|
STORIA: I MAESTRI: La rivolta studentesca. I ribelli di Berlino21 Luglio 2013
di Giorgio Zampa Berlino, gennaio E’ da poco cominciato il sesto round. Il combattimento ebbe inizio a Berlino-Ovest, sul campus della Freie Universität, nel semestre estivo del ’65. Verrebbe fatto di pensare che in vanÂtaggio siano gli studenti, che i profesÂsori abbiano dovuto piĂą che altro diÂfendersi, arretrare. Di fatto è stato così: nella lotta incomposta, continua, accanita che gli allievi della F.U. hanno condotto per due anni e mezzo conÂtro i loro docenti, sono stati questi ad avere la peggio. Nel corso della sua storia. l’UniversitĂ tedesca forse non ha mai dovuto subire scontri piĂą duri con i suoi studenti. La istituzione teuÂtonica per eccellenza, la cittadella delÂla Kultur, la roccaforte dove il sapere s: concentra e si impartisce, conosce prove che fino al ’64 potevano sembraÂre inconcepibili. Ho sott’occhio un articolo che scrisÂsi nel maggio del ’62, dopo una converÂsazione con i rettori della F.U. Ernst Heinitz, nel rifarmi la storia della « UniversitĂ Libera », fondata nel 1948 nel settore americano di Berlino in opposizione alla Hunboldt Universität controllata dai comunisti, mi parlava dell’importanza che in essa avevano gli studenti attivi, coi loro rappresenÂtanti in tutti gli organi, dal consiglio di FacoltĂ al Senato accademico, dalla Commissione di ammissione al ConsiÂglio d’amministrazione. Il voto degli studenti aveva lo stesso valore di quello dei docenti. Tale colleganza aveva dato risultati positivi, i giovani facevano buon uso della fiducia loro accordata; la F.U. aveva assunto una funzione di guida rispetto alle UniverÂsitĂ federali, che continuavano a regÂgersi sui vecchi statuti. Molto diverso è il tono del colloquio che ho ora con Heinitz, ordinario di diritto penale. Dei quindicimila stuÂdenti berlinesi, quattordicimila sarebbero apolitici, soggetti a essere «manipolati », per usare un’espressione che spesso ricorre nell’ambiente, da un pizzico di estremisti, appoggiato da un gruppo piĂą consistente di radicali di sinistra. Gli studenti, secondo Heinitz, avrebbero deliberatamente rotto l’acÂcordo che per anni aveva fatto parlare della F.U. come di un modello, avanÂzando una serie di richieste sempre piĂą esigenti in campo disciplinare, didattico, amministrativo e tentando di coinvolgere l’intera UniversitĂ in una attivitĂ politica che comprometterebbe la sua autonomia e la sua funÂzione nell’ambito sociale. Ernst Heinitz è un prussiano. Lo conosco da molti anni, ha abitato a lungo a Firenze, ha avuto persino la nostra cittadinanza; sposato con una Codignola, fece parte del Comitato di Liberazione di Firenze. La sua dirittuÂra, il suo spirito democratico, non posÂsono essere messi in discussione; il suo interesse per gli studenti, per le loro condizioni materiali, economiche, oltre che per la loro preparazione scientifica, sono stati, per un pezzo, proverbiali. Che cosa ha indotto un uomo di tanta probitĂ , equilibrato, aperto, a esprimersi ora con una amaÂrezza che a volte diventa sdegno? Le azioni di protesta che gli studenti hanno condotto e continuano a conÂdurre, facendo di continuo parlare le cronache non solo tedesche, lo trovaÂne risolutamente contrario. Se una riÂforma degli studi si dovrĂ fare, ciò avÂverrĂ su un piano di fiducia reciproca, in un’atmosfera dove il dialogo sia possibile; non, come ora accade, sotto la pressione di azioni che sfiorerebbeÂro il terrorismo, rendendo vano ogni tentativo di intesa. I motivi addotti dagli studenti per le loro spettacolari proteste sono il piĂą delle volte, contiÂnua Heinitz, pretesti per tenere l’UniversitĂ in uno stato di agitazione perÂmanente, per impedire lo svolgimento regolare dei corsi, per creare una tenÂsione che porti a una rottura. PerchĂ© possa documentarmi, l’ex-rettore mi mette a disposizione ampio materiale: fogli volanti, opuscoli, articoli, riviste, risoluzioni di tutti i generi sia da parÂte dei professori, sia da parte degli stuÂdenti. Heinitz