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LETTERATURA: I MAESTRI: Immagini sovrapposte

20 Settembre 2018

di Roberto Ridolfi
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 11 giugno 1969]

Un poggio fiorentino, un ciuffo di cipressi e una gran­de casa sul cocuzzolo, un’im­mensa stanza divisa in tante altre da scaffali pieni di libri: in quel labirinto, fra tavoli co­perti di fogli scritti e di bozze di stampa, alto, sottile, dirit­to, coi suoi capelli bianchi, e una mantellina nera d’inverno e d’estate, s’aggirava nonno Luigi. Più segregato dal mon­do che un eremita, fatto un po’ misterioso da quella sua solitudine, perpetuamente rin­voltato in scartafacci e librac­ci gremiti di formule algebri­che e di figure geometriche, a me, ma non a me solamente, pareva una specie di mago.

Di rado, per fortuna molto di rado, nell’antro del vecchio sapiente s’affacciava timoroso e non molto giulivo il suo ni­potino più piccolo. Allora il vecchio alzava il capo dalle carte, gli faceva una mezza ca­rezza, gli diceva una mezza parola, con un mezzo sorriso; ma si capiva che il suo pen­siero non s’era levato da que­gli scartafacci, da cui s’era di mala voglia levato: a dir po­co, lo aveva lasciato lì dentro a fare da segnalibro. E sugli scartafacci era un’altra volta già chino, quando il bambinuccio, zampettando, tra sol­levato e deluso, usciva dall’an­tro cartaceo che pareva scavato nei libri.

*

Un altro poggio fiorentino, un altro ciuffo di cipressi, una altra casa sul cocuzzolo e, den­tro, altre stanze piene di libri. Il poggio è dirimpetto a quel­lo dove visse e morì nonno Luigi, i cipressi sono meno monumentali, la casa è meno grande o piuttosto meno gran­diosa di quella. E sono io che ci vivo.

Anch’io, chiuso in una soli­tudine scontrosa e difficile, mu­rato vivo tra queste muraglie di carta, anch’io lontano dal mondo come un romito: di­mentico degli uomini e da lo­ro dimenticato. Né ho altra conversazione che questa, diur­na e notturna, coi libri; né altra occupazione che questa di lavorar pagine o tormenta­re le mie sempiterne bozze di stampa. Anch’io, per i conta­dini del vicinato, quando an­cora ce n’erano, figuravo co­me un simulacro di antico sa­piente; si favoleggiava, non saprei dire se con più ammi­razione o con più compassio­ne, che io avessi letto o ad­dirittura imparato a memoria tutti i libri che mi empivano la casa, dalla prima all’ultima riga. Anzi, le parole che ho adoperate per nonno Luigi, « una specie di mago », furo­no dette proprio per me. Ma le disse una bella donna, un giorno che era riuscita a en­trare nell’eremo, rompendo la clausura.

Le due immagini, simili per aspetti, sempre più ven­gono a rassomigliarsi col pas­sare degli anni: sovrapposte, già quasi combaciano. Soltan­to, come ho detto, in una tutto è un poco rimpicciolito: il poggio, i cipressi, la casa, il vecchio che c’è dentro. Di­fatti, fra l’altro, nonno Luigi era senatore (che dovrebb’essere una cosa importante), com’era stato prima suo pa­dre e fu poi il suo figliolo primogenito. Io, nipote dege­nere, no: o le istituzioni son fatte maggiori, o il discenden­te è senza fallo minore. Ai posteri l’ardua (e oziosa) sen­tenza.

A guardar più nel sottile, poi, quest’altro poggio non è solamente minore, ma più ma­gro, tutt’osso, cioè tutto ma­cigno: ha un che di scabro, d’amaro. Io, che ci vivo e ci scrivo, nello scabro e nell’ama­ro gli rassomiglio; ho uno spi­rito tribolato come le piante che tra’ sassi vi stentano. Di­razzo in questo da nonno Lui­gi; il quale, beato lui, credeva in ciò che faceva, viveva la sua semplice vita, non pativa le complicazioni e le inquie­tudini che mi tormentano. Sa­ranno stati i tempi paciosi, la dolcezza e la grassezza del suo poggio a fargli le giornate se­rene; a sera, gli bastava di ave­re risolto le sue equazioni per­ché tutto per lui fosse risolto, e poteva andarsene a dormire tranquillo. Il laticlavio ideal­mente ripiegato in fondo al letto, gli faceva da copripiedi e gli scaldava le vecchie os­sa: era l’onesta pensione che lo Stato dava allora a chi, an­ziché da una cattedra, aveva insegnato dalle pagine dei li­bri; e ora, poveracci, sono i soli a non averne nessuna.

