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MUSICA: I MAESTRI: Viaggio musicale22 Aprile 2011
di Giorgio Vigolo « Il viaggio di Mózart a Praga », narratoci dal poeta Eduard Mörike, resta forse il più bel « racconto musicale » che si sia scritto, se non si vuole mettergli accanto qualcuno di E.T.A. Hoffmann, peraltro di ispirazione più fantastica e delirante. Ma fra i racconti musicali che avrebbero potuto tentare la vena di Mörike o di Hoffmann, il più attraente è forse da scrivere ancora, ed è quello che si dovrebbe intitolare « Il viaggio di Bach a Lubecca ». Circa l’influenza esercitata sui pensieri, sulla musica o sulle arti, dal ritmo del passo, a parte i rapporti del moto con la respirazione e la circolazione, si potrebbero scrivere dei lunghi saggi; saggi sulla diversa ideazione o sul diverso modo di narrare e di dialogare che è solo di persone che camminano a lungo e discorrono come i peripatetici della Grecia: saggi, poi, o prima di tutto, sulla musica che, più delle altre arti, è fatta di ritmo. Beethoven, si sa, era uomo che passeggiava molto, e anche Schubert, anche Brahms. Ma Bach poi, Giovanni Sebastiano Bach, nato ad Eisenach dove la tradizione del camminare cantando in coro era legata a Lutero, che gran camminatore doveva essere! Anche nel silenzio di qualunque notizia biografica, ce lo direbbe la lena, l’andatura instancabile delle sue composizioni, mettiamo anche quel suo alpinistico pedalare sull’organo. Ce lo dice però specificamente e, questa volta, biograficamente il viaggio che proponevamo appunto per un tipico racconto musicale: il viaggio di Bach da Arnstadt a Lubecca, fatto naturalmente a piedi, una passeggiatina di almeno trecento chilometri, da Arnstadt nella Turingia, dove era organista e si fece dare quattro settimane di congedo. Per quale ragione? Per ascoltare con le proprie orecchie il grande Dietrich Buxtehude, che occupava il posto di organista nella chiesa di S. Maria. Bach che appena passato da Weimar a Arnstadt si era messo a studiare accanitamente tutte le opere degli organisti celebri della sua epoca, Pachelbel, Böhm, Tunder, Scheidemann, non aveva certo trascurato Buxtehude, ma voleva sentirlo al fine di perfezionarsi nella pratica dell’organo. Bach era rimasto tanto tempo a Lubecca perché incantato dalla personalità musicale, invero singolarissima di Buxtehude. Può essere utile ricordare che Buxtehude era danese e, guarda caso, era stato organista a Elsinore, la città di Amleto, nella chiesa di Sant’Olao, dove già lo aveva preceduto il padre Johann. Ma quando a Lubecca morì il celebre organista della chiesa di S. Maria, Franz Tunder, Buxtehude aspirò alla successione e vinse il concorso nel 1668, con una condizione piuttosto curiosa: il successore al posto di organista doveva impalmare la figlia del predecessore. Matrimonio e posto di organista erano come due colpi ad un bersaglio. Buxtehude sposò la più giovate delle figlie di Tunder, Anna Margherita, e, insediatosi a Lubecca, vi spiegò una memorabile e triforme attività musicale: come organista, come compositore di musiche sacre vocali e come organizzatore anzi fondatore (perché Tunder li aveva appena cominciati) dei primi concerti pomeridiani che la storia della musica conosca e cioè le celebri Abendmusiken (letteralmente musiche serali) per voci e strumenti, che si eseguivano le domeniche ed erano affollate dalla musicalissima borghesia di Lubecca. ) Il nome di Abendmusiken non deve ingannare sul loro orario, perché venivano eseguite dopo i Vespri che nelle chiese luterane cominciavano nelle prime ore del pomeriggio e finivano verso le cinque; ora, dunque, in cui avevano inizio i concerti che sono durati per circa tre secoli nella civiltà musicale europea. Ad essi era molto propizia l’ora del tramonto (poco prima o poco dopo tramontato il sole) , l’ora « che volge il disio »; ora musicale per eccellenza, in cui è provato che si ha una maggiore ricettività fisiologica per la musica e che è rimasta l’ora ideale per i concerti, fino almeno al 1960. Su quanti concerti, nella bella sala di Santa Cecilia a via dei Greci, non abbiamo visto lentamente declinare il giorno mentre suonava il Quartetto Busch o il Quartetto Lener! Era in fondo la stessa aura che avvolgeva la « Lettura delle Tenebre » nella Basilica Vaticana, quando il sole calava dietro i vetri gialli dell’abside berniniana e il Coro a cappella intonava il Miserere dell’Allegri, dopo che l’ultimo cero veniva nascosto dietro l’altare. Intorno al 1960, anche in questo c’è stata una svolta nel costume. E’ stato tolto il Miserere dalle musiche sacre che dicevamo e, per singolare coincidenza, anche il concerto pomeridiano è finito. Letto 1854 volte.
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