è un galantuomo: di quanto afferma non posso non tenere conto. Ma temo che la situazione, quale si è sviluppata, minacci di sfuggire di mano sia a lui, sia ai suoi colleghi. A meno che non intervengano fatti nuoÂvi, provvedimenti di carattere molto grave, ritengo che il movimento in atto, iniziato dagli studenti della F.U., non si arresterĂ . Tanto complessa è la situazione: numerosi i sintomi, contraÂstanti le ragioni, confusi gli appelli, intransigenti i punti di vista, che ogni diagnosi, per quanta attenzione si ponga nel documentarsi e nel cercare di interpretare ragioni e motivazioni, appare, piĂą che difficile, impossibile. Per iniziativa degli studenti di BerliÂno, l’intera UniversitĂ tedesca sembra, in ogni modo, entrata in una crisi da cui dovrebbe uscire trasformata. Da come appariva sino a due anni or sono: una massa di studenti (300.000) quasi indifferenziata politicamente, inÂteressata di passare senza fastidi atÂtraverso l’UnivèrsitĂ per trovare sisteÂmazione nella vita pratica, la gioventĂą accademica della Repubblica Federale si presenta oggi notevolmente cambiaÂta. Se è vero che attiva sul piano poliÂtico è solo una piccola parte di essa, incontestabile è che un interesse poliÂtico, sia pure generico, sta diffondenÂdosi, che sono avvertibili fermenti nuovi, avvengono fatti sorprendenti. L’inizio del conflitto risale al magÂgio del ’65, quando il senato accademiÂco proibì al giornalista Heinrich Kuby di partecipare a una discussione nelÂl’aula magna della F.U. Nel luglio sucÂcessivo un assistente dell’istituto Otto Suhr, cioè della FacoltĂ di scienze poÂlitiche, Ekkehart Krippendorff, non si vide rinnovato dal rettore l’incarico per il semestre successivo, a causa di un articolo giudicato irrispettoso nei confronti dell’UniversitĂ . A ognuno di questi provvedimenti, seguirono maÂnifestazioni studentesche di durata e violenza senza precedenti. In quale rapporto sia da porre queÂsto atteggiamento di una comunitĂ studentesca, considerata privilegiata rispetto alle altre della Germania OcÂcidentale, con la sommossa che nelÂl’autunno del ’64 paralizzò l’UniversitĂ di Berkeley in California, fino ad assuÂmere le dimensioni di fenomeno poliÂtico su scala nazionale, è difficile dire. Sta di fatto che i metodi di resistenza passiva adottati dagli studenti califorÂniani, sit-in, teach-in, ripresi da forÂme di protesta dei negri statunitensi, vennero assunti dagli studenti tedeÂschi, accanto ad altri piĂą rumorosi e aggressivi, che portarono squadre di attivisti fuori del campus, per entrare in contatto con la cittadinanza e proÂvocare discussioni. Come la rivolta di Berkeley ebbe i suoi capi negli stuÂdenti Mario Savio e Jerry Ruby, gli studenti di Berlino trovarono un comÂpagno capace di elettrizzarli, di trasciÂnarli con una forza di convinzione, una ricchezza di argomenti, una pasÂsionalitĂ , una vitalitĂ che la stasi, l’inÂdifferenza degli anni precedenti fanno apparire eccezionali. Nato nella DDR ventisette anni or sono, educato, sempre nella RepubbliÂca Democratica Tedesca, in una comuÂnitĂ evangelica e quindi influenzato da una forma di socialismo cristiano, Rudi Dutschke, dopo aver rifiutato di prestare servizio nell’esercito nazioÂnal-popolare ed essersi visto privato dei mezzi per continuare gli studi, passò nel 1961 a Berlino Ovest; dopo il 13 agosto non tornò piĂą dall’altra parÂte del « muro ». Iscritto alla FacoltĂ di sociologia della F.U., laureando fuori corso, Dutschke, pur non essendo il capo ufficiale del SDB (Sozialistischer Deutscher Studentenbund) di un gruppo staccatosi nel 1960 dai social- democratici e modellatosi sulla « NuoÂva Sinistra » inglese e americana, è di fatto l’animatore, la personalitĂ di maggiore rilievo di una minoranza (gli iscritti sono meno di duemila) che ha avuto una parte determinante nei fatti accaduti a Berlino e altrove in questi ultimi anni. Conosco Dutschke di persona, ho parlato alcune volte con lui, l’ho ascolÂtato in riunioni di gruppo. Il mio giuÂdizio concorda con