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LETTERATURA: I MAESTRI: L’ispiratrice milanese di Stendhal15 Novembre 2018
di Lorenzo Bocchi Parigi, giugno. Matilde Viscontini, una illustre milanese. Nata nel 1790, aveva sposato appena diciassettenne Giovanni Dembowski, un ufficiale polacco che aveva vent’anni più di lei e che era diventato cittadino milanese un anno prima del matrimonio. Passato al servizio della Francia nel 1797 come capitano della Legione polacca, Dembowski era stato nominato capo di stato maggiore della divisione italiana del generale Lechi nel Regno di Napoli. Si batté poi in Spagna e nel 1810 tornò in Italia con il grado di generale di brigata. Comandante della piazza di Milano e poi governatore di Ferrara, fu vittima della grande epurazione post-napoleonica del 1815 e morì, in pensione, sette anni dopo. Il matrimonio non fu felice, nonostante la nascita di due figli: Carlo (che diventerà ingegnere e ardente patriota costretto all’esilio per aver ucciso in un duello a Lodi un giovane patrizio austriaco, il conte Grisoni) ed Ercole (che sarà ufficiale della marina austriaca e poi astronomo a Cremona). Dembowski, che si mostrava molto galante con il gentil sesso, era gelosissimo, brutale, volgare e avido. In una lettera al marito in data 31 luglio 1814 Teresa Confalonieri parla della rottura tra i due. Matilde si rifugiò in Svizzera con il più giovane dei figli e tornò a Milano nel giugno quando ricevette l’assicurazione di potervi vivere da sola; ma quando il marito manifestò il desiderio di riavere Ercole, riprese la strada per la vicina confederazione, dove trovò l’amico Foscolo. Circolò allora la voce, nella Milano « bene », che la donna fosse andata a raggiungere l’amante poeta. Fu uno scandalo. Adolfo Ienni, in un esemplare saggio pubblicato nel 1957 sull’« Archivio storico lombardo », ha ricostruito quasi giorno per giorno l’esistenza di Matilde in Svizzera, con la sagacia e la pazienza di un poliziotto privato al servizio dello Stendhal Club. « Una bella donna — ce la presenta Ienni — più colta e spirituale della media; una signora milanese in rapporto di parentela o d’amicizia con tante figure interessanti del primo Ottocento lombardo, dai Confalonieri al Pecchio, da Giuseppe Vismara ai Marliani e Bignami, dai Traversi a Bianca Mojon Milesi; una che, morta giovane nel 1825, ha fatto in tempo ad essere, nel 1821, tra le prime liberali perseguitate di Milano; soprattutto, la donna che, avendo meritato l’amicizia e forse o quasi l’amore del Foscolo, ed avendo rappresentato il grande vano amore milanese di Stendhal, è avvinta per sempre alla biografia di due personalità di primo ordine e non può più venir ignorata nella storia letteraria ». Stendhal conobbe Matilde nel 1818. La signora, che viveva ormai separata dal marito (e dai figli inviati in un collegio di Volterra), accoglieva spesso nella sua casa di Piazza delle Galline un piccolo gruppo di amici fidati, tutti liberali, come il conte Federico Confalonieri, don Giuseppe Pecchio, il dottor Gaetano de Castillia, il barone Sigismondo Trecchi, Pietro Borsieri e l’avvocato Giuseppe Vismara. Fu probabilmente quest’ultimo, il più caro degli amici italiani di Stendhal, che presentò alla padrona di casa il grenoblese. Lo scrittore, che due anni prima aveva rotto con la perfida Angela Pietragrua e che da allora era rimasto lontano dalla grande passione pur avendo diverse avventure amorose, ha più volte annotato che la « grande fase musicale » della sua vita, appunto l’amore per Matilde, era cominciata il 4 marzo 1818. Bruno Pincherle, il compianto medico stendhalista di Trieste (respinta dalle autorità comunali di allora la sua proposta di intitolare allo scrittore una strada della città perché si trattava di uno straniero, egli aveva fatto murare in un angolo del suo giardinetto