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LETTERATURA: Intervista a Hermann Kesten10 Marzo 2008
 di Jacob Popper [da “La Fiera letteraria”, giovedì 12 gennaio 1967]Chi ha visto Hermann Kesten soltanto nel quadro dei conÂgressi e incontri internazioÂnali – come me fino a qualche giorno fa – conserva nella memoÂria l’immagine d’un polemista dalÂla voce sonora e incisiva, dalla geÂsticolazione energica, e lo sguardo scintillante d’ironia. Signor Kesten, sul risvolto del libro, sul quale mi ha gentilmente vergato un autografo, leggo che lei è nato in Germania e che ha iniÂziato la sua attività letteraria coÂme scrittore tedesco. La persecuÂzione nazista l’ha poi costretto a emigrare a Parigi, donde per gli stessi motivi è partito nel 1940 per gli Stati Uniti. Là , è diventato citÂtadino americano, ma dopo la guerÂra è tornato in Europa, precisaÂmente a Roma, dove ha abitato dieÂci anni. Parecchi suoi libri, tra i quali anche l’antologia di prosa e versi Europa oggi, dimostrano che il passato e il presente della cultuÂra europea la interessano sempre. Che pensa lei dell’avvenire della cultura europea? Credo che anche in avvenire, l’Europa avrà una parte decisiva nella cultura mondiale, come nel passato. Lo spero fervidamente. L’anno scorso mi si presentò l’occasione di sentirla parlare al convegno « Il romanzo e il nostro secolo » al quale parteciparono scrittori dell’Europa occidentale e orientale. Allora mi sembrò che tra i due cosiddetti campi cominciasse a formarsi un ponte. Lei crede che nel frattempo questo ponte sia conÂsolidato? Non sono in grado di esprimere un’opinione definitiva su questo problema. Però credo che esisteÂranno sempre dei ponti tra gli uoÂmini, purché non vivano sotto il giogo dei regimi inumani. In quali condizioni, a parer suo, si possono stabilire contatti frutÂtuosi tra le personalità culturali dell’Est e dell’Ovest? Importante è il contatto umano. Perciò, saluterò sempre con gioia gli incontri tra scrittori provenienti da campi diversi e con diverse concezioni. Stavo per farle una domanda, che difatti è un luogo comune, e cioè: Lo scrittore deve o no esÂsere impegnato? quando mi son rammentato della sua affermazioÂne ne II poeta al caffè: « Lo scritÂtore deve portar testimonianza ». Lei ha scritto: « Come un testimone che depone a un processo sotto giuramento è obbligato a dire la verità ». Ma se gli scrittori non possono « testimoniare », se viene loro impedito di dire la verità , coÂme riescono a compiere la loro missione? Gli scrittori possono difendersi contro i divieti, tentare d’opporsi protestando direttamente o indiretÂtamente, possono trovare una via per aggirare gli ostacoli, ma purÂtroppo possono anche restarne schiacciati. E quando sono perseguitati e schiacciati, la loro sconfitta rapÂpresenta almeno una vittoria per la verità ? Per quel che mi riguarda, non avrei formulato così la domanda. Rispetto gli scrittori che soffrono per le loro convinzioni ma prefeÂrisco ammirare e rispettare gli scrittori vivi. Preferisco uno scritÂtore che vive per la sua opera a uno che è obbligato a morirne. La mia speranza la ripongo in un mondo in cui i martiri non serviÂranno più. Si può parlare ancora d’un avÂvenire del romanzo? Secondo me, il romanzo ha un grande avvenire. Esso narra destiÂni umani e finché gli uomini s’interesseranno agli uomini, presteÂranno interesse pure al romanzo. Però vi sono scrittori che giudiÂcano il romanzo fallito, lo ritengoÂno una forma d’espressione supeÂrata. Non lo credo. Pochi mesi fa, a un congresso del « Pen-Club » a New York, ho sentito che l’inteÂra letteratura è fallita. Marshall Mac Luhan, attualmente professore presso un’Università canadese, ci diceva che l’intera cultura scritÂta appartiene al passato e che tra poco, i valori culturali saranno coÂmunicati solo attraverso mezzi acustici o visivi. Non sono d’accorÂdo con lui. Lei ha scritto parecchi romanzi storici: Ferdinando e Isabella, FiÂlippo II, ha scritto pure una bioÂgrafia di Copernico. D’altra parte, nella sua opera si sente con forza il pulsare dell’attualità . Come vanÂno d’accordo queste due tendenze? Io non credo negli scompartiÂmenti letterari. Non credo nella diÂstinzione tra giornalismo e letteÂratura, tra romanzo storico e roÂmanzo moderno. Tutti questi geneÂri non sono altro che mezzi coi quali lo scrittore esprime la stessa cosa: la verità delle sue convinzioni, la sua posizione di fronte ai problemi contemporanei. Uno dei suoi personaggi dichiaÂra: « Io son rimasto un’individuaÂlità ». Lo scrittore Ludwig Marcuse le scrive in una lettera aperta: « L’individualità ormai è proibita. Lei è quindi severamente proibiÂto ». Ritiene ch’egli abbia ragione? Nel caso ne abbia, mi permetta di farle una domanda indiscreta: coÂme si sente in tale situazione? Benissimo. Credo che finché esiÂsterà l’umanità , esisteranno pure gli individui con le loro individuaÂlità . E ora, l’ultima e più indiscreta domanda: la prego di dirci qualÂcosa del libro a cui sta lavorando Si tratta – cosa sorprendente per un romanziere – d’un romanÂzo. Il titolo è L’uomo di 60 anni. Si trattiene negli Stati Uniti, opÂpure torna in Europa? Forse a Roma? Non faccio mai progetti per più di mezz’anno. Mi trovo bene a New York, di solito passo sei mesi a New York e sei mesi in Europa, il che mi rende felice. Così imparo di più. Letto 1362 volte.

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