quello generale: neppure gli avversari disconoscono al giovane qualitĂ intellettuali di primo ordine. Del campione sportivo che è stato fino a qualche anno fa, ha conÂservato l’andatura elastica, la rapiditĂ dei movimenti; nella conversazione è un interlocutore piacevole, cortese, raÂpido nelle intuizioni, preciso nelle riÂsposte, equilibrato. In modo diverso si comporta quando si trova a parlare di fronte a molta gente, come gli accade spesso. Allora il suo « staccato » meÂtallico, la voce cantilenante con cui pronuncia frasi lunghe, complesse senza mai perdere il filo, seducono chi ascolta; ma al vigore dell’eloquenza non seguono sempre rigorositĂ e coeÂrenza di argomenti, per cui anche gli intimi fra i suoi collaboratori sono in apprensione, ogni volta che lo vedono avvicinarsi a un microfono. IndubbiaÂmente preparato, con una buona culÂtura marxista, una conoscenza approÂfondita di alcuni settori della socioloÂgia, dotato di una forza di volontĂ che ha fatto parlare di impeto missionaÂrio, Dutschke si è formato soprattutto sugli scritti di JĂĽrgen Habermas, diÂrettore dello Institut fĂĽr Sozialforschung di Francoforte, e di Herbert Marcuse; mentre con il primo si trova ora in un dissenso ormai aperto, con il secondo continua a mantenere rapÂporti, sebbene anche il filosofo della Critica della pura tolleranza si sia diÂstanziato, in occasione di una recente visita a Berlino, rispetto a posizioni assunte da Dutschke sul piano pratico e su quello teorico. In questo momento Rudi-il-Rosso, come lo chiama la stampa di destra, e l’affermazione non sembri paradossaÂle, è una delle figure piĂą interessanti della Germania Federale. Chiedersi « che cosa vuole Dutschke » è inutile: vuole tutto. Se da una parte è facile, e perciò pericoloso, ironizzare sulle sue esigenze, che partono dall’assoluto e nell’assoluto si concludono, è necessaÂrio dall’altra sottrarsi alla simpatia e alla forza di persuasione dell’uomo, per non seguirlo in astrazioni e deduÂzioni che vanno al di lĂ di ogni limite. Altro paradosso: la sua eloquenza è tutt’altro che improntata ai caratteri demagogici tradizionali. Gli stessi proÂfessori ai quali indirizza memoranÂdum o proteste non sono mai sicuri di capire sino in fondo quanto scrive, in uno stile da tecnico che non vuole saÂperne di concessioni. Dutschke teorico è l’opposto del Dutschke agitatore, dell’uomo che non esita ad affrontare quasi quotidianamente le forze dell’orÂdine, a provocarle (contro di lui penÂdono sette od otto capi d’accusa, uno piĂą grave dell’altro; l’ultimo per una dimostrazione tentata la notte di NaÂtale, nella Gedächtniskirche di BerliÂno): i suoi comizi, i suoi interventi in pubbliche discussioni, i suoi discorsi sono fitti di astrazioni, presuppongono familiaritĂ con il linguaggio della soÂciologia, dell’economia, del marxismo, rimandano di continuo a fatti e dati storici. Partecipai una sera a una riuÂnione di studio che il suo gruppo teÂneva sulla situazione in Bolivia, dopo la morte di « Che » Guevara. Non creÂdo che in un istituto universitario si sarebbe potuto esporre, discutere con maggiore precisione e conoscenza dei fatti. Gli interventi di Dutschke erano sempre tempestivi, fertili, penetranti; i compagni lo seguivano con una conÂcentrazione, un interesse, con una partecipazione che invano si cercheÂrebbero in un seminario di UniverÂsitĂ . Il capo dei ribelli non ha pubbliÂcato ancora nulla in volume. I suoi scritti, tutti occasionali, sparsi in pamphlets, fogli volanti, giornali e riÂviste universitarie, sono, nella magÂgior parte, introvabili. Stringere da viÂcino quella che si può chiamare la sua dottrina, è impossibile; non ci sono riusciti nemmeno i redattori di Der Spiegel, notoriamente capaci di ridurÂre in soldoni anche la Critica della Ragion Pura. Dire che le sue premesÂse teoriche, partendo da Rousseau e Robespierre, attraverso Marx, Rosa Luxembourg e Lenin, arrivano a MarÂcuse e a Fanon è di poco o nessun aiuto per una definizione soddisfacenÂte delle sue teorie.
