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LETTERATURA: CINEMA: Cinefilia e bulimia cinematografica (parte seconda)17 Gennaio 2009
di Francesco Improta Continuando in questa mia ricognizione mentale, ricordo di aver visto allora uno di quei film che rimangono a lungo nella mente e nel cuore, uno spettacolo indimenticabile, un capolavoro assoluto Bullet in the head (1990) di J. Woo. È cinema allo stato puro, un’esplosione di energia e di movimento, che deflagra e devasta come una raffica di mitra, una bomba al napalm o il proiettile, cui rimanda il titolo, che i chirurghi non riescono ad estrarre dal capo di uno dei tre amici, protagonisti del film, provocando dolori lancinanti e costringendo il più buono e leale di loro, che la guerÂra non era riuscita a cambiare, a un gesto d’amore, tanto doloroso quanto ineluttabile. Il film riassume tutta la poetica di Woo: il conflitto tra il bene e il male, che spesso si scambiano i ruoli quando non convivono nella stessa persona, e tutte le altre anÂtinomie che caratterizzano la nostra misera, precaria esistenza odio/amore; lealtà /tradimento; pace/guerra; avidità /munificenza; egoismo/generosità disinteressata e sopra ogni cosa l’amicizia, che secondo Woo, ci consente di sopravvivere quando i valori dell’uomo sono negati o conculcati dalla violenza. Una violenza che si respira nell’aria, nella miseria dei quartieri malfamati di Hong Kong o di Saigon, nelle siringhe sporche di sangue che sono meno rumorose ma forse più letali delle stesse armi da fuoÂco, nell’aria maleodorante dei bordelli, nelle mazzette di dollari o nei lingotti d’oro racchiusi in una cassa, nelle imboscate di una guerra sporca ed atroce (siamo in Vietnam nel 1967), nelle torture subite dai prigionieri di guerra. Tantissime, a tal proposito, le citazioni da Cimino (Il cacciatore), da Coppola (Apocalypse now), da Peckinpah (Voglio la testa di Garcia), né si possono dimenticare le reminiscenze, a livello di movimenti di macchina, di Ophuls, mi riferisco ai carrelli circolari, alle dissolvenze inÂcrociate che insieme al ralenty, al fermo immagini, alla rareÂfazione dello spazio e agli scavalcamenti temporali costituiscono la cifra stilistica di questo autore geniale che ha profondamente rivoluzionato l’action/movie, mescolando tecniche e forme di altri generi e condendo il tutto con un pizzico d’ironia e con la diÂsperata speranza, a dispetto di tutto, di un A better tomorrow. Giudizio: eccellente, voto: 10 e lode, consiglio: imperdibile. Bullet in the head (Hong Kong 1990)  Per rimanere in tema (mi riferisco al cinema asiatico), mi sembra doveroso un accenno a In the mood of love (2000) di Wong Kar way, un’indimenticabile riflessione sul tempo che scorre, sui rimpianti che nutrono la vita di ogni individuo, sulla memoria che riscatta e dà senso alle nostre esperienze. Il film che è un lungo, struggente flash-back, vive di brandelli di sequenze, girate con lente carrellate e un uso nuovo e sapiente del ralenti; i personaggi si muovono in maniera rituale e rarefatta, quasi scomparendo dietro volute di fumo, vestiti sgargianti, orologi ingombranti e rivoli d’acqua che si portano via emozioni e sensazioni. Non eÂsistono inquadrature piene, nel senso che lo spazio è sempre riÂdotto, contratto, spiegazzato o imprigionato dietro sbarre (a testimonianza di una prigionia dell’anima più che del corpo); la macchina da presa è spesso fuori campo come la voce dell’io narrante che racconta il farsi di una storia, il suo divenire, più che la storia stessa, il film, infatti, si presta anche ad una lettura meÂtalinguistica, e insiste, in maniera melodrammatica, sui rapporti tra realtà e finzione e tra sceneggiatura e regia. Un film assoÂlutamente da vedere, impreziosito da due icone del cinema cinese: Tony Leung e Maggie Cheung. In the mood of love (Hong Kong 2000)  Grazie per la cioccolata (Francia 2000)  Di tanto in tanto anche in televisione passa qualche film di valore, un pomeriggio di qualche anno fa mi è capitato di vedere un vecchio film del 1953 La rete, diretto da E. Fernandez, e interpretato da una giovanissima e sfolgorante Rossana Podestà . Il film ambientato in Messico, su una spiaggia