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LETTERATURA: I MAESTRI: E. M. Forster. Il silenzio del grande romanziere17 Gennaio 2012
di Alberto Arbasino Ha compiuto ieri novant’anni l’ultimo dei grandi romanÂzieri « classici » nel nostro seÂcolo, e forse il piĂą venerato, da generazioni d’affettuosi letÂtori. Eppure, quando E. M. Forster esordì nella narratiÂva, nel 1905, i giudizi della criÂtica inglese furono immediaÂtamente pacifici: ecco il priÂmo fra i grandi autori moderÂni! Primo a uscire dalla traÂdizione « patrizia » e « gentile » di George Meredith e di HenÂry James per sperimentare coÂme giĂ Conrad e come presto la Woolf. Primo, però, a veÂnir fuori da solo dagli Anni Novanta squisiti e individuaÂlistici di Wilde e di Beerbohm per considerare la gente coÂmune e i problemi della vita di tutti i giorni, in un mondo « che non poteva andare avanÂti così… » Anche primo (in seÂguito) a leggere Proust, e a studiare i problemi tecnici delÂla composizione romanzesca. Non per nulla il suo finissimo manualetto Aspetti del RomanÂzo, appena ripubblicato dal Saggiatore, fu dedicato quarant’anni fa proprio a Charles Mauron, il geniale « psicocriÂtico » francese riconosciuto soÂlo recentemente (e postumo) come nume fra i piĂą riveriti dalla Nouvelle Critique. Forster è sempre vissuto senÂza avventure, e ha scritto solo      cinque romanzi. L’ultimo, il bellissimo Passaggio in India, è del ’24, e appare incredibilÂmente profetico: letterariamenÂte, e politicamente. Il suo alÂtissimo sistema morale non crede negli eroi, nei leaders, nei milionari, nei militari, neÂgli imperi, nelle religioni, nelÂl’autoritĂ , nell’ascetismo puriÂtano, nell’intolleranza, nella presunzione intellettuale, nelÂl’orgoglio spirituale, nelle fronÂtiere tra uomo e uomo e tra razza e razza, nei sistemi eduÂcativi che producono « corpo ben sviluppato, cervello abbaÂstanza sviluppato, e cuore sotÂtosviluppato… ». E i critici piĂą severi hanno composto le loro pagine piĂą commosse e piĂą ferme, da decenni, riconoscenÂdo il sereno stoicismo della sua etica di « scrittore politico che preferisce temi non-politici », e riesce a fondere la religiositĂ del liberalismo progressivo con la filosofia del paganesimo elÂlenistico, stando dalla parte dell’umanitĂ e della vita conÂtro i pedanti, i puritani, i faÂrisei, i noiosi. Con la sua maschera ben ferma di « buon zio liberale » che non lascia trapelare la miÂnima tragedia, Forster ha coÂstantemente esercitato un proÂfondo fascino e un’acuta inÂfluenza. Ha poi avuto la forÂtuna di sopravvivere con un prestigio « che aumenta a ogni libro che non scrive » agli espeÂrimenti e ai successi e ai traÂmonti d’infinite mode letteraÂrie — datando sempre meno di molti scrittori assai piĂą gioÂvani — e di sopravvivere anÂche fisicamente, senza mai deÂteriorare la propria immagine, con un’alacritĂ intellettuale acuta, intatta… Scendeva a RoÂma, ancora pochi anni fa, neÂgli alberghi clericali intorno al Pantheon, base per attenti giÂri in macchina fra Tivoli e Palestrina; e continuava a inÂcontrare gli amici al Reform Club londinese (lo stesso da cui partì Phileas Fogg per il giro del mondo in ottanta giorÂni), fra i legni scuri e i tapÂpeti verdi e le lampade schermate e i tanti giornali e i signori centenari della sala di lettura, chiacchierando su un divano di cuoio a bassa voce, con un cameriere reduce (alÂmeno) dalla Campagna di CriÂmea che viene a portare del gin-and-tonic, tintinnante, ogni tanto… … PerchĂ© non ha piĂą scritto romanzi? Rispondeva: «La riuÂscita dei romanzi dipende dalÂla capacitĂ di dipingere efficaÂcemente gli aspetti di una realÂtĂ che si conosce bene. CamÂbiata questa, riesce difficile tener dietro ai mutamenti di una societĂ che diventa molÂto diversa: però si mantiene sempre vivo l’interesse per le persone… L’attitudine, fondaÂmentalmente comica, cioè di vera commedia, del romanzo del XIX secolo, si basava in gran parte sulle risorse della vita di famiglia, della converÂsazione, delle chiacchiere di salotto… Ma oggi non esiste piĂą il salotto: e dov’è la conÂversazione? della commedia, mancano proprio le basi… e per quanto m’interessi molto osservare cosa avviene sulla scena contemporanea, e legga ogni giorno i quotidiani, mi sento profondamente attaccaÂto al passato sociale… I roÂmanzi van bene quando i temÂpi sono stabili; ci sono delle basi… Insomma, esiste una soÂcietĂ … Una volta fuori della pace vittoriana, trovo che adÂdirittura va ancora meglio la poesia… ». Dove telegrafargli gli auguÂri? A Cambridge, al King’s College, dove ha un appartaÂmentino pieno di bei mobili edoardiani, di libri, ritratti, porcellane blu, davanti a uno dei piĂą bei paesaggi del monÂdo: un prato immenso, assurÂdamente verde, da secoli, granÂdi alberi e architetture rococò da ogni lato, e il fiume lĂ in fondo che scorre silenzioso coi cigni… Ma non bisognerĂ scalÂfire il suo senso pungente dell’understatement: quando per l’ottantesimo compleanno gli ho mandato « duemila hurrà » parafrasando un suo celebre titolo — Due hurrĂ per la deÂmocrazia — è arrivato come risposta un bigliettino che diÂceva: « non sono sicuro di meÂritarne poi tanti… ». Letto 10615 volte.

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