La filosofia politica di Dutschke
In un recente articolo su di lui, in ogni modo, Der Spiegel gli attribuisce questi princìpi: « I detentori del poteÂre “manipolano” le masse che in forza di tale stato di cose non sono capaci di disporre di sĂ©. Nella societĂ capitaÂlistica gli operai sono “integrati”, e quindi incapaci di rivoluzione. Una base per questa può essere offerta daÂgli studenti: essi infatti non sono anÂcora integrati perchĂ© troppo giovani, non sono ancora finiti nell’ingranagÂgio della produzione. In compenso, sono “privilegiati”, per la loro capaÂcitĂ di svolgere un razionalismo critico. Possono scoprire le manipolazioni, ravvisare le repressioni e comunicare queste loro conoscenze ad altri, in modo da renderli consapevoli». DutÂschke è convinto che la nostra società è incapace di cambiare in senso qualiÂtativo. La sua sfiducia nei partiti, che considera soltanto strumenti della miÂnoranza al potere, privi di ogni conÂtatto con la base, piattaforme per carÂrieristi, lo induce a parlare di una « democrazia di interessi ». « Un certo numero di gruppi di interessi si dĂ convegno nella borsa politica, e ricoÂnoscendo lo Stato esistente, finge una lotta per la partecipazione del prodotÂto sociale lordo ». Tale interpretazione della « democrazia pluralistica » lo inÂduce ad auspicare l’abolizione del parÂlamentarismo e a vagheggiare un siÂstema di democrazia diretta, composta di soviet, con un sistema di elezioni che rispecchi il livello critico raggiunÂto dalla coscienza collettiva. « In queÂsto modo il predominio dell’uomo sulÂl’uomo verrebbe a essere ridotto al minimo ».
L’esempio dell’Università di Berkeley
Dutschke è convinto che attraverso una lunga marcia, un lungo processo di autoconsapevolezza, si raggiungerĂ uno stadio in cui l’uomo sarĂ padrone del proprio destino, non sarĂ piĂą maÂnipolato come un oggetto impolitico. Mai come ora si sarebbero presentate condizioni storiche piĂą favorevoli per l’inizio di questo processo. Una rivoluÂzione permanente, da condurre in tutÂti i settori della vita pubblica, deve maturare le coscienze, affinare il raÂziocinio critico nei confronti degli strumenti che la societĂ sta foggiando per rafforzare forme di schiavitĂą. Obiettivi da raggiungere sono l’elimiÂnazione della guerra e della fame nel mondo: non assurdi, forse, come si penserebbe, considerato che il sistema in cui viviamo si fonda soprattutto sulÂl’industria del riarmo e su una calcoÂlata politica di sprechi: la cosiddetta societĂ del consumo, se rinunciasse alla dissipazione, allo sperpero sisteÂmatico, potrebbe compiere un passo avanti considerevole verso la liberaÂzione dell’uomo da quelle che si preÂtendono forze ineluttabili. Gli studenti possiedono possibilitĂ sistematicamente negate ad altri settori sociali: solo essi, oggi, sarebbero in grado di provocare un profondo cambiamento nella mente dell’uomo. La politicizzaÂzione dell’UniversitĂ deve essere conÂsiderata come la fase iniziale di un processo che dovrĂ concludersi con una trasformazione radicale, grazie alÂl’uso appropriato di strumenti critici, dell’intera societĂ . Queste sono le posizioni personali di Dutschke, frammentariamente e ocÂcasionalmente