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LETTERATURA: I MAESTRI: Splendori e miserie di Evelyn Waugh22 Gennaio 2018
di Edmund Wilson II nuovo romanzo di Evelyn Waugh — Biìdeshead Revisited — è stato, per chi scrive, un duro colpo. Ammiro e stimo Waugh e, appena iniziata la lettura di Brìdeshead Revisited, fui molto interessato nel constatare che aveva abbandonato la vena comica per la quale va famoso e si espandeva in una nuova dimensione. Il nuovo romanzo — col sottotitolo The Sacred and Profane Memories of Captain Charles Ryder — è quel che si dice un romanzo « serio »: ricche di poesia e di efficacia drammatica le sue pagine iniziali sembrano promettere molto. Un ufficiale inglese, stanco della vita militare, si trova destinato nei pressi di una grande villa di campagna trasformata in caserma. In quel luogo egli era solito un tempo recarsi in visita; la sua vita, infatti, è stata profondamente legata a quella della famiglia cattolica che lì abitava. A questo punto la narrazione diventa retrospettiva e torna al 1923, epoca in cui Charles Ryder era a Oxford dove conobbe l’ultimogenito dei Marchmain, divenuto il suo più intimo amico. Tutta questa prima parte è brillantissima, un po’ alla maniera del Waugh che conosciamo, un po’ secondo un gusto nuovo più vicino a Scott Fitzgerald e a Compton Mackenzie. L’epoca è la stessa celebrata da questi due scrittori più anziani, ma osservata qui dalla prospettiva dei desolati e inariditi Anni Quaranta; sicché ogni cosa — la libertà, il divertimento’, le varie esaltazioni della giovinezza — assume un che di remoto, di patetico. La presentazione del protagonista a quella famiglia cattolica e la graduale rivelazione delle bizzarrie dei suoi membri, le loro differenze rispetto ai protestanti inglesi, sono descritte con un’arte perfetta e, per quasi tutta la prima metà del libro, il lettore abituale di Waugh ha buoni motivi di credere che il suo autore preferito possa ormai aspirare al rango di scrittore di prim’ordine. Ma questo entusiasmo è destinato a un’amara delusione. Allorché Evelyn Waugh abbandona la chiave comica — essenziale per il suo lavoro precedente quanto poteva esserlo per un commediografo della Restaurazione — il risultato è piuttosto disastroso. In questo mondo più normale, Waugh perde la bussola: il suo difetto di senso comune cessa di essere un pregio, e gli crea situazioni imbarazzanti; e la sua immaginazione creativa, che nei romanzi satirici operava in certo qual modo su un piano di caricatura bidimensionale, e qui invece è posta al servizio di passioni e motivazioni, produce solo fantasticherie romantiche. Il protagonista intreccia una relazione con la figlia maggiore dei Marchmain, che è già sposata, e la cosa si svolge su un piano di banalità – la donna è assolutamente irreale — che ricorda gli adulteri in marsina del primo Novecento, quando Galsworthy e compagni facevano singhiozzare e lacrimare i loro lettori su romanzi come The Dark Flower. E a questa caduta di gusto, si accompagna in Waugh uno sgretolamento del suo eccellente stile. La scrittura — che nei primi capitoli è all’altezza del miglior Waugh: felice, discreta, esatta — qui incorre in banalità desolanti come: «le nuvole continuavano ad accumularsi e non si diradavano » oppure : « così l’anno trascorse lento e il segreto del fidanzamento si diffuse per bocca di confidenti di Julia e simili, come un’acqua che s’increspi in cerchi sempre più larghi ». I personaggi di maniera — l’aristocratico mondano, la buona vecchia nutrice — che sempre ricorrono in Waugh e che vanno benissimo sul piano della farsa, qui diventano semplicemente inattendibili e noiosi. Le ultime scene sono assurde fino alla stravaganza, di un’assurdità che sarebbe degna del miglior Waugh se non pretendesse — dispiace doverlo dire — d’esser presa sul serio. Il mondano Lord Marchmain, abbandonata la moglie, ripudia la fede cattolica e sul letto di morte congeda il prete senza troppe cerimonie, ma quando le sue condizioni si aggravano ulteriormente il prete viene richiamato. Tutti i familiari s’inginocchiano e Charles, che è presente, s’inginocchia anche lui. Benché abbia difeso con fermezza il suo protestantesimo, adesso la sua resistenza celle. Egli prega affinché il vecchio stavolta non respinga gli ultimi sacramenti, ed ecco che Lord Marchmain si fa il segno della croce! Il nobiluomo, avviandosi ormai a morire, si abbandona a un prolisso soliloquio: « Eravamo cavalieri, allora, e