*

Eppure, nonostante codeste piccole diversità, le due im­magini hanno finito col com­baciare. Oggi, su quest’altro poggio, in quest’altro antro, è venuto a trovarmi un mio ni­potino. E m’è sembrato che a entrar nella stanza fossi io: io, il bambinuccio di allora, in una di quelle rare visite a nonno Luigi: proprio due im­magini sovrapposte. E allora (ero ancora io, oppure era nonno Luigi?) ho dato una manata a tutte quelle carte, alle mie bozze sempiterne, gli sono andato incontro, mi so­no seduto in terra con lui ac­canto a uno scaffale zeppo di venerabili in-folio. E ho fatto quello che avrei voluto avesse fatto, almeno una vol­ta, nonno Luigi: ho preso quei dottissimi tomi e con es­si ho cominciato a fabbricare un castello: un po’ come si fa da ragazzi, per gioco, con le carte da gioco. Ma con quei bei volumi, spessi, com­patti, pesanti, pesanti come mattoni, c’era più gusto e riu­sciva tutt’altro lavoro: ho messo prima i più grossi per ritto, badando che fossero del­la medesima altezza e pres­sappoco d’uguale spessore; poi, sopr’essi, altri più gran­di e più sottili, per piano; e su quel primo ripiano, altri ancora per ritto, a regola d’ar­te. Ero arrivato al quarto pia­no, quando il bimbo, fino ad allora attonito, estatico, s’è buttato avanti con le braccine tese e il castello è crol­lato.

Uno scempio, una inaudita profanazione; povera scienza, poveri libri. E pensare che, di solito, quando me ne cade a terra qualcuno, mi par di risentirne in me la percossa; quasi quasi, farei come face­va in quei casi il mio primo editore, il vecchio Leone: rac­cogliendolo, gli direi a mezza voce: « Oh, scusi! ».

Ma oggi nonno Luigi (oppure son io?) s’è cavato di testa le ubbie, s’è tolto quel­l’armatura di dosso che lo faceva stare così intirizzito e impalato. E’ il tempo nuovo: Primavera dintorno / brilla nell’aria e per li campi esul­ta. E anche il legno vecchio s’intenerisce, butta sulla scor­za ruvida nuovi germogli. Co­sì, nonno Luigi (o sono io?) divenuto alfine quale mi sarebbe piaciuto che fosse, quando andavo da lui, e qua­le forse anche lui avrebbe voluto essere, ma non poteva. Coi suoi libri, aveva atteso a costruire dentro di sé per tut­ta la vita un edificio sempre più alto, più alto che aveva potuto: io ho fatto lo stesso, ma a un tratto mi è crollato dentro, proprio come quello costruito poco fa coi dottissi­mi tomi che giacciono ora in­gloriosamente sparsi sopra il tappeto.

E allora raccogliamoli ad uno ad uno, ed altri prendia­mone dagli scaffali, edifichia­mo un castello ancora più al­to, mettiamo in una torre ba­belica tutta questa inutile scienza; e poi, piccolo Nic­colò, Piccolo altrimenti chia­mato, urtala ancora, rovina­la: anzi, diamole addosso in­sieme io e te, questa volta. Tutta la sapienza umana non vale il sorriso di un bimbo, un germoglio che si schiude, un virgulto che riscoppi sul vecchio legno: questo divino miracolo della vita che sem­pre si rinnovella.

 

 


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Invito tutti a non inviarmi più libri in lettura. Per mancanza di tempo, e dall'11 novembre 2013 anche di salute, non posso più accontentare nessuno. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Chiedo scusa.
Bart