formulate. Parlare di riforme, di colloquio, di collaborazione fra docenti e discenti, dopo queste premesse, è inutile. Dutschke vuole una nuova struttura dell’UniversitĂ in senso sindacale, pretende la cogestioÂne: un terzo ordinari, un terzo assiÂstenti, un terzo studenti, tutti con posÂsibilitĂ pari. Egli sostiene anche, e anÂcora una volta bisogna richiamare l’eÂsempio di Berkeley con la sua Free University, la necessitĂ di inserire nel quadro degli istituti accademici, farne addirittura parte integrante, una « UniversitĂ critica ». Formata da stuÂdenti e assistenti, essa dovrebbe tratÂtare discipline e argomenti non amÂmessi nei corsi ordinari, discutere i fatti politici del giorno e definire la liÂnea da seguire nei loro confronti da parte della comunitĂ universitaria; doÂvrebbe infine recensire le lezioni dei professori, chiamando gli stessi a renÂdere ragione dei metodi che seguono. E’ a proposito di quest’ultimo punto, naturalmente, che si sono avute le reÂsistenze maggiori da parte dei docenÂti; a torto o a ragione si parla di terroÂrismo (vedi Die Zeit, 29 dicembre 1967) e si ricorda come intorno al ’30 proprio nella gioventĂą universitaria il nazismo trovasse uno dei suoi terreni piĂą fertili (ma si omette che altrettanÂto e piĂą fertile si mostrò il terreno dei professori). Le posizioni teoriche di Dutschke, la sua strategia sul piano dell’azione, che esplicitamente si richiama all’inÂsegnamento di Guevara, cercando di applicare alle metropoli le regole della guerriglia, sia pure incruenta, non sono ufficialmente condivise dal SDS nĂ© dalla AStA (Allgemeiner Studenten Ausschuss), l’associazione che rappresenta giuridicamente e obbligaÂtoriamente gli studenti; appena piĂą mitigato l’atteggiamento del SHB (Sozialdemokratischer Hochschulbund) mentre su una opposizione decisa si mantiene l’associazione degli studenti democristiani. Per dare un’idea delÂl’atteggiamento collettivo degli studenÂti della F.U. basta citare la risoluzione rilasciata all’unanimitĂ al termine di un sit-in il 22-23 giugno 1966: « Noi non lottiamo soltanto per il diritto di studiare piĂą a lungo e di poter maniÂfestare il nostro punto di vista in modo piĂą energico; questo importa reÂlativamente. Ci interessa piuttosto che le. decisioni nei confronti degli studenÂti vengano prese in modo democratiÂco, con la partecipazione degli studenÂti stessi. Quello che accade a Berlino è, anche per quanto riguarda la soÂcietĂ , un conflitto il cui oggetto princiÂpale non è uno studio piĂą lungo nĂ© maggiori vacanze, ma l’eliminazione di un predominio oligarchico e la reaÂlizzazione della libertĂ democratica in tutti i settori sociali. Noi ci rivolgiaÂmo contro tutti coloro che in un modo o nell’altro disprezzano lo spirito della costituzione, anche se pretendono di rimanere nell’ambito della costituÂzione stessa. Importa considerare la libertĂ dell’UniversitĂ come un problema che trascende i limiti dell’UniversitĂ . Per queste ragioni gli stuÂdenti si vedono costretti a collaborare con tutte le organizzazioni democratiÂche della societĂ per imporre le loro rivendicazioni ». Come si vede, il numero e l’imporÂtanza delle questioni connesse con la « rivolta » degli studenti di Berlino suÂpera i limiti dell’attivitĂ accademica, per coinvolgere l’intera societĂ della Germania Occidentale, le sue istituzioÂni, la sua politica interna e soprattutÂto quella estera. Gli studenti della F.U. pretendono un capovolgimento di quella che è stata fino a» oggi la funÂzione di Berlino-Ovest: invece di serviÂre da testa di ponte delle democrazie occidentali nel cuore dell’Europa coÂmunista, la porzione di cittĂ rimasta in mano alleata dovrebbe rinunciare alla sua politica velleitaria, di rivendiÂcazione e provocazione, per sostituirla con una realistica, consapevole, anticiÂpatrice, in grado di spezzare le pericoÂlose incrostazioni conservatrici di Bonn, di eliminare strutture rimaste indenni dopo il ’45 e di attivare critiÂcamente una mentalitĂ pubblica torpiÂda, indifferente alla politica. Al conÂtrario di quanto accade ora, con una stampa controllata (il 70% di quella berlinese appartiene al gruppo Springer), Berlino dovrebbe disporre di un sistema di informazioni non manipoÂlate, oggettive, che pongano i cittadini di fronte alla realtĂ dei fatti, non li illudano nĂ© li suggestionino con espeÂdienti quotidiani. Di qui uno degli slogan che piĂą ricorrono durante le dimostrazioni studentesche: « EsproÂpriate Springer! ». Il programma è talmente vasto e complesso, solleva un tale numero di questioni, che persino un governo saÂrebbe nell’impossibilitĂ di affrontarlo. Gli studenti, dopo un ventennio di leÂtargia, di atteggiamento passivo nei confronti dei padri, di chiusura rispetÂto a interessi sociali, si sono scossi e sentono come un dovere l’intervento diretto nella cosa pubblica, dalle proÂteste contro la guerra vietnamita e la visita dello SciĂ di Persia nella ReÂpubblica Federale, all’esigenza di una piĂą libera e coordinata politica nei confronti del Terzo Mondo: ma sotto quale veste? Ci si chiede da qualche parte. Non manca infatti chi contesta loro ogni diritto al « mandato » politico, chi disconosce la legittimitĂ delle loro rappresentanze a intervenire al di fuori dei quadri della vita accademica. In questi ultimi tempi (Frankfurter Allgemeine Zeitung, 19 dicembre 1967) si tende sempre di piĂą, dalla parte conservatrice, a mettere in dubbio la funzione dell’AStA, a disporre di un mandato politico. Se si dovesse insiÂstere su questo punto, riconoscere giuÂridicamente, magari con sentenza delÂla Corte Costituzionale, l’incompetenÂza dell’AStA a rappresentare politica- mente i suoi iscritti, la lotta in corso avrebbe un esito scontato. Altrettanto indubbio però sarebbe, credo, l’esito negativo, sul piano di una visione complessiva della vita tedesca, che una sentenza di quel genere finirebbe con l’assumere; sia che gli studenti Faccettassero, consentendo a condizioÂni che fatalmente farebbero loro perÂdere quanto, in questi ultimi tempi, potenzialmente hanno guadagnato; sia che a essa si ribellassero, rendendo piĂą grave la situazione giĂ ora delicaÂta. Le previsioni sono difficili sopratÂtutto per la discontinuitĂ della politiÂca nei giovani, per le sproporzioni delÂle loro richieste, per l’immaturitĂ delÂla maggioranza rispetto alla scaltrezÂza, all’abilitĂ di un piccolo gruppo.