una targa « Piazzetta Stendhal ») ha scritto bellissime pagine sull’ispiratrice del grenoblese, raccolte poi nel volume edito da Scheiwiller nella collezione « All’insegna del Pesce d’Oro » e intitolato In compagnia di Stendhal. Notevole questo suo contributo agli studi su Matilde, già ricchi degli studi di Henri Martineau, Armand Caraccio, Paul Arbelet, Francesco Novati, Pietro Paolo Trompeo. E’ stato lui a spiegare la deformazione del nome della donna in Metilde: obbedendo al feticismo degli innamorati, lo scrittore aveva fatto sua questa pronuncia perché lei stessa e i suoi amici milanesi dicevano « Metilde ». Nel saggio Very in love and very melancholy, scritto sulle due note in margine all’esemplare delle Vies de Haydn, de Mozart et de Métastase da lui comprato nel 1940 presso un libraio romano, Pincherle osserva: « La bellezza delicata e romantica di lei era qualcosa di ben diverso della trionfante, e forse volgare, bellezza della Pietragrua. A Stendhal ella ricordava, col suo volto di un ovale perfetto, il naso aquilino, le labbra sottili e delicate, i grandi occhi bruni e melanconici, una Salomé leonardesca; mentre la sua grazia, un poco acerba, aveva ai suoi occhi qualcosa di verginale, quasi le passioni amorose (che pur erano passate sulla giovane donna) nulla avessero tolto alla purezza nativa… Non sapremo mai l’impressione che a Metilde fece questo francese gran conversatore, spesso pungente e sarcastico, spregiudicato nei suoi giudizi sulla donna ma, nel suo intimo, sentimentalmente candido, quasi un Werther sotto le spoglie grossolane di un Don Giovanni ». Furono, per Stendhal, mesi di alterne speranze e delusioni. Per meritare l’amore dell’inaccessibile arrivò persino a rifiutare un’avventura con la bella Ninetta Vigano e un’altra con la contessa Luigia Lassera. Saliva spesso a visitarla nella sua casa di Piazza delle Galline. Nel maggio 1819 andò a raggiungerla a Volterra, dove Metilde era andata a trovare i figli in collegio. Continuò a vederla a Milano sottomettendosi a tutte le sue esigenze di donna allarmata e prudente. Per lei cominciò il 4 novembre 1819 un abbozzo di romanzo. Venticinque giorni dopo ebbe l’idea di scrivere De l’amour nel quale Metilde è rievocata quasi ad ogni pagina: la vita di lei, a tal punto che, quando il 1° maggio 1825 la trentacinquenne Metilde morì, Stendhal annotò sotto questa data, sul margine di una pagina della propria copia del libro: Death of the Author. Lo scrittore, costretto a lasciare Milano, era andato a prendere congedo da lei il 7 giugno 1821. Non l’aveva più rivista. A Parigi era stato perseguitato a lungo dal ricordo di lei, tanto da dargli «una virtù piuttosto comica: la castità ». Non la dimenticò più. Era stata lei a rivelargli il fenomeno della « cristallizzazione ». E’ uscito ora, nella collezione del livre de poche, un volumetto che potrebbe benissimo intitolarsi « Metilde », a cura di Victor del Litto, il professore che successe a Henri Martineau alla testa della religione letteraria rappresentata dallo stendhalismo. In questo De l’amour tascabile troviamo il testo integrale del libro con le prefazioni del 1822, del 1826, dei 1834 e del 1842 (questa è probabilmente l’ultima pagina scritta da Stendhal), tutti i complementi, le note preparatorie, gli abbozzi, le pagine del diario tra il 1816 e il 1821 concernenti Metilde, le lettere infiammate a lei scritte, le pagine del romanzo abbozzato nel ’19, i richiami all’amata in Rome Naples et Florence, Promenades dans Rome, Souvenirs d’égotisme, Vie d’Henry Brulard e in margine a Lucien Leuwen. Una bella e fiera milanese che ha il suo posto nella galleria delle grandi benemerite della storia letteraria, assieme a Beatrice, Laura, Carlotta, Bice e le altre ispiratrici di poeti e scrittori.
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