato. Perché è chiaro, chiarissimo, anche se, non so come mai, non del tutto esaltante: un Arcibaldo messo insieme con una Petronilla è senz’altro infelice, ma, privato di una Petronilla, è perduto. Sono troppe, infatti, le tentazioni di questo mondo per la disponibilità di un Arcibaldo qual-siasi. Stamani Fellini me l’ha confermato al telefono: Arcibaldo ha dovuto addirittura venir sottoposto a un intervento chirurgico delicato. Nella sua eccessiva libertà, si era concesso un osso in più, un osso di troppo. « Bisognerà trovargli in fretta una Petronilla… » ha detto Fellini. « Una Petronilla che lo faccia rigar diritto… » Ecco come va il mondo: Arcibaldo, in fin dei conti, è piuttosto superfluo, un genere voluttuario, mentre Petronilla è necessaria. Petronilla necessaria, già (il passo minaccioso si è fermato davanti alla porta, la maniglia gira, la voce interroga: « Cosa fai, rintanato qui?… Cosa fai con questi fumetti?… Possibile che tu non diventi mai grande, che gusto c’è a restar bambini tutta la vita?… »). Letto 4689 volte.
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