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LETTERATURA: STORIA: CINEMA: I MAESTRI: La parabola del “Bounty”11 Maggio 2017
di Carlo Laurenzi Nota Franco Marenco, nella sua introduzione al resoconto di viaggio del capitano Bligh, che la rivolta del Bounty « ha offerto a ogni generazione un problema da risolvere, una interpretazione da azzardare ». E poi c’è una generazione, la nostra, alla quale il Bounty ha fornito una doppia e contraddittoria emozione. Inutile negare la potenza del cinema, così spesso mistificatrice: io non ho veduto il secondo film sul Bounty — a colori, recente, quando le illusioni erano cadute —; ma il primo film, con Charles Laughton e Clark Cable, in bianco e nero, manicheo, affascinante, iniquo, cristallizza nella memoria i miei quindici anni. Molti di noi, ragazzi sotto il fascismo, dovettero anche a quel film il disgusto della dittatura, l’impeto alla rivolta. Laughton-Bligh fu esecrabile; Gable-Christian era il Romanticismo sempre rinnovato, la libertà, la sfida, la giustizia. Che trappola. Mutiny!, il romanzaccio di Nordhoff e Hall da cui Hollywood ha desunto i due film, ripete (ha ripetuto in noi) la contraffazione di Byron. Parallelamente, proprio nell’ultimo trentennio, gli storici hanno ristabilito la verità, nemmeno diversa ma opposta: Christian, l’ufficiale che si ammutinò, era uno psicopatico; Bligh, il « sadico despota », era intrepido e paziente, di quella pazienza che deve chiamarsi eroismo. Adesso Marenco presenta ai lettori italiani — col titolo Il viaggio e l’ammutinamento del Bounty, Longanesi editore — il memoriale di Bligh, pubblicato nel 1792. In un’epoca di crisi, questo memoriale non offre soltanto un problema da risolvere: impone una scelta. E c’è altro: addita una via, la via. * Non è necessario che giudichiamo il memoriale-parabola secondo un’angolazione « rovesciata », quindi altrettanto manichea. I fatti sono chiari, e d’altronde le aspirazioni e motivazioni dei ribelli non appaiono incomprensibili. Christian, il loro capo, era uno psicopatico, mosso da odio-amore verso il suo comandante; però coloro che seguirono Christian erano per lo più uomini semplici, nostalgici della felicità di Tahiti, dell’arrendevole dolcezza delle donne tahitiane. Per questo insorsero, mentre la nave li riportava in patria, l’altra isola incresciosa e nebbiosa. Troppo a lungo era durata la sosta nell’Ogigia australe; i cuori degli uomini erano mutati. Così, il 28 aprile 1789, Bligh con diciotto fidi fu calato nella lancia: venne concesso loro poco cibo, acqua, niente armi se non quattro sciabole. Questo destino, in un oceano ignoto, significava la morte. Dalla lotta di Bligh contro il destino nacque una delle imprese maggiori della marineria britannica, cioè una delle pagine somme del coraggio umano. Bligh aveva trentaquattro anni ma possedeva, dopo la sua partecipazione al terzo viaggio di Cook, l’esperienza di un pioniere. Era paffuto, se non pingue, e impassibile. Non gli si attribuivano debolezze né invidie: a Tahiti aveva tollerato che ciascuno dei suoi si abbandonasse agli amori; personalmente non aveva ceduto. Ora, trovandosi a capo di un equipaggio miserabile su una lancia scoperta, deliberò di tornare in Inghilterra, considerando questo il proprio dovere. Navigò per quarantotto giorni, in condizioni nefande. Alcune volte toccò terra, e ciascun approdo era sconosciuto: nello sbarco a Topoz per la fame e la sete, gli indigeni uccisero a colpi di pietra il suo timoniere Norton. Dopo di ciò, rischi di questo genere vennero evitati. La razione giornaliera di cibo fu stabilita in un venticinquesimo di libbra di biscotto. L’oceano pullulava di pesci irraggiungibili; una volta fu catturata con le mani una rondine marina e divisa in diciotto porzioni; le piogge tropicali non dettero tregua, era difficile dormire, « io per me — scrive Bligh nel giornale di bordo — non ho mai né molta fame, né molta sete, né sonno ». Migliaia di miglia marine furono coperte. Terre nuove ebbero un nome: il Budino, i Capezzoli, le Tartarughe, le Sule, la baia