poi baroni dopo Agincourt, e gli onori più grandi vennero con i George » e così via, e il lettore ha la sgradevole sensazione che a far cadere in ginocchio’ il protagonista di Waugh non sia stato forse il segno della croce, ma il prestigio nella persona di Lord Marchmain, di una delle più antiche famiglie d’Inghilterra. Infatti lo snobismo di Waugh, fin qui tenuto a freno dal suo approccio satirico, si manifesta ormai senza ritegno. La sua ammirazione per le qualità delle più antiche famiglie britanniche, contrapposte ai moderni arricchiti, aveva un senso nei primi romanzi dove i criteri della norma etica e del gusto restano sullo sfondo, semplicemente presupposti. Ma qui la caratterizzazione dei nuovi ricchi è grossolanamente esagerata e gli aristocratici diventano tremendamente insipidi, e il culto dell’alta nobiltà si fa così estatico e solenne che alla fine sembra quasi che costituisca l’unica vera religione del libro. Pure, il romanzo è un vero opuscolo di propaganda cattolica. Tutti i Marchmain, in definitiva, si uniformano ciascuno a suo modo ai dettami della loro fede e ne testimoniano il perenne valore; lo scettico protagonista, che ha mantenuto per tanto tempo un atteggiamento ostile e beffardo, finisce per convertirsi; la vecchia cappella viene aperta e messa a disposizione dei soldati che « vi affluiscono in numero sorprendente ». Ora, può anche darsi che io sia insensibile a valori che altri lettori potranno trovare in questo libro, impedendomi le mie convinzioni di condividere il punto di vista di un convertito al cattolicesimo, ma a me non sembra affatto che l’autore abbia espresso nel romanzo un’autentica esperienza religiosa. Nei precedenti libri di Waugh c’era sempre un elemento fondamentale di bizzosa, cocciuta ostinazione, che per i suoi effetti di confusione e di sfrontatezza, costituiva una qualità notevole per uno scrittore comico. Nel nuovo romanzo, questo tema è reso insolitamente esplicito, in tono profetizzante e retorico, fin quasi dall’inizio, quando Waugh parla della « torrida sorgente di anarchia » che « nasceva da profonde fornaci dove non c’era solida terra, e irrompeva alla luce del sole, nell’iride dei suoi vapori che si raffreddavano, con una violenza che le rocce non avrebbero potuto contenere » ; e naturalmente questa torrida sorgente di anarchia è l’umanità inquieta e peccatrice, che evidentemente dovrà essere raffreddata e controllata dalla disciplina della fede cattolica. Ma, giunto a considerare questa forza come peccato, Evelyn Waugh ne sembra piuttosto sgomento: a differenza che negli altri suoi libri, non le permette di sollevare realmente la testa — ardita, oltraggiosa, ilare od orribile che sia — e il risultato è che avvertiamo la mancanza di qualcosa. Ormai facciamo affidamento su questo serpente; non siamo abituati a vederlo trattato con tante precauzioni; senza dire poi che la religione invocata per domarlo sembra più un rito esorcistico che non una forza rigeneratrice. In Brideshead Revisited c’è comunque un altro tema, sviluppato in modo incompleto, ma con assai più verità di quello religioso: la situazione di Charles Ryder diviso tra la famiglia di Brideshead da un lato e la propria dall’altro. Questo giovanotto è orfano di madre e a casa ha solo un padre erudito ed egocentrico che riduce la vita a una cosa talmente arida e meschina, vuota di affetti e incolore, che il giovane è indotto a cercare la famiglia che gli manca nella famiglia del suo condiscepolo di Oxford e a idealizzarne il fascino e la grazia. Interessanti per un lettore non cattolico sono le origini e l’evolversi dell’incantato snobismo del protagonista; e la divertente e raggelante descrizione delle vacanze di Charles in casa col padre è una delle cose veramente buone del libro. Le parti comiche di Brideshead Revisited sono divertenti » come nel miglior Waugh, e i personaggi cattolici a volte sono riusciti, quando l’autore li osserva come tipi sociali e li sottopone allo stesso trattamento spietato dei personaggi dei suoi libri satirici. Non voglio comunque dire che Waugh debba tornare al suo genere precedente. La sua arte si sta ampliando in maniera regolare e costante, e quando Waugh si accingerà a scrivere un altro romanzo serio, probabilmente avrà imparato a evitare certi caramellosi luoghi comuni. Intanto esprimo la previsione che Brideshead Revisited riulterà il libro di maggior successo, l’unico libro di grandissino successo che Evelyn Waugh abbia scritto finora, e che presto lo vedremo in testa all’elenco dei best-seller, fra The Black Rose e The Manatee. 5 gennaio 1946
