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LETTERATURA: I MAESTRI: Variazioni #7/102 Gennaio 2018
di Eugenio Montale Sullo scorcio del ’98 Benedetto Croce si chiedeva se potessero esistere in arte contenuti non interessanti: e citava il caso del Petrarca, autore « di cose bellissime che pur ci lasciano freddi perché l’ideologia erotica del poeta ci è diventata estranea ». Tra i contenuti irredimibili dalla forma estetica ricordava il concettismo, il marinismo, ecc., che lo infastidivano « perché il loro contenuto consiste in visioni dei rapporti superficiali delle cose ». Su questo argomento il Croce scambiò alcune lettere col Gentile, più giovane di lui, e a malincuore si convinse che il contenuto « deve concepirsi come un fatto (una necessità di fatto direbbe il De Sanctis), uno stato d’animo ecc. E, concepito così, non solo non è soggetto di discriminazione estetica, ma non è soggetto di nessun’altra valutazione ». Aggiunse però che se il contenuto fosse concepito come azione (morale) si uscirebbe naturalmente dalla questione. Sono passati ormai settant’anni e la questione non fu conclusa. Non per il Croce che si mostrò sempre più chiuso agli innumerevoli ismi del nostro tempo e dichiarò addirittura la sua avversione alla letteratura contemporanea; nemmeno per il Gentile che in verità non l’aveva mai aperta e che in seguito ci dette una sua filosofia dell’arte che abbraccia tutto e nulla. E’ tuttavia curioso vedere come il Gentile giustificava l’accennata frigidità petrarchesca. Quando il Petrarca non ci convince « è perché l’artista voleva cantare d’amore senza amare (in quel momento, s’intende! Poteva del resto essere innamorato cotto; ma in quel momento il suo amore taceva), dimenticandosi del canone dantesco: mi son un, che quando amore spira noto, eccetera. Il Gentile aveva ventitré anni quando scrisse queste parole in una lettera privata: si può dunque prenderle come una boutade. Ciò non toglie che il loro senso sia chiaro: quello che qui si afferma è il carattere immediato del raptus poetico. Ora l’innamorato che scrive circa trecentocinquanta liriche d’amore per una donna che è già simbolica nel nome non è un amante pendolare che ama un giorno sì e l’altro no: è un innamorato addirittura scotto e decotto, se è lecita la parola. Può sembrar strano che un filosofo noto per il suo radicale antipositivismo abbia veramente creduto che l’emozione provata da un poeta possa essere trascritta sulla carta in quel momento. So benissimo che scrivendo « in quel momento » il Gentile intendeva dire: finché il fuoco non s’è spento, a caldo dunque e non a freddo. Senonché, anche intesa così la frase non risponde all’esperienza reale di chi abbia scritto qualche verso leggibile; e, accettandola, il Croce restò ancora convinto che esistesse una bellezza tecnica (non poetica) e una bellezza poetica poco o punto tecnica. Un bel pasticcio dal quale poi egli si ritrasse non occupandosi più della tecnica dell’artista, concepita come la estrinsecazione di un quid preesistente, in sé perfetto come tale, ma non comunicabile senza la mediazione di un fatto tecnico. In ogni caso la vera forma restava un fatto interno e solo in senso bassamente psicologistico poteva parlarsi di una creazione a caldo o a freddo. * Sono a San Felice a Ema Da queste parti abitò Virgilio Giotti quando scriveva poesie « in lingua ». Qui posseggo una proprietà immobiliare: un metro cubo a muro, protetto da una lastra che porta un nome e una data. C’è anche lo spazio per un secondo nome, il mio. Su una vicina lapide vedo una fotografia smaltata, in ovale. Una ragazza di diciotto anni morta in seguito ad accidente stradale. Dev’essere stata bella, paffuta, con molti riccioli. La madre è lì accanto e sta cambiando i fiori nei vasetti. Anche Laura fa lo stesso nei vasetti che mi riguardano. Toglie i fiori secchi, mette a posto i fiori freschi, poi va a prender l’acqua per annaffiarli. Infine trova anche una ramazza per lasciar tutto pulito. E’ attenta e precisa. Ci è rimasto qualche fiore, mettiamolo sul margine di un’altra lastra, un poco più in alto. E’ il posto di Vittorina, la dolcissima madre di Laura. Frattanto comincia a piovere. Dopo qualche gocciolone addirittura un rovescio. Dobbiamo andare, dico. Avete un passaggio? dice la madre della ragazza paffuta. Ma sì, venga