Terrorismo con lancio di pomodori
A ciò si aggiunga la confusione tra le manifestazioni degli studenti e quelle dei provos, di anarcoidi, come i rappresentanti della « Kommune I » di Berlino, responsabile di tali eccessi che persino gli estremisti piĂą spericoÂlati sono stati costretti a distanziarseÂne. Si deve appunto a due rappresenÂtanti di questa « Kommune », Fritz Teufel e Rainer Langhaus, rimasti in stato d’arresto per mesi e solo poco prima di Natale rimessi in libertĂ , un mumero di dimostrazioni a Berlino, che poco hanno giovato alla causa deÂgli studenti. La « Kommune », è stato detto (e io trovo il richiamo giustificato), ripete con trenta o quarant’anni di ritardo tipici atteggiamenti dei surrealisti. Lo scandalo maggiore si ebbe con la diffusione di fogli volanti dopo l’incenÂdio del grande emporio di Bruxelles, avvenuto nella primavera scorsa. I coÂmunardi istigavano a ripetere l’attenÂtato, visto che, secondo loro, di attenÂtato si era trattato, nei grandi magazÂzini di Berlino, perchĂ© la popolazione avesse una dimostrazione concreta di uno degli effetti della guerra e si renÂdesse conto sulla propria pelle di quanto accade quotidianamente in Vietnam. Il tono di questi Flugblätter riprende con una evidenza che può sembrare caricaturale quello dei daÂdaisti e dei surrealisti; il terrorismo a base di lancio di sacchetti di latte, di yogourt, di pomodori, di candelotti fumogeni, provoca spiegamenti di poÂlizia che fatalmente finiscono per diÂventare comici; fotografie nelle quali si vedono ritratti di spalle, privi di ogni indumento, i membri della « Kommune », hanno suscitato lo sdeÂgno di innumerevoli benpensanti: se si pensa a quello che erano capaci di fare al riguardo Eluard, Dalì e compaÂgni ai bei tempi della rivoluzione surÂrealista, vien fatto di rammaricarsi per la mancanza di humour con cui si accolgono questi fenomeni di provocaÂzione, dopo tutto, abbastanza ingenua. In ogni caso non so fino a che punÂto in un Paese serioso come la Germania di Bonn questa attivitĂ a carattere carnevalesco-goliardico giovi realmenÂte alla causa degli studenti; non per nulla buona parte della popolazione di Berlino si è risentita del chiasso proÂvocato dalla « Kommune » e ha assunÂto un atteggiamento di ostilitĂ nei confronti dell’intera classe studenteÂsca: quando era esattamente il contraÂrio che sarebbe dovuto accadere, nelÂl’interesse dei giovani. Gli stessi ispiraÂtori piĂą o meno diretti del movimenÂto, Marcuse e Habermas, hanno preso, come ho accennato, un atteggiamento abbastanza critico nei confronti degli estremisti. Se ciò è comprensibile da parte di Habermas che mai, nei suoi scritti, ha parlato di ricorso alla vioÂlenza, un quesito piĂą delicato si pone quando ci si riferisce al teorico della « tolleranza repressiva ». « Io credo che per le minoranze opÂpresse e sopraffatte esista un “diritto naturale” alla resistenza, all’impiego di mezzi illegali quando quelli legali si siano dimostrati insufficienti. OrdiÂne e legge sono sempre e dappertutto ordine e legge di coloro che proteggoÂno l’ordine stabilito; è assurdo ricorreÂre all’autoritĂ assoluta di tale ordine e di tale legge per agire contro coloro che soffrono sotto di essi e contro di essi lottano, non per vantaggio persoÂnale e per personale rancore, ma perÂchĂ© vogliono essere uomini. I soli giuÂdici che abbiano sopra di loro sono le autoritĂ in carica, la polizia e la loro coscienza. Se ricorrono alla forza non cominciano una nuova catena di vioÂlenze, ma spezzano quella stabilita. Consci di essere picchiati, conoscono questo rischio, e, se sono disposti ad assumerlo, nessuno ha il diritto, meno che mai l’educatore, l’intellettuale, di predicare loro cautela ». Che queste conclusioni di Marcuse siano petrolio sul fuoco è un fatto: la sinistra radicaÂle studentesca vuole che la potenza « sublimata » dello Stato, mediante azioni provocatrici, si riveli quella che è, una potenza repressiva, che ignora le minoranze e intende smontare, priÂma che abbia assunto una forma orgaÂnizzativa, ogni tentativo di sovvertiÂmento dell’ordine costituito. Dutschke e compagni sanno di non poter opporre violenza a violenza, esplicitamente escludono ogni possibiÂlitĂ di ricorso alla forza. Ma dello stesÂso parere non sono le forze dell’ordine e specialmente la polizia