delle Isole. “Un’isola, ricorrendo quel giorno l’anniversario della restaurazione di Carlo II, fu battezzata Isola della Restaurazione. La rotta penetrò il tumultuoso stretto di Endeauvour fra l’Australia e la Nuova Guinea; uomini neri e nudi guardavano dalle rive, armati di lancia. L’impresa ebbe termine a Kupang, nell’isola di Timor, dove gli olandesi tenevano una fortezza. Nessuno della lancia, tranne il timoniere Norton, era perito: gli uomini scesero stremati, « simili a spettri », ma le scorte d’acqua e galletta duravano ancora. Da Kupang Bligh andò a Batavia, poi a Londra a chiedere e ottenere giustizia. In vari modi gli ammutinati vennero raggiunti dalla giustizia. Taluni furono catturati a Tahiti e condotti in patria: la pena capitale, meno che per tre, venne commutata nella prigionia. I più irriducibili erano fuggiti, approdando alla disabitata isola di Pitcairn: le tahitiane e i tahitiani che avevano seguito i bianchi ebbero un trattamento da schiavi, il Bounty fu arso, la nostalgia (di Tahiti, o infine dell’Inghilterra?) esasperò i ribelli, Christian impazzì o cadde assassinato, i superstiti si uccisero a vicenda; un solo marinaio, Alexander Smith, sopravvisse a lungo, imperando su una tribù promiscua, patriarca inebetito. « L’ammutinamento del Bounty ebbe una conclusione allucinante… Gli ammutinati si volsero verso un paradiso perduto, verso un’innocenza primitiva, soltanto per ritrovarvi l’odio, le debolezze, i vizi impastati nella loro natura, soltanto per ricrearvi la loro società civile e dannata… Con la loro facile infatuazione i duri navigatori europei non sapevano di stringere Tahiti e le altre Isole Fortunate di quel fantastico mare in un abbraccio mortale. Ciò che essi vi portarono, in cambio di tante sensazioni rigeneranti, furono le malattie veneree, un nuovo e astruso senso del peccato, la lenta rovina dell’alcoolismo. Invano certi spiriti illuminati come Diderot avevano esortato a lasciare in pace il buon selvaggio; ancora tre quarti di secolo, e Melville ne avrebbe cantato le ultime manifestazioni vitali; altri cinquant’anni, e Gauguin ne avrebbe dipinto la decadenza e la disperazione ». * E’ superfluo precisare quale via, dunque, ci venga indicata oggi dalla parabola del Bounty; certe trasparenze, nelle analogie, sono intuitive. La nostra epoca ha punti di contatto con l’epoca di William Bligh. Bounty come nome comune significa munificenza, liberalità (elargita), un concetto che può suscitare rivolte; e molti credono che in qualche modo sia lecito e possibile inverare le nuove Isole Felici, dove non esistono divieti né obblighi, e il tempo è gioco, e la terra darà frutto senza che la si coltivi, e l’amore — l’amore fisico, emblema specchio di un amore più alto — non tollera freni. Chi vorrebbe opporsi all’Eden, se questa è la sorte dell’uomo negata e repressa dalla civiltà, dai « tiranni »? In realtà, dobbiamo riconoscere e combattere l’insidia di queste lusinghe: Pitcairn è un miraggio fatale. Bligh, nel- l’opporsi al mito e nel reagire al tradimento, spiega le doti della salvezza: la lealtà, la perseveranza, l’audacia. Ignora dove il fiume della vita ci porti; tutti lo ignoriamo. Però la mèta del suo viaggio pei mare era Londra (la fedeltà, la libertà) come Itaca era la mèta di Ulisse. A bordo di una lancia scoperta, su una ciurma disperata, Bligh deteneva il potere, esercitandolo come dovere e come liberazione da un sopruso. Sarebbe assurdo annoverare Bligh fra i tiranni. Pochi slogan della contestazione contemporanea sono stati giudicati incisivi come « La fantasia al potere », che risale alle barricate di Nanterre. Ebbene, è uno slogan stimolante; Bligh lo fece suo. Un marinaio lo aggredì, urlandogli che fra loro non c’era nessuna differenza. « Per evitare futuri litigi dovevo mantenere il comando o morire difendendomi: brandii una sciabola e gli dissi di prenderne un’altra e di mettersi in guardia; al che si mise a gridare che lo volevo uccidere e si calmò immediatamente ». Letto 1339 volte.
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