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LETTERATURA: TEATRO: I MAESTRI: Il Molière di Bulgakov30 Settembre 2017
di Giovanni Macchia È raro che un autore agisca su di un altro in maniera totale per i fatti della sua vita e per le sue opere. Nell’arco quanto ma significativo della sua attività, Bulgakov dedicò a Molière uno studio biografico, due commedie e una traduzione. Dalla biografia che oggi si pubblica in Italiano (Vita del signor di Molière, con introduzione di Benjamin Kavérin, Mondadori, pp. 240. L. 2000) fu tratta la commedia Il giogo dei santoni, rappresentata nel 1936 al Teatro d’Arte di Mosca. Quando la trilogia molieresca di Bulgakov verrà pubblicata in italiano (ma è una flebile speranza), risulteranno più chiari il significato di questo libro e la ragione per cui fu scritto. Ce un motivo ad esempio nella scelta del titolo che pare cosi innocuo? Perché quel « signor » regalato ad un Molière? Esso è ripreso evidentemente dalla prima biografia: La vie de Monsieur de Molière (1705) del Grimarest. Anche se Bulgakov non ne fa parola, forse non ignorava la meraviglia che quel titolo, come racconta Grimarest, suscitò in un tale Cellier. Molière, secondo Cellier, era «Monsieur » solo per i postulanti e per il popolo minuto: era un attore, cioè un uomo dal mestiere ignobile a cui quella qualifica non conveniva. Se la ventata teatrale che si abbattette su Bulgakov venne dalla Francia di Luigi XIV, fu perché quella società espresse contemporaneamente l’esaltazione e il vilipendio dell’attore, fu perché onorò l’uomo di teatro (Molière o Racine) e lo costrinse, quando volle, a piegarsi, a genuflettersi, a tacere. Così, nell’estrema difficoltà di costruire il « tempo narrativo » di un personaggio mobilissimo che procede a scatti, in una prospettiva cangiante e a volte inafferrabile, questa biografia è insieme polemica e di una tranquilla e quasi arida oggettività. Forti illuminazioni colpiscono di una luce trasversale il protagonista, ma esse cedono a pagine grige, che hanno il tono di un rapido referto biografico. Ora Bulgakov incanala la narrazione sui fatti, salvezza e dannazione di ogni buon biografo, ora li ferma come se fosse trascinato altrove: dall’idea di un personaggio da creare, da inventare. Anche per questa mobilità non esagererei l’impeccabile robustezza dell’informazione erudita, la capillarità dell’informazione, come fa il Kavérin. Quali furono le fonti di Bulgakov? Fu suggestionato dalla bella biografia che due anni prima aveva pubblicato Ramon Fernández? Intere pagine ed episodi sono stati sicuramente ripresi da una opera non molto nota, che neanche il Fernández citava, pubblicata nel primo Ottocento: l’Histoire de la vie et des ouvrages de Molière del Taschereau. Su queste pagine Bulgakov ha versato un po’ del suo realismo fantastico e romanzesco. Un solo esempio: l’episodio del Clavicembalo magico. Aperta di fronte al re e alla regina quella macchina meravigliosa che pareva suonasse da sé, vi scoprono dentro un bambino. Quel fanciullo per Grimarest era bello come un angelo; per Taschereau un semplice ragazzino che cominciava a sentirsi male per mancanza d’ossigeno. Bulgakov vede quel bambino « sudicio, attrappito, esausto », e riconosce in lui (senza prove) Michel Baron, che diverrà il grande attore, allievo e protetto di Molière. * L’impianto teatrale s’avverte nella struttura del libro, come se esso fosse la preparazione di un altro libro da fare, una commedia appunto. Il racconto è come tagliato in scene che hanno o il valore di semplice didascalia o sono il fondale caratteristico e simbolico da dove il personaggio esce per avvicinarsi un po’ al proscenio e farsi riconoscere per quello che è, o come il docile couplet con cui egli si esibisce, quasi ritmando un passo di danza. Nella casa delle scimmie; Entra in scena il principe di Conti; L’umiliazione del salotto azzurro; Conversazioni nel Parco; Madeleine esce di scena… Un uomo guarda e osserva. Al falso teatro della vita egli osa opporre il vero teatro della scena, non con la voce della grande poesia, che tutto assolve, ma con l’ironia, con la parodia, con l’esagerazione ilare ed acre. Se Bulgakov scelse come suo idolo Molière e non Shakespeare, è perché in Shakespeare, come diceva Borges, vi erano tutti e nessuno. In Molière v’era soltanto e sempre se stesso, e gli strumenti antieroici ch’egli adoprava si adattavano al personaggio tragico moderno, che cela il dolore e la sconfitta. Come per l’eroe del Romanzo teatrale (titolo anch’esso ripreso: del Roman comique di Scarron), per Molière la « lotta per il teatro » fu, alla lettera, una lotta per la vita: una fuga dalla vita, che è «teatro» (come ha ben scritto Vittorio Strada), per salvarsi nel teatro, che è vita. E la lenta e prodigiosa preparazione a questo confronto interessa Bulgakov più che il tempo della sua affermazione. L’infanzia, la giovinezza del figlio del tappezziere del re, la sua inattesa vocazione teatrale, il suo squallido peregrinare in provincia occupano la sezione maggiore del volume, in una vicenda che si chiuderà con la morte sul palcoscenico: con la morte cioè in quello spazio ch’egli, attore ed autore, s’era scelto come l’unico proprio, l’unico autentico. E non meravigli se Bulgakov trascuri d’approfondire tutto ciò che sarebbe stato facile pasto per un biografo scandalistico dei nostri giorni: i fatti privati dolorosi della vita di Molière, della sua famiglia d’attori: Madeleine, Armande e Baron. Chi fu veramente Armande? Cosa rappresentò Baron per Molière e per Armande? * L’infelicità è sempre oscura. Gli uomini non vogliono vederla: tentano di riderne o di cancellarla dal loro sguardo. L’infelicità è il silenzio: ciò che non parla o non appare. Ma se essa si fa strada, se arriva fino a noi, con la voce della verità, sotto la maschera dell’ironia, è difficile, impossibile soffocarla. « Perché — si domanda Kaverin — Bulgakov ha avuto un rapporto cosi intenso verso Molière? Perché colui che è stato il più grande commediografo che sia mai esistito, che ha scritto le commedie sulle quali si sono sbellicati dal ridere spettatori di tre secoli, ha vissuto una vita terribile, tragica… Scoprendo Molière, Bulgakov scopriva se stesso». Non so se l’identificazione possa essere impostata con tanta esattezza, senza lasciare alcun margine alle indecisioni della fantasia. Certo le due esistenze furono come solidi anelli dell’infrangibile catena dell’infelicità umana: Bulgakov, già quasi cancellato dalla storia, con i suoi personaggi, votati all’insuccesso, condannati alla censura o alla morte (il Maestro che ha bruciato il suo romanzo su Pilato ed è costretto a vivere in una clinica; Puskin che, ci informa Kavérin, appare una sola volta nel dramma, ferito a morte, con il poliziotto che commenta: « Sì, si mordeva le mani per non gridare, perché la moglie non sentisse, poi si calmò… »), e Molière, che deve ridere e agitarsi sulla scena anche quando gli tagliano la coda, come le lucertole. Letto 1832 volte.
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