assolata e deserta che ricorda vagamente lo scenario di Violenza per una giovane di L. Bunuel, è incentrato su tre personaggi soltanto: due uomini, che hanno qualche conto in sospeso con la legge e sono quindi braccati dalle forze dell’ordine, e una giovane di selvaggia e prorompente bellezza, che suscita naturalmente gli appetiti e quindi la gelosia e la rivalità dei due uomini, nonostante il loro consolidato legame di amicizia. Il film che si avvale di pochi dialoghi per giunta scarsamente significativi, è tutto giocato sugli sguardi lascivi e concupiscenti dei 2 uomini e sui movimenti sinuosi e sensuali della giovane (la scena in cui la Podestà esce dal mare con la maglietta incollata addosso, quasi bucata dai capezzoli inturgiditi, e quella in cui offre da bere il latte di cocco a uno dei 2 uomini, lucido di sudore e con i muscoli tesi perché stava tagliando la legna sono senza dubbio tra le scene erotiche più riuscite – evidente anche qui il debito di Fernandez nei confronti di Bunuel), a ciò si aggiunga una natura lussureggiante e incontaminata e la splendida fotografia di Alex Philipps, che aveva già lavorato per Welles. È un melodramma di grande rigore formale che si conclude nella maniera più classica e suggestiva: uno dei due uomini, folle di gelosia uccide la donna ma viene ammazzato dalla polizia che, sia pure in ritardo come spesso succede, ha ormai scoperto il loro rifugio; l’altro uomo, allora, con il cadavere ancora caldo della donna amata tra le braccia s’immerge nel mare e scompare sotto la superficie dell’acqua. Da vedere se non altro per la bellezza ineffabile della Podestà , vero e proprio fiore di carne, paragonabile, a cinema, solo alla Jennifer Jones di Duello al sole. A titolo di cronaca va detto che la rete del titolo allude al destino che tende le sue trappole alle quali nessuno può sottrarsi. La rete (Messico 1953) Molto interessante anche il film di Bruno Dumont L’umanità , premiato a Cannes nel 2000 e distribuito in Italia con colpevole ritardo per i problemi che ha avuto con la censura (la versione, mandata in onda da Tele+, è orribilmente sfigurata), ciò non oÂstante Dumont conferma quanto di buono aveva lasciato intraÂvedere in L’età inquieta, suo primo lungometraggio. Ancora una volta la storia, se di storia si può parlare, è ambientata nella grigia, fredda, anonima provincia Francese del Nord, dove alto è il tasso di disoccupazione e dove la gente trascina la propria asettica esistenza nella più assurda ripetitività dei gesti e delle parole, con lo sguardo perso nel vuoto dietro brandelli di speranza ormai sgualciti e scoloriti. Tutto si ripete uguale, i sentimenti naÂscono sfioriti ed i rapporti interpersonali non riescono a decollare, il sesso stesso finisce col diventare un’abitudine, come la colazioÂne al mattino o l’uscita al sabato sera. Questo mondo, privo di reÂspiro, viene rappresentato, a livello figurativo, in maniera antiÂfrastica, attraverso piani sequenza e campi lunghi, in cui i perÂsonaggi spesso sono soltanto elementi decorativi; altre volte essi vengono schiacciati dalla macchina da presa contro i muri di case tutte uguali, quasi non riuscissero a sopportare il peso della noia e della solitudine che li opprime. Ed in questo grigiore morale, in quest’atmosfera stagnante non meraviglia che qualcuno commetta un crimine efferato forse senza rendersene conto o piuttosto per sentirsi vivo. Il film, morale a livello contenutistico come quelli di Pasolini e di Rossellini, sotto il profilo stilistico è molto più viÂcino alla filmografia di Bresson, senza però il rigore formale e la padronanza tecnica prerogative del grande regista francese, e a quella di Antonioni per l’attenzione maniacale prestata alle inquaÂdrature e alla figurazione, alla collocazione, cioè, dei personaggi all’interno delle inquadrature; Dumont è un regista prevalenÂtemente fisico, sebbene i temi trattati siano socio-filosofici, e infatti la macchina da presa accarezza i corpi e privilegia in maniera superba il rapporto tra corpi e spazio.  L’Umanità (Francia 1999)  The Eye – Lo sguardo (Gran Bretagna/Canada 1999) Letto 2767 volte. |
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