anche lei. Cerchiamo di correre, ma quando arriviamo alla macchina siamo tutti inzuppati. Sto a Pozzolatico, a due passi, dice la madre. Laura guida attenta e precisa. Non ci si vede più. L’acqua scroscia violenta sul parabrezza. Ancora un bel po’ di sobbalzi, poi ci siamo, dice la madre della ragazza. C’è infatti una porta a sinistra. La madre sguscia giù ed è subito una spugna che parli. Vogliono entrare per rinfrescarsi, dice. Grazie, ma siamo già fin troppo freschi. Torniamo indietro a balzelloni. Ripassiamo davanti al cimitero e andiamo oltre. Al Pian dei Giullari ecco la casa di Gianfranco Contini. Una volta è venuto anche lui a San Felice e osservò a lungo una minuscola lucertola che faticava ad attraversare la ghiaia del cimitero. C’è troppo rumore per dirlo a Laura che continua a guidare attenta e precisa. * Il nuovo libro di Mario Monti (non il primo ma certamente il migliore) s’intitola Acqua e l’ha pubblicato Bompiani. Leggendolo pensavo che vi avrei trovato uno scrittore allo stato liquido, imprendibile, come fu il Comisso dei suoi libri meno composti ma non meno felici. Non a caso Monti è stato l’editore del « tutto Comisso » in una serie di impeccabili volumi. Delle quattro parti del libro, che ha un’interna unità ma non la struttura di un romanzo, solo la prima, Il mare, in gran parte dedicata alla pesca subacquea di pesci e di donne, ci mostra uno scrittore quasi totalmente fuso e disfatto nell’oggetto rappresentato: la Liguria e nemmeno la più autentica (sebbene ora scomparsa), ma quel tratto borghesemente balneare e piscatorio che va da Bogliasco a Camogli. Ignoro se oggi il nomade dio Pan trascorra qualche ora in quei luoghi; direi di no, comunque i giovanili ricordi di Monti non sono troppo recenti. E’ questa la parte più perfetta, non la più viva del libro. Il Monti veramente sottomarino, in senso meramente psicologico perché il mare vi è presente solo come infiltrazione, lo troviamo nella terza sezione: La città, che è poi la New York dei suburbi dell’Isola, del Village, degli angiporti, degli scali e di tutto ciò che una immensa metropoli respinge ai suoi margini. Il Monti deve avervi passato veramente qualche stagione nella sua giovinezza di uomo che intendeva tagliare i ponti con l’avvenire troppo roseo a lui promesso in patria dalla sua estrazione sociale. Sappiamo ora che i ponti non furono affatto tagliati. Se ciò fosse accaduto Monti sarebbe ora qualcosa di non immaginabile. Non lo vedo integrato in quel mondo, non so immaginarlo businessman americano né tanto meno funzionario e burocrate in qualche ufficio privato o statale. Non so pensarlo come un italiano « che si fa onore all’estero ». Ch’egli poi sia perfettamente O.K. nella città ch’è più sua, la Milano d’oggi, questo forse non lo sa neppur lui. E ora basteranno poche parole per dire come avviene che le quattro parti del libro si ricompongano nella memoria. Il taglio espressionistico a frammenti, a squarci, a spicchi si mostra perfettamente idoneo a rappresentare la sua esperienza americana, non tanto recente. Qui non troviamo nulla che faccia pensare alla disponibilità di un Comisso. C’è un uomo duro a morire, capace di lunghi abbandoni ma anche pronto a riprendersi. Non è un caso che il divoratore di ostriche velenose di un brillante episodio non sia lui, Monti, che pure partecipa all’impresa, ma un più autentico folle. Si sente troppo bene che in simili casi il giovane apprenti sorcier confida sempre nella sua buona stella. I toni si raddolciscono nelle altre due sezioni del libro. Il lago ci mostra il reduce imbarcato in un’avventura quasi matrimoniale nel prosaico Varesotto; e l’amara ruminazione della Città, storia di cani e di povera gente conclude un quartetto che chiede all’acqua, magari all’acqua di falda presente anche a Milano, la sua nota dominante, la sua sigla. Inutile aggiungere che uno scrittore capace di sentire l’acqua come matrice universale non sarà mai un produttore di letteratura « balneare ». SURROGATI Le violenze, i pestaggi, le guerre (ma locali, che non ci tocchino), gli allunamenti, d’interesse sempre decrescente, le lotterie, le canzonette, il calcio internazionale, tutto questo è l’ersatz della terza e ultima (sempre ultima, s’intende, per gli allocchi) catastrofe mondiale?
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