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LETTERATURA: I MAESTRI: Il segno18 Settembre 2018
di Roberto Ridolfi Erano pochi giorni dopo la Pasqua. Quella mattina Simone, servo del pontefice Caifa, saliva di buon’ora a Getsemani con un barile vuoto sulle spalle, che doveva portare al frantoio. Era quasi arrivato quando, in mezzo all’orto, lo prese una grande stanchezza. Dalla notte che avevano portato in casa del suo padrone Gesù di Nazareth, non si sentiva più lui. Simone non era davvero un uomo facinoroso. Ma quella notte, in quel tumulto atroce, dapprima per non parere da meno degli altri agli occhi del principale e dei suoi ministri, poi trasportato dalla furia che sempre si propaga nel ribollir di una turba briaca di violenza, e l’uno imbestia l’altro, quasi senza accorgersene s’era trovato tra quelli che infierirono contro Gesù. Il giorno dopo, verso l’ora nona, era stato in un luogo detto Calvario dove lo avevano crocifìsso, appena a tempo per vederlo morire; aveva assistito ai prodigi che accompagnarono la sua morte, udito con le sue orecchie le parole del centurione romano, il quale non era certo una femminuccia: « Veramente questo era figlio di Dio ». E ora in città circolavano strane voci. Si diceva che il sepolcro dove lo avevano riposto fosse stato trovato vuoto: i più credevano il suo corpo essere stato trafugato dai discepoli, non si sapeva come, senza che i soldati di guardia se ne avvedessero; altri invece affermavano, adducendone prove e testimonianze, Cristo essere risorto dai morti. Simone scosse il capo tre o quattro volte, come per scrollarne questi pensieri: fece qualche altro passo, a fatica: le gambe non lo portavano. Scherzi della primavera, pensò. A un tratto, sentì dietro a sé una voce che lo chiamava: — Simone, Simone —. Sobbalzò impaurito, perché entrando nell’orto s’era guardato intorno e non aveva visto nessuno: il barile gli sfuggì, cadde sul sodo della viottola risonando come un tamburo, rotolò qualche poco per il pendio. Accanto a lui era un uomo vestito di bianco; sulla sua veste e sul suo volto, quasi trasparente, il sole mattutino pareva splendere più che sopra ogni altra cosa all’intorno. Ripetè: — Simone —; né Simone mai aveva udito una voce così dolce, simile a una musica che venisse di lontano. Balbettò: — Signore, come fai a conoscere il mio nome se, se io non ti conosco? Mi conosci, invece: e io ti conobbi quella notte, in casa del tuo padrone. Ero bendato e mi schiaffeggiavano, dicendo: « Profetizza, indovina chi t’ha battuto ». Tu, fosti il terzo a percuotermi. Rispose Simone: — In che modo potesti vedermi, avendo gli occhi bendati? Nel modo in cui posso conoscere il tuo nome senza averti mai conosciuto, se non quando mi battesti, da sotto le bende che mi coprivano. Simone fu preso da un tremito in tutte le membra; le ginocchia gli si piegarono e cadde con la faccia a terra: — Signore, abbi pietà di me! Signore, perdonami. – Simone, Simone, per questo il Figlio di Dio s’è fatto figlio dell’uomo; per questo s’è lasciato battere da te; per questo s’è fatto schernire, sputacchiare, straziare e uccidere da chi, come te, non sapeva quel che faceva; per questo è risuscitato: per perdonare, non condannare; non per punire, ma per salvare. – Salvami dunque, Signore; insegnami, che ne ho più bisogno degli altri, cosa l’uomo può fare per trovare la pace. – Credere. Ma non già come te, che hai creduto perché ti ho detto: « Fosti il terzo a percuotermi »; e ormai già discredi. Quando risposi al tuo padrone, che mi aveva domandato se ero figlio di Dio, «L’hai detto», tu non credesti: credesti, tanta è l’umana miseria, quando ti chiamai per nome: poi, tornasti subito a dubitare. E ora che mi vedi risuscitato dopo avermi veduto morire, ora che odi la mia voce, non credi alla mia risurrezione: addirittura non credi neppure ai tuoi orecchi, neppure ai tuoi occhi. – Signore, ora m’accorgo veramente che tutto conosci. E proprio perché conosci quello che mi bisogna, fa’, te ne supplico, un segno: mostrami che i miei occhi non vedono uno spirito o una visione immaginaria, ma che sei qui in carne e ossa; che io non vaneggio, ma sono in me; che non dormo né sogno, ma sono desto. – Segni, segni; non sapete chiedere altro. Veduto un miracolo, chiedete altri segni e prodigi per credere nel miracolo. In verità, in verità ti dico: « Beati coloro che non vedranno miracoli e crederanno ». Ma tu no, chiedi segni: ecco i segni. Mostrò le piaghe delle mani dalla parte del dorso, mise l’indice della destra nella piaga della sinistra, poi l’indice della sinistra nella piaga della destra; infine levò le braccia mostrando le palme. Attraverso i fori dei chiodi, a Simone, trasognato com’era, parve di veder trapassare i raggi del sole. Poi gli sovvenne che il sole era invece dietro le sue spalle, in faccia al Risorto, che tutto ne risplendeva. Cadde di nuovo col viso a terra. Perse la conoscenza. * Quando si riebbe, Simone sentì per prima cosa l’odore dell’erba dove giaceva, il buon odor della terra. Ancora frastornato, si levò un poco, puntellandosi con un gomito; sedette sulla proda della viottola. Nell’orto non c’era nessuno, né ormai c’era altro che risplendesse: vide soltanto i luccicori argentei degli ulivi sotto il sole, nella chiarità mattutina. Eppure il Risorto era stato lì, lo aveva veduto, gli aveva parlato, ne aveva udito la voce: n’era certo. Volle guardare, ma nell’erba i suoi piedi non avevano lasciato nessuna traccia: non si vedeva uno stelo piegato, un fiore pesticciato. Eppure quei piedi li aveva visti coi suoi occhi smuovere, lì, quel ciottolo bianco. Ma in lui l’altalena della fede e del dubbio continuava: si sentiva tutto intorpidito e intontito, appunto come chi si desta dal sonno; si ricordò della stanchezza provata entrando nell’orto: forse aveva dormito davvero e il suo non era stato che un sogno. Eppure, no: nel silenzio, gli parve di riudire quella musica lontana: — Simone, tu sei stato il terzo a percuotermi —. Si guardò di nuovo intorno. Ma intorno non c’era proprio nessuno. Si prostrò ancora sull’erba e ancora implorò, con una voce dove si mescolavano disperazione e speranza: — Signore, un segno! — Nulla. Silenzio grande nell’orto. Ripeté, angosciato: — Signore, un segno: abbi pietà di me —. Nulla, nulla: non un alito di vento, non un muover di foglia, non un battito d’ala. La natura pareva anch’essa attonita, in quello stupefatto silenzio. Si rialzò sgomento, mosse qualche passo incerto, fece per riprendere il suo barile; ma dovette far forza, più forza ancora, per sollevarlo un poco soltanto: come se fosse stato pieno. Lo posò, sbalordito, lo batté con le nocche, levò il tappo, mise un dito nel cocchiume: lo ritirò che ne colava un filo d’oro liquido. Mentre ne sgocciolavano gocciole sempre più rade, si mise il dito in bocca: sentì sulla lingua il gusto asprigno dell’olio nuovo.
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