di Berlino, allenata, per ragioni ovvie, alla manieÂra forte. Proprio a Berlino, infatti, sono avvenuti gli scontri piĂą duri, che il 2 giugno dell’anno passato si sono tragicamente conclusi con la morte dello studente Benno Ohnesorg. Su questo incidente, che commosse la gioventĂą dell’intera Germania, esiÂste ormai una letteratura. L’agente di polizia responsabile, certo Kurras, è stato assolto con formula piena, senza avere fatto un giorno di carcere preÂventivo. Dalle deposizioni di numerosi testimoni, da serie ricostruzioni dei fatti, sono emerse le responsabilitĂ del borgomastro Albertz, del senatore per gli Interni e del capo della polizia, nessuno dei quali è oggi piĂą in carica. Le stesse autoritĂ accademiche riconoÂscono all’intervento delle forze dell’orÂdine carattere di aggressione, che solo per un miracolo non provocò piĂą vittime. L’intervento in forma tanto bruÂtale fu provocato, come è noto, dalla preoccupazione di proteggere lo SciĂ in visita a Berlino dalle dimostrazioni di studenti persiani contrari al suo goÂverno e di loro colleghi tedeschi avÂversi alla politica autoritaria, al regiÂme feudale vigenti nell’Iran. Forse per la prima volta dai tempi del naziÂsmo si ricorse ad atti di violenza così aperta e gratuita, a una dimostrazione di forza intimidatoria, sconfinante nel terrorismo. Gli avvenimenti del 2 giugno furono commentati nel Congresso di HannoÂver che ebbe luogo l’8 e il 9 dello stesÂso mese, in occasione dei funerali di Ohnesorg. Presero parte a esso cinÂquemila persone; oltre ai capi delle asÂsociazioni progressiste studentesche di tutta la Germania, intervennero professori e assistenti. Gli interventi di maggior peso, pubblicati poco dopo, costituiscono un documento di inteÂresse che trascende la circostanza delÂla tragica morte dello studente per inÂtrodurre nel vivo della situazione poliÂtica, intellettuale, morale della GermaÂnia post-Adenauer. Dutschke ha piĂą volte insistito sul rapporto di causa tra la recessione economica, che nel ’65 ha posto termine alla cosiddetta èra del miracolo, e una serie di misuÂre che gli « uomini dei bottoni » avrebbero preso per fronteggiare una nuova situazione, coinvolgendo l’UniversitĂ . Esclusione forzata dello stuÂdente dai quadri accademici dopo un dato numero di semestri, tempi di stuÂdio accelerati, tutte misure contro le quali gli studenti si ribellano, sarebbeÂro conseguenza dell’intrusione dei tecÂnocrati nell’ambiente accademico, delÂla loro pretesa di avere a disposizione materiale facilmente e rapidamente « manipolabile ». E’ probabile che il nesso non sia inÂfondato, considerato l’influsso che la grande industria ha nella societĂ della Repubblica di Bonn. La forma di disÂsenso espressa in questi ultimi due anni, in modi spesso inefficaci, goffi, controproducenti, da un gruppo di studenti che rappresentano « la sola forma di opposizione veramente inteÂgra », come è stata definita, « della Germania Occidentale », ha qualche probabilitĂ di essere efficace contro strutture potenti, solidarietĂ di inteÂressi, decisione di affrontare, e se è il caso reprimere, ogni tentativo di riÂvolta? La domanda viene spontanea, seguendo le cronache di queste ultime settimane. Alla fiammata dell’estate scorsa, sembra essere ora succeduta una calma, dietro la quale si intraveÂdono le misure in atto o progettate da parte dell’autoritĂ . I ribelli di Berlino respingono la riÂforma, perchĂ© vogliono la rivoluzione. Sono sicuri del fatto loro, la rivoluzioÂne sarĂ forte abbastanza per compiere la lunga marcia di cui parla Dutschke. Ma gli studenti invecchiano, una geÂnerazione segue un’altra, la rivoluzioÂne non può conservare a lungo, in un campus, lo stesso viso. Dutschke è uno studente anziano, dovrebbe giĂ essere fuori dell’UniversitĂ . Ci sarĂ alÂtri capace di prendere il posto, per tante ragioni unico, da lui tenuto in questi due anni? Dutschke sostiene di sì: « Esistono molti Dutschke ». Forse è lecito dubitare. Quale sarĂ la sorte dei semi di inquietudine da lui gettaÂti? Come ho detto all’inizio, nella lotta sembrano vincere ai punti, sino a queÂsto momento, gli studenti. Ma il comÂbattimento non ha limiti di tempo, le risorse della parte avversa sono ineÂsauribili.
Letto 4599 volte.

Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. |
![]() |
|||||||||