Quando Evelyn Waugh venne convertito al cattolicesimo dal gesuita padre d’Arcy, scrisse in omaggio a quest’ultimo e per celebrare la ricostruzione della Campion Hall, il college gesuita di Oxford, una breve biografia di Edmund Campion, il martire gesuita elisabettiano. Questo libro, apparso per la prima volta nel 1935, è stato ristampato di recente. La narrazione è semplice e sobria, senza alcun tentativo di atmosfera storica, e costituisce una lettura non priva d’interesse. Le parole di Campion che Waugh cita sono molto suggestive: uomo di non comune intelletto, di esaltata vocazione religiosa e di grande coraggio morale e fisico, egli cadde vittima, dopo l’abolizione del cattolicesimo in Inghilterra, di uno di quei falsi processi politici che, per quanto non condotti su scala così vasta né congegnati con la stessa efficienza di quelli dei giorni nostri, già caratterizzarono la lotta fra cattolici e protestanti. A ogni modo, la versione che Waugh ci offre di questa vicenda rientra, nelle sue prospettive generali, nel tipo di 1066 and All That. Il cattolicesimo era una Cosa Buona e il protestantesimo era una Cosa Cattiva, e questo è quanto. Il libro ha valore principalmente perché ci consente di farci un’idea sul concetto che Waugh ha dell’Inghilterra moderna. Il trionfo del protestantesimo sotto Elisabetta, scrive l’autore, significò che il paese era « sicuro, indipendente, insulare; il corso della sua storia era già tracciato: nazionalismo competitivo, industrializzazione competitiva, telai meccanici e miniere di carbone e uffici contabili, società per azioni e acquartieramenti militari; potenza e labilità delle grandi fortune proprietarie ». Per lui, il protestantesimo non è semplicemente una delle fasi dell’ascesa della classe media; è la causa di tutti i fenomeni suddetti. E, nel narrare questo episodio di un periodo di generale intolleranza religiosa, Waugh insiste continuamente sulla crudeltà della persecuzione dei cattolici a opera dei protestanti, ma sorvola con disinvoltura sopra ogni esempio — come l’eccidio della Notte di San Bartolomeo — di delitti commessi dai cattolici contro i protestanti. Se non disponessimo di altre fonti oltre il signor Waugh, potremmo supporre che la Compagnia di Gesù sia stata sempre composta di miti servi di Dio, che mai avrebbero manovrato strumenti di tortura né acceso roghi per i loro nemici. 13 luglio 1946
Waugh ha pubblicato nel frattempo altri due libri: Scott-King’s Modern Europe e The Loved One, dove ritorna alla sua vecchia maniera. Più che romanzi sono racconti lunghi, e in confronto al resto della sua opera appaiono entrambi frammentari e incompleti. Il primo di essi, un po’ sul tipo di Scoop, narra le disavventure di un professore inglese di scuola media in un’Europa post-bellica dominata dai comunisti; il secondo, di gran lunga il migliore, narra di un inglese meno ingenuo a Hollywood. The Loved One è straordinariamente divertente, ma ha un po’ il difetto, per un americano, di essere pieno di vecchie battute americane che Evelyn Waugh ha scoperto solo ora. Ricorda il Nathanael West di Miss Lonelyhcarts e di The Day of the Locust. Esso suggerisce, a proposito del cattolicesimo di Waugh, un’ovvia osservazione critica che credo nessuno abbia mai avanzato: The Loved One è una satira dei cimiteri di lusso della California, che cercano di rendere meno sgradevole la morte ricorrendo a tutte le risorse del giardinaggio e delle carnevalate hollywoodiane. A ogni modo al lettore non religioso i promotori e proprietari di « sentieri melodiosi » appaiono più sensibili e meno assurdi del Waugh che si fa guidare dai preti. I primi, in fin dei conti, cercano solo di abbellire la morte fisica con praticelli ben curati e riti di consolazione; ma per il cattolico, la realtà della morte non deve essere affrontata: egli si conforta con la fantasia di un altro mondo, in cui chi muore nella carne dovrebbe continuare in qualche modo a vivere, e in cui dovrebbe essere possibile aiutare le anime a migliorare la loro situazione acquistando ceri da accendere in chiesa. Gli espedienti architettati per quest’altro mondo dai fantasiosi credenti nel mito cristiano — non avendo alcun aggancio nella realtà — battono tutti quelli escogitati dall’industria cimiteriale del romanzo.
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